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La scelta tra ideologia e interesse della nazione

di Sergio Fabbrini

L’Unione europea è sottoposta ad una logica centrifuga. La riunione (informale) che si tiene oggi a Bruxelles tra sedici Paesi e quindi la riunione (formale) del Consiglio europeo dei 27 capi di di Stato e di Governo che si terrà il 28-29 giugno prossimi sono un esempio di tale logica centrifuga. Le due riunioni sono state precedute da un incontro tra la Germania e la Francia, il cui esito («La dichiarazione di Meseberg») è stato subito contestato dai Paesi di Visegrad (riunitisi insieme all’Austria) e dai rigoristi del Nord (guidati dai Paesi Bassi).
Questi ultimi, a loro volta, hanno reso pubblica una loro agenda che non coincide con quella di Visegrad, ma ancora di meno con quella dei Paesi del Sud. Siamo di fronte a contrapposizioni multiple prive di un baricentro. Cosa dovrebbe fare l’Italia per non rimanerne schiacciata? Rispondo in relazione ai tre temi che saranno al centro di quelle riunioni. La loro soluzione spingerà il nostro Governo a scegliere tra visione ideologica ed interesse nazionale.

Comincio dalla politica migratoria. Secondo il nostro Governo, l’Italia dovrebbe chiudere frontiere e porti all’immigrazione, alleandosi, a Bruxelles, con i Paesi (come il gruppo di Visegrad) che hanno già avviato questa politica oppure che vogliono avviarla (come l’Austria). L’obiettivo è contrastare la politica dell’apertura perseguita dalla cancelliera tedesca Merkel nel 2015, oggi contestata dal suo stesso ministro dell’Interno (il bavarese Seehofer).
Tale alleanza, tuttavia, non riflette i nostri interessi nazionali. Infatti, i Paesi di Visegrad sono contrari a qualsiasi politica di redistribuzione dei rifugiati arrivati (principalmente) sulle nostre coste. E il ministro Seehofer chiede di rinviare ai Paesi di primo arrivo (come l’Italia) i rifugiati lì registrati ma che si sono poi trasferiti in Germania. Il nostro interesse nazionale richiederebbe invece un approccio opposto. Cioè una gestione sovranazionale dell’immigrazione, una protezione europea delle frontiere, una politica comune dell’asilo politico, un finanziamento e una gestione condivisi dei centri di raccolta dei migranti. Se così è, ha senso che il Governo italiano si allei con Paesi che si oppongono a tutto ciò (anche se sono ideologicamente convergenti con esso)? Non sarebbe meglio sostenere la cancelliera tedesca che propone di europeizzare, piuttosto che di nazionalizzare, la soluzione della sfida migratoria?

Passo al tema dell’instabilità finanziaria. Nella Dichiarazione di Meseberg viene rafforzato, su richiesta del governo tedesco, il ruolo del Fondo Salva-Stati (o Esm), trasformandolo nella istituzione di monitoraggio delle politiche di bilancio nazionali. Recita la Dichiarazione: il Fondo «dovrebbe avere la capacità di valutare la situazione economica generale degli Stati membri (facendo attenzione) a non duplicare il ruolo della Commissione». Si tratta nei fatti di un ridimensionamento del potere di quest’ultima, anche se viene poi previsto di inserire il Fondo all’interno del diritto comunitario.
Una concessione poco significativa, in quanto la governance del Fondo continuerebbe a mantenere il suo carattere intergovernativo. Un mantenimento che la stessa Commissione ha inspiegabilmente accettato. In una proposta di legge del dicembre scorso, essa ha infatti previsto (Art. 3.5) che le decisioni del Fondo continueranno ad essere prese «con la maggioranza qualificata dell’80 per cento delle quote in mano ai Paesi membri». Poiché la Germania e la Francia ne controlleranno più del 20%, ne consegue che quei Paesi disporranno di un potere di veto su ogni decisione indesiderata. Inoltre, essendo il Fondo costituito di risorse finanziarie trasferite dagli Stati membri, ogni decisione dovrà essere presa con il consenso dei parlamenti nazionali, dotando quindi di un potere sovranazionale i Parlamenti nazionali del Paesi con le maggiori quote. Infine, per aiutare un Paese in difficoltà finanziaria, il Fondo potrà porre condizioni precise (teoricamente, la ristrutturazione del suo debito pubblico). La riforma del Fondo (voluta dalla cancelliera tedesca e sostenuta dai Paesi del Nord ideologicamente vicini al nostro governo) non converge con i nostri interessi nazionali. L’Italia non può accettare un Fondo che agisca come una Troika mascherata. Se così è, ha senso che il Governo italiano si allei con Paesi ad esso ideologicamente vicini, eppure sostenitori di una riforma che è destinata a controllarci?

Concludo con la questione del bilancio dell’Eurozona. Nel suo discorso alla Sorbonne del 26 settembre dell’anno scorso, il presidente francese Macron disse: «c’è bisogno di un bilancio più forte al cuore dell’Europa, al cuore della zona euro», da utilizzare contro gli shock asimmetrici che colpiscono un Paese o l’altro, indipendentemente dalle sue specifiche responsabilità. Un bilancio che deve essere sostenuto da risorse autonome e non già da trasferimenti finanziari nazionali. Questa proposta è stata fatta propria (seppure parzialmente) dal ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz che (in un’intervista a Spiegel dell’8 giugno scorso) ha sostenuto «che è tempo di introdurre una tassa europea (come quella sulle transazioni finanziarie) le cui entrate dovrebbero andare direttamente nel budget della Ue» per sostenere programmi europei come, ad esempio, un Piano per contrastare la disoccupazione giovanile).
La proposta (che è entrata anche nella Dichiarazione di Meseberg, seppure timidamente) ha suscitato critiche veementi da parte dei Paesi esterni all’Eurozona (Polonia e Ungheria) oltre che dai Paesi dell’Eurozona del Nord. Ora, anche se è stata avanzata da leader ideologicamente lontani dal nostro Governo, è evidente che essa converga verso il nostro interesse nazionale (in quanto trasferisce a Bruxelles politiche che, per il nostro debito pubblico, non possiamo più promuovere a Roma). Se così è, ha senso che il Governo italiano si allei con Governi ideologicamente congeniali (come quello austriaco o olandese), ma che sono oppositori di una strategia che incontrerebbe i nostri interessi nazionali?

Insomma, in un’Europa centrifuga, di fronte a sfide inedite che destrutturano i rapporti tra gli stati, occorre scegliere tra l’ideologia e la politica, tra la campagna elettorale e l’azione di Governo. Generalmente i fatti hanno una evidenza che la prima può trascurare, ma molto di meno può farlo la seconda.

(dal Sole 24 Ore - 24 giugno 2018)

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