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L’interesse dei cittadini e la tutela dei loro risparmi

di Lorenzo Bini Smaghi

Le preoccupazioni degli investitori non sono campate in aria. Crescono all’ascolto di dichiarazioni divergenti da parte dei vari esponenti del governo

L’aumento dei tassi d’interesse sui titoli di stato in atto negli ultimi mesi e le preoccupazioni espresse da alcune agenzie di rating sulle prospettive del debito pubblico italiano hanno recentemente spinto alcuni esponenti governativi a ricordare che «i cittadini vengono prima delle agenzie di rating e dei mercati».

Il principio è ineccepibile. La politica è chiamata in primo luogo a risolvere i problemi dei propri cittadini. Tuttavia, se chi governa intende risolvere questi problemi non con le risorse finanziarie di cui dispone, in particolare le entrate fiscali che gli stessi cittadini versano allo stato, ma chiedendo in prestito ai risparmiatori, italiani o esteri, la questione diventa un po’ più complessa. Dato che lo stato non dispone liberamente dei risparmi dei propri cittadini, tanto meno di quelli stranieri, ignorare le preoccupazioni di questi ultimi rischia di essere un grave errore.

Per fare ciò è importante capire come si determinano le decisioni di investimento dei singoli operatori. Innanzitutto, sono pochi quelli che decidono di gestire direttamente i propri risparmi. Solo il 5% dei titoli di stato è detenuto direttamente da singoli. La maggior parte fa ricorso a intermediari finanziari, specializzati, che hanno un grado elevato di conoscenza del funzionamento dei mercati e delle condizioni macroeconomiche, e la competenza per valutare i rischi di mercato. Ciò non significa che questi intermediari non si possano sbagliare. Anzi, capita con una certa frequenza. Tuttavia, i singoli risparmiatori hanno la possibilità di valutare periodicamente i risultati ottenuti dai propri gestori, rispetto ai concorrenti, e possono liberamente decidere di cambiare operatore se non sono soddisfatti. In altre parole, i risparmiatori delegano la gestione dei loro risparmi ad investitori, alcuni di grandi dimensioni, internazionali, altri più piccoli, specializzati. Molti gestori, tipicamente quelli più grandi, effettuano le loro valutazioni sul rischio dei vari titoli nei quali investire sulla base di analisi svolte internamente, dal proprio staff, altri invece si basano su analisi fornite da consulenti, banche d’affari o agenzie di rating. Negli anni recenti la regolamentazione europea ha notevolmente irrigidito la normativa, per incrementare la trasparenza e delimitare i conflitti di interesse. I governi possono anche non ascoltare le preoccupazioni di chi gestisce il risparmio, ma così facendo rischiano di andare contro l’interesse dei loro cittadini, soprattutto quando si deve vendere sul mercato grandi quantità di titoli di stato. Il motivo è semplice. Sono i cittadini, cioè i contribuenti, che in fin dei conti pagano con le loro tasse gli interessi che ogni anno pesano sul debito dello stato. Più alti sono gli interessi da pagare sul debito, più alte devono essere le tasse, e meno risorse rimangono a disposizione per altre spese, come la scuola, la sanità, la sicurezza, ecc.

Negli anni recenti, gli interessi che lo stato ha pagato sul debito pubblico si sono gradualmente ridotti, fino a raggiungere il minimo storico degli ultimi 40 anni, circa il 3,5% del Prodotto lordo (erano l’8,5% nel 1998). Questo risultato è stato in larga parte ottenuto grazie alla solidità della moneta europea e alla graduale riduzione del disavanzo pubblico italiano (fino all’1,7% previsto quest’anno). L’inversione di tendenza, con l’aumento dei tassi d’interesse sui titoli di stato italiano negli ultimi 3 mesi riflette la preoccupazione, espressa dagli operatori, che possano venir meno in futuro questi fattori favorevoli; in particolare che il deficit dello stato riprenda a salire, che il debito pubblico non scenda e diventi insostenibile, e che, in ultima istanza, tali titoli possano essere convertiti in una moneta diversa dall’euro. Queste preoccupazioni non sono campate in aria. Crescono all’ascolto di dichiarazioni divergenti da parte dei vari esponenti del governo.

Man mano che aumentano questi timori, aumenta il premio di rischio sui titoli di stato. Ciò fa salire non solo i contributi che lo stato deve pagare, ma anche i costi delle aziende che cercano di ricorrere al debito e determina perdite per chi ha comprato titoli a tassi più bassi. In questo modo, le famiglie e le imprese italiane vengono messe in situazione sfavorevole rispetto a quelle degli altri Paesi europei, che possono prendere a prestito a tassi più vantaggiosi.

In sintesi, non interessarsi alle preoccupazioni degli investitori riguardo alla solidità dei loro risparmi, che dipende in ultima istanza dalla sostenibilità dei conti pubblici italiani, non è nell’interesse dei cittadini, né del Paese.

(dal Corriere della Sera - 7 settembre 2018)

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