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In molti debbono recitare il "Mea culpa"
Abbasso l'ipocrisia

di Paolo Razzuoli

In questi giorni mi è ripetutamente capitato, e sarà capitato anche a voi miei lettori, di raccogliere parole di speranza nel nuovo governo italiano, da persone che, da consolidata tradizione, si riconoscevano nei partiti che hanno costituito l'ossatura del nostro sistema politico.
Elettori che, pur nella diversità di opinioni, mai avrebbero accordato consensi a forze (tanto per intenderci) populiste, antisistema, quindi portatrici di culture politiche radicali ed estremiste.
Che il nuovo governo goda di un consenso solido nell'opinione pubblica lo attestano anche sondaggi apparsi su importanti organi di informazione: segno che l'idea del cambiamento, su cui l'immagine del governo è stata tratteggiata, risponde ad una esigenza reale della società italiana.

Che in Italia, ed in verità non solo in Italia, serpeggi un diffuso senso di malcontento è ben noto. Le cause sono complesse, come sempre; (teniamoci ben distanti da sciocche semplificazioni). Sono in parte di natura diciamo planetaria: la modifica dei rapporti geo-economici, la globalizzazione, le immigrazioni, l'impatto delle nuove tecnologie e via dicendo. Fenomeni di grande complessità ed impatto, il cui governo richiederebbe una governance mondiale lungimirante, quindi capace di gettare occhi, cervello e cuore oltre gli orizzonti del presente, quindi del risultato immediato. Condizioni che sembrano lontane dalla realtà, come anche l'ultimo G7 ha dimostrato: leggo proprio ora che Trump ha preso le distanze con un tweet dal comunicato conclusivo del vertice, comunicato a cui invece gli altri confermano di volersi attenere. Insomma, al di là del modo "irrituale" con cui si esprime Trump, mi pare che sotto il cielo ci sia una gran confusione che non autorizza certo ottimismi.
Ed anche sotto i cieli d'Europa le cose non vanno meglio; molti sono infatti i segnali di crisi di quel processo di integrazione che, se pur faticosamente, è stato costruito a partire dal secondo dopoguerra. Segnali di diffusi scricchiolii che potrebbero veramente avviare un processo di disgregazione con effetti imprevedibili come la storia, che è sempre bene aver lucidamente presente, ci insegna.

Ma l'Italia, ha elementi di fragilità specifici, certo aggravati dalle trasformazioni generali in atto, ma ad esse precedenti e che, inevitabilmente, i nuovi scenari hanno concorso ad aggravare.
Molteplici sono i tarli che, nei decenni hanno corroso la società italiana; tarli che, se pur noti e sbandierati nei programmi elettorali, nessuno ha saputo seriamente affrontare. Non deve quindi sorprendere che il malcontento accomulato nel corso di decenni, si sia tramutato in un consenso a chi propone prospettive di cambiamento radicale. Così come non deve sorprendere (sempre la storia ce lo insegna) che nelle situazioni di diffuso malcontento gli elettori non guardano troppo per il sottile, aggrappandosi a coloro che, con idee semplici e passioni elementari, riescono a parlare più alla pancia che alla testa (fra le due guerre è successo in molti paesi europei, e le conseguenze sono state nefaste).
(Sul mito della rivoluzione in Italia consiglio di leggere il saggio dal titolo "I ribelli d'Italia, il mito della rivoluzione da Mazzini alle brigate rosse", di Paolo Buchignani, Marsilio editore, anno 2017.)

