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Qualcosa inizia a muoversi
Il “manifesto” di Carlo Calenda

a cura di Paolo Razzuoli

Già assai prima delle elezioni dello scorso 4 marzo, ho proposto ai lettori di Fucinaidee alcune riflessioni con le quali ho cercato (naturalmente non so se ci sono riuscito) di tratteggiare il mio pensiero circa il superamento del significato classico delle categorie destra-sinistra. Si badi bene, con ciò non intendendo certo appiattirmi su un pragmatismo privo di idee, che oggi va un po' di moda, ma, anzi, rilanciando la necessità di visioni di ampio orizzonte quale unica strategia per dare nuova linfa alla politica, se pur in un contesto diverso da quello novecentesco, che ha assegnato alle categorie destra-sinistra precisi portati politico-culturali.

Un ragionamento che sgorga dalla consapevolezza dei grandi mutamenti del nostro tempo, sia diciamo di natura geo-politico-economica, sia all'interno della nostra società, ovviamente a partire da quelle del mondo occidentale, dove paradigmi novecenteschi consolidati, quale ad esempio i concetti di classe e di blocco sociale di riferimento, si sono deltutto sgretolati, in contesti sociali che, sotto l'impulso dei processi di cambiamento mai così accelerati, si sono fatti via via sempre più "liquide".

Processi complessi, mal gestiti dalla politica, che hanno portato ad un accrescimento delle differenze sociali, con l'impoverimento del ceto medio, e con l'ingrossamento di fasce di popolazione in situazione di povertà, incompatibile con i paradigmi politico-culturali della nostra civiltà e del nostro tempo.

Fattori che - unitamente alla carica dirompente del fenomeno immigratorio - hanno creato le condizioni di un mix esplosivo fra disagi del presente e paure ed insicurezze nel futuro, che ha costituito, e costituirà in futuro, il terreno di coltura su cui i populismi possono agevolmente germogliare.

Il tema non riguarda soltanto l'Italia, come la lettura dei presenti avvenimenti ben attesta. In Italia a ben guardare, il populismo ed il sovranismo hanno trovato condizioni particolarmente favorevoli, per l'incapacità, purtroppo tanto a lungo mostrata dalle forze politiche di ogni schieramento, di saper uscire dalla retorica e dalla propaganda, per cercare di dare risposte ai problemi che essi stessi ponevano a base della ricerca del consenso.
Non c'è quindi da meravigliarsi, come ho avuto modo di scrivere in un precedente articolo, se il 4 marzo (e successivamente nelle elezioni locali) gli italiani hanno punito le forze sinora perno del nostro sistema politico, dando i loro consensi a forze proponenti piattaforme di discontinuità con il passato.
Una scelta su cui chiaramente già ho avuto modo di esprimermi, (capita che il rimedio è peggiore del male), ma che occorre ben comprendere, giacché solo da lì si potrà cercare di costruire la risalita.

Ebbene, già ho avuto modo di sottolineare - e di proporre analisi di politologi sintonizzati su questa linea) che la possibilità di sconfiggere il populismo dilagante passa attraverso un totale ripensamento dei contenuti e degli strumenti del nostro sistema politico.
Un compito gigantesco, che richiederà tempo e lungimiranza, ma che si propone come l'unica strada realmente percorribile.
Una strada che richiederà flessibilità, predisposizione al cambiamento, abbandono quindi di pregiudizi ed inutili velleità identitarie: prospettive che, forse, potranno essere agevolate da sperimentazioni locali, che potranno proporsi quali laboratori di incubazione favorevoli per la sperimentazione di materiali politici in seguito esportabili nella dimensione nazionale.

In questa prospettiva credo siano da accogliere positivamente tutte le proposte che cercano di gettare un sasso nel mortificato, anzi morto, ambiente di coloro che il 4 marzo hanno perso le elezioni.
In tal senso mi pare interessante (sicuramente utile al dibattito) il manifesto politico che l'ex ministro Carlo Calenda, una delle figure più brillanti del Governo Gentiloni, ha pubblicato sul Foglio di oggi.
Un manifesto in forma di lettera al Direttore del quotidiano, con cui propone a tutti i progressisti di riunirsi in una nuova alleanza per "proteggere gli sconfitti" e ricreare "uno Stato forte".

Nel "manifesto", l’ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda elenca i punti programmatici che secondo lui dovranno essere al centro di una nuova alleanza tra tutte le forze “progressiste”. Sarebbe un’alleanza, aveva spiegato in altre occasioni, che dovrebbe avere al centro il PD, il partito a cui Calenda è iscritto dallo scorso marzo, ma che andrebbe estesa a tutte le altre forze liberali del centro e della sinistra. Il “manifesto” di Calenda è fortemente europeista, di impronta liberal-riformista, pur contenendo anche diversi temi cari alla sinistra più tradizionale: Calenda parla dell’importanza dello “Stato forte” (a patto che non sprechi soldi per salvare aziende decotte) e della protezione delle fasce più deboli della popolazione.
Nella prima parte del suo “manifesto”, Calenda analizza l’attuale situazione e scrive che negli ultimi anni le forze che lui chiama “progressiste” non hanno saputo gestire i cambiamenti tecnologici e sociali che sono avvenuti. Questi cambiamenti sono stati accolti come “univocamente positivi, inevitabili e ingovernabili”. “I progressisti”, continua Calenda, “sono inevitabilmente diventati i rappresentanti di chi vive il presente con soddisfazione e vede il futuro come un’opportunità”, dimenticando le paure e le insicurezze di ampie fasce della popolazione.
Per cambiare questa situazione Calenda propone cinque punti intorno ai quali costruire una nuova alleanza. Secondo Calenda è necessario mantenere l’Italia “in sicurezza”, cioè con i conti pubblici in ordine, saldamente inserita nell’attuale contesto di politica internazionale (nell’euro, nell’Unione Europea e nella NATO) e con un maggiore controllo sui flussi migratori; bisogna migliorare gli strumenti di aiuto agli “sconfitti dalla globalizzazione”, coloro che hanno visto i loro redditi calare e che si trovano in difficili situazioni economiche; è necessario attuare una politica di investimenti pubblici nell’innovazione; bisogna riformare l’Unione Europea, in particolare riducendo le regole sui bilanci e aumentando le tutele sociali; infine, bisogna investire nell’educazione e lottare contro “l’analfabetismo funzionale”.

Propongo ai nostri lettori il documento integrale.
Senza alcuna spocchia, mi fa piacere che esso abbia molti punti convergenti con le mie "Idee per un disegno riformista per l'Italia", più volte pubblicate su questo sito, e che allego anche al presente contributo.

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Lucca, 27 giugno 2018

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