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commento introduttivo

Francesco Rutelli è uscito da vari anni dal proscenio della politica italiana.
Dal 1993 sino ai primi anni del nostro secolo, ne è stato uno dei protagonisti più ascoltati. Ricorderete che, nel 2001, è stato il candidato premier per il centrosinistra alle elezioni politiche, vinte da Silvio Berlusconi.
E' altresì stato sindaco di Roma per due mandati, lasciando una buona impressione di sè, soprattutto con la gestione del giubileo del 2000.

Pur avendo io alle spalle un percorso politico molto diverso da quello di Rutelli, credo se ne debbano riconoscere le doti di sensibilità politica.
Doti che, a mio avviso, emergono anche nell'intervista che propongo ai lettori di Fucinaidee.
In particolare, mi sembra di dover sottolineare:
- l'acume con cui, in termini chiarissimi, sottolinea l'incapacità del centrosinistra di saper cogliere i segnali di disagio che - ormai da tempo - provenivano dalla società civile (vedere - ad esempio - cosa dice per le politiche immigratorie e/o per la crescente insofferenza verso le élites);
- la necessità di non demonizzare l'avversario politico, con un atteggiamento di presunta superiorità morale e politica che, come vben si è visto, ha costituito un aliby per la sinistra che le ha impedito di compiere una seria analisi dei disagi montanti nel paese;
- l'invito all'attuale classe politica di governo, a non minare la concordia nel paese, condizione ovviamente necessaria per mantenere viva la democrazia.

Sono concetti che, nel contenuto, riprendono le mie riflessioni pubblicate qualche tempo fa su questo sito, con il titolo "In molti debbono recitare il "Mea Culpa" - abbasso l'ipocrisia".

ecco quindi l'intervista a Rutelli.

Paolo Razzuoli

"Non sono dei barbari Ma le forze al governo ora favoriscano la concordia nazionale".

Intervista a Francesco Rutelli. di Daria Gorodisky.

L'ex leader: Renzi è stato tracotante, il Pd cambi stile I democratici "Cambiare nome? Non c'è parola più attuale di democratici ma bisogna reinventarla".

"Non sono arrivati i barbari, no. I partiti che sono al governo sono rappresentanti del sentimento popolare. E, insieme con tutti gli altri, hanno il dovere di favorire l'unità nazionale: altrimenti, l'Italia sarà molto indebolita". Francesco Rutelli, da 6 anni fuori dalla politica attiva e "senza alcuna intenzione di tornarvi", vuole lanciare questo "allarme" sia alla maggioranza che alle opposizioni.

Una vita politica trascorsa prima con i Radicali e poi nel centrosinistra; e adesso, nel momento di massima crescita a destra degli ultimi decenni, lancia l'invito a non demonizzare l'avversario. Anzi, a collaborare.
"La ribellione politica che stiamo vivendo è figlia del malessere economico, dell'aumento della povertà. E non è una sorpresa: già nel 2013 i 5 Stelle erano diventati il primo partito italiano, anche se poi il Pd ha governato per 5 anni. Chi oggi si indigna per l'esecutivo giallo-verde non è rispettoso dell'umore popolare".

Il centrosinistra vede un rischio populismo: richiami efficaci e facili per solleticare i nervi più scoperti dei cittadini a danno, però, di valori e principi democratici.
"Per troppo tempo non ci siamo resi conto che la crisi economica interna alimentava una generica avversione alle élite. Si è mancato nel non usare un "elitometro"... Così come abbiamo peccato di snobismo rispetto ai timori delle migrazioni".

Sono stati trascurati i temi veri, chi governava è stato lontano dalla realtà?
"Siamo stati per troppi anni un Paese di sbarchi ma senza integrazione. Certo, quando era ministro dell'Interno Marco Minniti ha ben operato. Però prima l'unico messaggio che arrivava dalla sinistra diceva che nessuno può fermare la migrazione globale".

Che cosa si sarebbe dovuto fare?
"Come diceva Longanesi, l'Italia è un Paese di inaugurazioni e non di manutenzione. Non è stato combattuto abbastanza il traffico di esseri umani, che è un crimine contro l'umanità e messo in atto da mafie, e non si è attuata un'integrazione almeno decente. Né si è saputo leggere l'ansia che, su questi temi, cresceva nell'elettorato di centrosinistra. Un suicidio".

La Lega l'ha letta molto bene, quell'ansia.
"5 Stelle e Lega hanno vinto e adesso devono portare risultati. Questo può avvenire soltanto con una crescita di impresa e lavoro, che si ottiene se c'è una solida base di concordia nazionale. E' pericolosissimo alimentare la discordia per aumentare i consensi".

Crede che non ci siano sufficienti istituzioni di garanzia?
"Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, esercita questo ruolo. Ma è dovere di tutte le istituzioni e di tutti contribuire alla concordia nazionale. Altrimenti l'Italia rischia di sfibrarsi, e di indebolirsi in Europa. Siamo un Paese fragile, medio-piccolo, non stampiamo moneta, non siamo autonomi: non possiamo ripiegarci su noi stessi".

Nel governo ci sono divisioni, ma c'è anche la consapevolezza di essere maggioranza. Le sembra che abbia intenzione di dialogare con le opposizioni?
"Infatti mi appello principalmente proprio all'esecutivo. Le elezioni sono la stagione delle diversità, il governo è la stagione della concordia. E' il momento di unire e non di disintegrare, se si vuole il bene del Paese. Torno a dire che rispetto pienamente il modo in cui il popolo si è espresso alle ultime Politiche, ci trovo anche una certa saggezza. Però adesso si deve andare oltre per garantire le basi della concordia nazionale".

Nella Storia ci sono stati diversi esempi di scelte popolari scellerate.
"Sì, tante dittature sono state confortate da ampi consensi elettorali. E sicuramente va evitata qualunque esasperazione partigiana. Ma oggi l'Italia è basata sulla democrazia, e inserita in Europa: e questo è rassicurante".

Prima ha fatto riferimento ad alcune responsabilità del centrosinistra...
"Non posso non aggiungere che Matteo Renzi, che è e resta forte, è stato vittima di quella che i Greci chiamavano hybris : la tracotanza. E' un registro che il Pd deve cambiare se vuole evitare la sindrome, per dirla con Agatha Christie, dell' "alla fine non rimase nessuno "".

Che cosa dovrebbe fare il centrosinistra per tentare di risorgere? Qualcuno ha proposto di cancellare il Pd per formare qualcosa di diverso.
"Oggi non c'è parola più attuale di "democratici", ma bisogna reinventarla. Nel mondo digitalizzato cambia il potere del popolo, e non bastano i tweet o i click . Occorre formare una classe dirigente, creare un coinvolgimento che sia il più ampio possibile. Pd e centrosinistra devono unire il meglio che hanno, abbandonando le lotte interne, per prepararsi a mandare i migliori in Europa con le elezioni dell'anno prossimo. Se questo non accadrà, andrà alle urne soprattutto chi è contro l'Ue. E vincerà l'antieuropeismo con l'illusione autoritaria dell' "uomo forte"".

(dal Corriere della Sera - 23 settembre 2018)

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