Riprendendo il filo del discorso, su questi tarli tante volte mi sono soffermato; qui mi limito a richiamarne i più devastanti, partendo da quelli di lungo corso.
Anzitutto il potere interdittivo delle corporazioni, un tarlo che si è fatto vivo già nei primi decenni della nostra storia unitaria, che tutta l'ha attraversata sino ai nostri giorni, e che nessuno sembra in grado di estirpare. Poi il debito pubblico, l'evasione fiscale, la corruzione, l'eccesso di burocrazia, la lentezza della giustizia, il divario tra Nord e Sud, il declino del sistema scolastico.
a questi si sono aggiunte due criticità rilevantissime: la difficoltà nella gestione dell'immigrazione, e la caduta di competitività complessiva del Paese, accentuatasi dall'entrata in vigore dell'Euro.
E proprio su questa ultima criticità voglio indugiare un attimo, per smentire le facilonerie di chi individua nell'Euro la causa dei nostri mali. Infatti non è certo con manovre svalutative (come in passato è stato ripetutamente fatto e a cui si potrebbe ricorrere tornando alla Lira) che si potrà dare un respiro alla nostra economia. E' una banale questione di ABC dell'economia: 1) l'aumento dei costi delle materie prime, tema rilevantissimo per un paese che non ha materie prime; 2) la lievitazione del costo del debito, inevitabile per una moneta debole come sarebbe la Lira.

E qui introduco il tema dell'ipocrisia italiana: quell'ipocrisia per cui non si vuole "mettere il dito nella piaga" dei problemi, cercando di scaricarne la responsabilità su altri. In questo scarico di responsabilità, l'Europa e le sue istituzioni sono state un bersaglio privilegiato. E' stato un giochino pericoloso, con cui hanno giocato anche forze europeiste, e che ha contribuito ad alimentare un senso di odio per l'Europa, capitalizzato elettoralmente dalle forze anti-europeiste.
La narrazione "ce lo chiede l'Europa", anche diffusa ed amplificata dai mezzi di informazione, non ha certo giovato alla corretta comprensione della situazione. I vincoli europei sul disavanzo potranno sicuramente essere discutibili dal punto di vista economico. E' auspicabile che siano consentiti maggiori investimenti pubblici (seriamente certificati), anche in disavanzo. Ma l’Italia - diciamolo con chiarezza - deve smettere di premere per quella «flessibilità» che negli anni scorsi ha poi gettato in spesa corrente.
Ma, Con un debito pubblico come il nostro, anche se non ci fosse nessun vincolo europeo, sarebbe irresponsabile non porsi il problema di quali sarebbero gli effetti sui mercati oggi, e sugli italiani domani. Il tema della riduzione del debito è pregnante e va affrontato senza ipocrisie; aumentarlo, come risulterebbe dal combinato disposto delle promesse di Lega e M5S, potrebbe risultare devastante. I mercati gia’ parlano. Venerdì (8 giugno) lo spread rispetto ai tassi tedeschi e’ stato di 269 punti base per l’Italia, contro 103 per la Spagna e 159 per il Portogallo. Sulle scadenze a breve termine, i tassi italiani erano addirittura superiori a quelli greci! Questo e’ inaudito ; ma spiegabile, dato che c’è la sensazione che l’Italia stia diventando disattenta al disavanzo, se non espressamente favorevole a disavanzi maggiori.
Nella narrazione dei populisti viene di sovente agitato il fantasma dei complotti. Ebbene, un "complotto" potrebbe profilarsi: sarebbe un complotto dell’Italia contro se stessa, forse nella convinzione di emanciparsi cosi’ dall’«Europa matrigna» e dal «dominio della finanza». Senza impegno e credibilità all'interno dell'UE ed in mancanza di una seria disciplina di bilancio, finiremmo per buttarci ancor piu’ nelle braccia dei creditori: questo è il tema centrale del discorso sulla nostra sovranità.

Insomma, il tema vero è quello della competitività del sistema Italia: un tema nostro, che va risolto con una profonda revisione dei meccanismi della nostra società da operare in profondità e senza ipocrisie, smettendola quindi di scaricare su altri le nostre incapacità.
Non può certo sfuggire che nel cosiddetto "contratto" fra Lega e M5S, al di là di generiche affermazioni, nulla di serio è scritto circa i gravi, ed in parte cronici, tarli che corrodono la società italiana.
Ci sono scritte altre cose, alcune molto demagogiche ed altre preoccupanti (vedi l'impianto complessivo della politica estera), su cui già ho avuto modo di prendere nettamente le distanze.

