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La competenza è un valore che non si può rifiutare

di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

I dossier europei sono spesso molto più complicati di quelli nazionali: senza esperienza è difficile far valere i propri interessi nei vari Consigli europei. Le dichiarazioni sull’Ue di Matteo Salvini non aiutano

La parola «populista» è assai vaga e tanti ne danno una definizione diversa. Un aspetto, però, accomuna molte definizioni: il rifiuto delle élites, della loro cultura, del loro modo di ragionare. Combattere le élites non è una novità. Lo hanno fatto per secoli i partiti socialisti e comunisti. Ciò che distingue i populisti di oggi è che non solo combattono le élites (almeno così dicono) ma rifiutano anche la competenza, cioè la conoscenza acquisita con l’istruzione e l’esperienza, sia in campo tecnico sia nell’attività politica. I leader storici del Partito comunista italiano, da Togliatti a Berlinguer, non erano certo sostenitori delle élites, tuttavia non hanno mai rifiutato la competenza. Anzi. Oggi invece pare che essere incompetenti, non avere una buona istruzione, non aver alcuna esperienza, sia un merito.

Ma che cos’è la competenza? Cominciamo con un esempio economico. Due politici possono non essere d’accordo su quanto si debba redistribuire dai cittadini ricchi ai meno abbienti: mediante le tasse, la spesa pubblica, ad esempio un reddito di cittadinanza, o con leggi, come un salario minimo. Bene. La scienza delle finanze insegna come diversi modi per attuare un obiettivo di redistribuzione possano essere più o meno efficaci. Dove per «efficaci» si intendono politiche che raggiungano l’obiettivo redistributivo desiderato minimizzando i costi.

Costi in termini di mancata crescita, di distorsioni del sistema di welfare a svantaggio dei meno abbienti, che favoriscano questa o quella categoria, questa o quella generazione. O almeno capendo bene quanto alcune politiche favoriscano un gruppo a scapito di un altro. Sappiamo che il nostro sistema di welfare è assai lontano da questi obiettivi di efficacia e che l’invecchiamento della popolazione pone problemi complessi e urgenti.
Competenza in questo caso significa capire come, stabilito un dato obiettivo di redistribuzione, ci siano modi piu o meno efficaci per raggiungerlo e con quale ripartizione dei costi. Luigi Di Maio, che se nascerà il governo Conte ha chiesto di essere il ministro del Lavoro, non ha preparazione economica. Questo di per sé non sarebbe un problema se, apprezzando il valore di queste competenze, si circondasse di collaboratori esperti. Ma, poiché sembra rifiutare tale logica, dubitiamo si sceglierà dei collaboratori che le abbiano.

Secondo esempio. Nei governi dei Paesi avanzati, soprattutto se sono governi di coalizione, è importante che il presidente del Consiglio abbia la capacità di gestire le richieste di spesa che gli provengono dai suoi ministri (Difesa, Istruzione, Sanità etc.) che vogliono ottenere più risorse possibili per i loro dicasteri. Il presidente del Consiglio deve avere la capacità e la competenza necessarie per internalizzare il vincolo di bilancio dell’intero governo e gestire domande incoerenti fra loro e con tale vincolo. Questo è vero qualunque sia l’obiettivo di deficit che il governo si è prefissato, perché per un dato obiettivo di deficit ciascun ministro di spesa cercherà sempre di ottenere per sé più risorse. Dubitiamo che Giuseppe Conte sarà in grado di gestire queste richieste, non per incapacità personale, anche se non ha alcuna esperienza, ma perché non potrà rifiutare le richieste di due ministri, Di Maio e Salvini, che potrebbero guidare due importanti ministeri di spesa.

Terzo esempio. Teoricamente le leggi le fanno governo e Parlamento e la burocrazia le applica. Sappiamo che non è così. Sia nella preparazione sia nell’applicazione delle leggi, gli alti burocrati dello Stato hanno un’influenza enorme. Le leggi le «fanno» anche loro e spesso soprattutto loro. Più il ministro è incompetente, o circondato da consiglieri anch’essi poco competenti, più sarà facile per il suo capo di gabinetto o capo dipartimento convincerlo che non c’è alternativa al fare ciò che lei o lui suggerisce. Soprattutto se la dimestichezza di Giuseppe Conte con l’apparato amministrativo dello Stato farà sì che quelle posizioni siano ricoperte da consiglieri di Stato, magistrati della Corte dei conti e altri alti burocrati. Accadde così durante il primo governo Berlusconi, nel 1994: infatti fu un governo che realizzò assai poco di ciò che aveva promesso.

Non vi sono solo le burocrazie nazionali ma anche quelle di Bruxelles. I dossier europei sono spesso molto più complicati di quelli nazionali: senza competenza ed esperienza è difficile far valere i propri interessi nei vari Consigli europei. Le dichiarazioni sull’Ue di Matteo Salvini non aiutano. Anche un euroscettico competente capisce che per far valere i propri argomenti ai tavoli europei, mettersi in rotta di collisione prima ancora di cominciare a discutere non è la strategia migliore. A meno che il vero obiettivo sia uscire dall’Unione Europea, ma se questo è l’obiettivo lo si deve dire chiaramente ai cittadini.

Quarto esempio. Il dibattito sull’euro. Quando fu introdotta la moneta unica si discussero a lungo i pro e i contro di questa idea. Nel primo decennio dell’euro, e ancor più dopo la crisi scoppiata nel 2008, si sono esaminate attentamente le imperfezioni dell’impianto della moneta unica. Ma un conto è discutere di come riformare e migliorare l’unione monetaria, ben diverso è insistere per designare al ministero dell’Economia una persona, Paolo Savona, ostinatamente contraria all’euro. Incompetenza economica in questo caso perché nessuno tra gli economisti (seri), anche quelli che non sono favorevoli all’euro, sostiene che un’uscita unilaterale dell’Italia non avrebbe costi. E soprattutto nessun economista competente lo affermerebbe senza produrre un numero, una simulazione statistica. Qualcosa di concreto oltre alle sue parole.

(dal Corriere della Sera - 26 maggio 2018)

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