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Le fragili democrazie europee

di Ernesto Galli della Loggia

Il rapporto con gli Stati Uniti si sta ineluttabilmente consumando e L’Europa assiste muta e inerte allo spettacolo delle proprie lacerazioni e delle proprie indecisioni.

Nelle vicende politiche dell’Europa di oggi è facile leggere una singolare coincidenza carica di molte lezioni. La coincidenza è quella tra la crisi strisciante (ma ormai neppure più tanto)dei regimi democratici europei e la concomitante ritirata degli Stati Uniti dal teatro del vecchio continente. Non è una coincidenza casuale. Infatti, così come fu solo la vittoria degli anglo-americani, ma in sostanza soprattutto degli Usa, che nel 1945 determinò l’avvento in Europa occidentale di stabili regimi democratici, così oggi sembra avvenire un fenomeno eguale di segno contrario. Si allontana la presenza degli Stati Uniti dal continente e, guarda caso, in concomitanza con tale allontanamento le democrazie europee si trovano sempre più a mal partito. Il fatto è che troppo spesso ci dimentichiamo che in Europa la democrazia — la democrazia liberale aperta ai diritti sociali che è quella di cui stiamo parlando — non ha avuto una vita facile. È assai dubbio, tanto per cominciare, che il grande pensiero sorto e sviluppatosi nel continente, da Platone ad Heidegger, le sia stato davvero favorevole: e così la religione delle sue maggiori Chiese a cominciare da quella cattolica. Fin dall’inizio, poi, il suo sviluppo politico si trovò a dover combattere contro poteri antichi, tradizioni illustri e gerarchie consolidatissime; a essere insidiato ad ogni passo da radicalismi sociali difficilmente dominabili. È accaduto così che dopo alcuni importanti successi nel XIX secolo il primo quarantennio del Novecento europeo, invece, abbia visto la democrazia progressivamente in ritirata, incapace di adunare intorno a sé un consenso sufficiente a opporsi all’incalzare delle ideologie antidemocratiche di destra e di sinistra. Destinata dunque a registrare una sconfitta dopo l’altra fino alla catastrofe finale del 1940. A quella data solo due lembi dell’Europa continentale, la piccola Svizzera e la Svezia, restavano ancora rette a libertà. Lasciata per così dire a se stessa, la storia europea aveva condotto a un esito siffatto.

È opportuno non dimenticarlo. Che cosa sarebbe successo se nel 1940 non vi fosse stata l’isolata resistenza della Gran Bretagna contro la Germania nazista alleata con il comunismo staliniano (anche questo bisogna ricordare: Stalingrado venne dopo, solo dopo che Hitler attaccò l’Urss), e poi la decisiva entrata in guerra degli Usa? Che fine avrebbe fatto la democrazia in Europa? Per fortuna, comunque, quelle cose ci furono. La vittoria anglo-americana e quindi la duratura presenza degli Usa nel continente — altro che «Yankee go home!» gridato per anni da tanti nostri scervellati compatrioti fino all’altro ieri — sono stati cruciali per rendere possibile la nascita e/o il consolidamento dei regimi politici in cui abbiamo vissuto nel lungo dopoguerra (e alla fine anche per liberare l’Europa dell’est). Dei nostri regimi democratici, con il centro cristiano-democratico e la sinistra socialdemocratica in qualità di protagonisti assoluti, con le ideologie di destra e i suoi attori sociali messi rigorosamente al bando, e con il consenso di massa garantito dall’esplosione del capitalismo dei consumi, dalla crescita dei redditi e dalle politiche keynesiane. Anche tutto questo incentrato in misura decisiva sul rapporto con gli Usa nonché protetto nel mondo, sotto ogni riguardo, dallo scudo americano.

Ma proprio il rapporto con gli Usa è un rapporto che si sta ormai ineluttabilmente consumando. Che ogni giorno si allenta. Dall’inconcludente ultimo Bush alla presidenza dell’inettissimo Obama, fino a quella umoral-strampalata attuale dell’isolazionista-protezionista Trump, da tempo le due rive dell’Atlantico non fanno che allontanarsi. Da tempo l’America sembra aver deciso di ritirarsi da questa parte del mondo (e non solo). Certo, esiste ancora la Nato, ma ormai avviata a essere quasi solamente un puro organismo militare. Organismo che peraltro — senza quell’intima coesione che è assicurata da una vera condivisione di valori, privo di prospettive e speranze comuni, afflitto da una scarsa fiducia e dalle crescenti divergenze tra i suoi partner, indebolito dall’indebolimento generale della leadership statunitense — anche sul piano militare forse non è più quello di un tempo. L’Europa dunque è sola; dopo la Brexit sempre più sola nella sua continentalità. E in questa solitudine ritornano sulla scena innanzi tutto i conflittuali caratteri della sua geopolitica. Torna la potenziale spinta egemonica della Germania, sempre tuttavia in difficoltà quando si tratta di dare stabile forma consensuale a tale egemonia e sempre sbilanciata verso est. Torna l’ambizione fuori misura e dispersiva della Francia, perennemente indecisa circa l’obiettivo da scegliere. Torna a oriente e sul Baltico l’incombente massa russa. Torna a sud la fragilità del presidio mediterraneo, esposto alle insidie nuove e antiche provenienti dal nord Africa e dal Levante. Torna perfino il dinamismo turco-ottomano in direzione dei Balcani, oggi più forte per la forza della neoevangelizzazione islamica.

In tutto ciò domina la frantumazione delle idee, dei propositi e delle volontà. L’Europa assiste muta e inerte allo spettacolo delle proprie lacerazioni e delle proprie indecisioni. E in questa Europa lasciata a se stessa e alla sua storia tornano — con la complicità, va detto, della congiuntura economica avversa: ma non dovunque, e dopotutto non in misura così grave — tornano specialmente i demoni della sua antica vicenda che nel terribile primo quarantennio del Novecento già concorsero una volta a segnare il fallimento della democrazia nel continente. Tornano dunque gli orgogli e i puntigli nazionali, le tentazioni etniciste, la facile permeabilità alla demagogia delle masse, l’antiparlamentarismo, il disdegno per la politica e per i partiti. Tornano il mito del complotto permanente dell’«alta finanza», l’attenzione esasperata per la «purezza» e la «natura» oggi riproposti in versione ecologica, e poi un certo disprezzo di principio per le istituzioni internazionali (dal Fondo Monetario all’Oms, all’Unione Europea), la confusione intellettuale dei ceti medi, infine la protesta contro le ingiustizie del mercato ma intesa perlopiù come protesta contro la globalizzazione. Come si vede, demoni declinabili sia in una direzione di destra che di sinistra (anche il governo Di Maio-Salvini è a suo modo un governo rosso-nero): non a caso proprio come avvenne un tempo, all’epoca del fallimento della democrazia nel nostro continente. Certo, ci possiamo consolare pensando che la storia non si ripete mai due volte. Ma non è scritto da nessuna parte che dopo il male non possa venire il peggio.

(dal Corriere della Sera)

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