Ma cosa ha determinato il successo di Lega e M5S? E' questo un interrogativo a cui le attuali forze di opposizione non possono sfuggire, pena condannarsi alla marginalità. E dovrà essere un'analisi impietosa, ben diversa dalla ripetizione delle narrazioni un po' retoriche e molto consunte che ci propongono in questi giorni. E avranno tutto il tempo per farlo, poiché non penso che questa stagione si esaurisca nella brevità di un temporaletto estivo. penso invece che sia una tempesta abbattutasi sul sistema politico italiano, che non potrà più essere lo stesso quando tornerà il sereno.

E sulle cause della tempesta molti debbono avere l'umiltà di recitare il "mea Culpa". Certo, la pessima legge elettorale ha dato una mano, ma il tema è politico...
E' quello dell'incapacità di aver saputo cogliere il montante mal contento e di non aver saputo dare le risposte giuste. Certo, i problemi sono complessi e le soluzioni sono più facili da dirsi che da farsi; ciò è particolarmente vero in Italia, paese condiziohnato da una maggioranza conservatrice ammantata di progressismo, che è sempre riuscita a bloccare qualsiasi tentativo di riforma istituzionale, ovvero le uniche veramente capaci di attivare un virtuoso circuito di cambiamento.
Un blocco che il variegato panorama dei corporativismi è riuscito ad imporre, anche mediante la saldatura con le culture più radicali, come è avvenuto in occasione dell'ultimo referendum sulla riforma costituzionale.
Un mondo che, trovando anche assonanze con certi settori degli intellettuali e del mondo accademico, si rifugia sempre nel "benaltrismo" (ci vuole ben altro), per i miei gusti la categoria più indigesta di conservatori che, sotto il manto ipocrita di un ampio orizzonte riformista, cercano di nascondere la loro vera natura di incalliti conservatori.

Certo, in un paese del genere il compito della politica non è facile. Ma si sarebbe potuto fare di più, se si avesse avuto la capacità di guardare in avanti, senza appiattirsi sulla capitalizzazione elettorale immediata. So bene che anche questo non è così facile; le scelte serie sono impopolari e possono trovare consensi solo in un contesto di solida fiducia fra elettori e politica: condizioni ben distanti dalle attuali. Ma solo dalla capacità di proporre un serio disegno riformista, che sappia interpretare il bisogno di speranza del Paese, si potranno battere la demagogia e le illusioni delle "idee semplici e passioni elementari".

Sono in molti che, con umiltà, debbono recitare il "Mea Culpa".
Lo deve fare il centrosinistra ed in particolare il Pd che, complessivamente, di fronte ad una società in profondo cambiamento, ha soltanto saputo riproporre scelte ideologiche, ancorate ad una visione statalista, mostrando tutta la sua incapacità di saper cogliere i timori di una popolazione scossa dai contraccolpi della globalizzazione ed impaurita dagli effetti di una immigrazione malamente gestita, confondendo il valore della solidarietà con la gestione politica di un fenomeno tanto complesso e dirompente.
Ma il "Mea Culpa" deve recitare anche il centro-destra ed in Particolare Forza Italia ed il suo leader. Infatti, la "rivoluzione liberale" di cui Berlusconi ha fatto la sua bandiera, è rimasta uno slogan, continuamente ripetuto anche oggi, al quale ormai non crede più nessuno. Berlusconi ha avuto l'opportunità di governare il Paese per lunghi periodi e, rispetto ai nostri nodi strutturali, tutto è rimasto come prima; anzi, qualcosa è cambiato in peggio, sotto i colpi di interessi particolari.

Ed un "Mea Culpa" particolare deve essere recitato per la mancata riforma costituzionale.
Lo deve recitare Renzi, non solo per la cattiva gestione della campagna elettorale referendaria, ma, soprattutto, per come ha gestito la strategia politica durante l'iter parlamentare della riforma. Andava infatti mantenuta l'alleanza con Berlusconi che, non so dire se avrebbe consentito di evitare il referendum ma, sicuramente, ne avrebbe condizionato favorevolmente l'esito.
Lo deve recitare Forza Italia ed in particolare Berlusconi, che con la scelta del "No" si è gettato nelle braccia di Salvini, in un abbraccio mortale che lo sta condannando all'irrilevanza politica.

Anche se la stagione politica ora inaugurata non credo sarà breve, il tema del dopo va affrontato da subito, con coraggio e senza ipocrisie. Con coraggio, giacché dopo la tempesta le cose non potranno essere più come prima. Tema che interpella complessivamente il centro dello schieramento politico, se pur nelle sue articolazioni, che dovrà prepararsi con un assetto nuovo rispetto al passato. Nessuno al momento può dire come questo assetto sarà, ma sicuramente le categorie di centro-destra e centro-sinistra, che hanno costituito l'assetto politico della Repubblica nell'ultimo ventennio, risulteranno superate.
La vittoria di Lega e m5S non cancella certo l'ampio blocco sociale di riferimento che può definirsi liberal-riformista. Un blocco sociale che negli ultimi decenni si è diviso in gran parte fra Pd e Forza Italia, partiti che, in ragione della loro natura sostanzialmente centrista, hanno garantito l'alternanza di governo dei due schieramenti, tenendo ai margini le componenti estreme, che pur avevano diciamo "in seno". Ma il mutato quadro generale impone un totale ripensamento, probabilmente che dovrà sfociare nella nascita di un soggetto nuovo, capace di fronteggiare e arginare i populisti di destra e di sinistra, nella consapevolezza che questo discrimine sarà quello dirimente nei prossimi decenni, e non solo in Italia.
Ma restando in Italia, il profilo di questo eventuale nuovo soggetto dipenderà anche dal modo in cui si evolverà la vicenda della Legge Elettorale; infatti, l'ipotesi di un impianto maggioritario, o di un impianto proporzionalista, avranno conseguenze sull'articolazione complessiva del sistema dei partiti.
Comunque è un percorso difficile, dai tempi lunghi, e che presuppone la presenza di figure carismatiche che al momento non sono disponibili.
Un percorso che potrebbe essere agevolato da laboratori politici locali, che gli organi dirigenti dei partiti coinvolti potrebbero consentire, ed ancor meglio sollecitare e facilitare. Non sarebbe la prima volta che da esperienze politiche locali provengono indicazioni trasferibili nella dimensione nazionale; soprattutto nei momenti di difficoltà, questa potrebbe risultare una strada particolarmente utile.
E' poi necessaria una piattaforma programmatica chiara e credibile, di cui in allegato propongo alcune mie idee.

Ma l'altra condizione necessaria è che si abbia il coraggio di affrontare i temi senza ipocrisia, ed in piena assunzione di responsabilità. Non è più tempo, se mai c'è stato, di giocare allo scarica barile, attribuendo ad altri le nostre manchevolezze.
Parafrasando Fulton J. Sheen, "C'è a questo mondo una sola cosa peggiore del peccato: negare di essere peccatori", si può dire che per noi non c'è cosa peggiore di non voler ammettere le nostre responsabilità, scaricandole su altri.

Ma dobbiamo saperci guardare allo specchio senza infingimenti, dimostrando finalmente di saper fare i conti con la nostra storia e con la nostra realtà. E dobbiamo appunto farlo senza ipocrisia.
"Abbasso l'ipocrisia".

E se sapremo farlo davvero, potremo smentire coloro che dicono che l'Italia è condannata all'inutilità.
per questo mi piace concludere con Piero Gobetti: "Come non bastano le antiche glorie a darci la grandezza presente, così non bastano i presenti difetti a toglierci la grandezza futura, se sappiamo volere, se vogliamo sinceramente rinnovarci".

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Lucca, 10 giugno 2018

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