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Ora capisco un po' meglio una parte del fronte del "No" al referendum sulla riforma costituzionale

di Paolo Razzuoli

Le vicende di questi giorni riguardanti la formazione del governo, mi pare offrano interessanti elementi per capire a fondo le motivazioni di un'ampia porzione del fronte del "no" al referendum del 2016 sulla riforma costituzionale. Quella parte del "no" che faceva riferimento alla Lega ed al m5S.

Ebbene, le vicende di questi giorni mi pare indichino che tali forze non volevano certo riformare la Costituzione: volevano addirittura abolirla...

E' chiaro che è questa un'affermazione estremizzata, ma non poi così peregrina, posto lo scempio delle procedure costituzionali operato dalle due forze politiche che si accingono a dar vita al Governo del Paese.

Che qualcosa non torni sul versante del rispetto della forma e sostanza costituzionale, si capisce agevolmente leggendo gli articoli 92 e 95 della nostra Carta Fondamentale, che così testualmente recitano:

Art. 92.
Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.

Art. 95.
Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l'attività dei ministri.
I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri.
La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei ministeri.

Ebbene, a chi guardi gli eventi con obiettività, non può certo sfuggire la difformità degli stessi con il dettato costituzionale.
Partendo dall'Art.95, appare singolare che il Presidente del Consiglio, che dirige la politica generale del governo e ne è responsabile, venga chiamato ad eseguire un contratto preventivamente sottoscritto dalle forze politiche. Un contratto che, fra l'altro, prevede una sorta di collegio arbitrale per la composizione di eventuali vertenze, di cui fanno parte anche figure estranee al governo.
Insomma, si configura una sorta di eterodirezione, assolutamente estranea alle indicazioni costituzionali.

Altrettanto singolare è il modo con cui si è arrivati alla nomina del presidente incaricato, anch'esso deciso dai sottoscrittori del contratto, che stanno ora cercando di imporre loro diktat anche sulla nomina dei ministri.

Veramente singolare la storia di questo Paese.
Dal tempo di tangentopoli e della caduta del sistema politico che aveva governato la Repubblica sino ad allora, il mantra è stato quello della lotta alla partitocrazia. Mantra di cui ampiamente si sono nutrite le culture che costituiscono l'impalcatura ideologica delle due forze che aspirano a governare il Paese.
Ebbene, mai come in questi giorni i partiti hanno preteso un ruolo di esclusività su questioni delicatissime, destinate a pesare in modo decisivo sia sul versante interno che su quello internazionale della Repubblica.

Di Maio dice, in modo tronfio, che è iniziata la "terza Repubblica".
Al di là della facile retorica, stiamo vivendo vari elementi di discontinuità con il passato:
il primo dato è che l'antipolitica va al governo del Paese, diventando quindi quell'establishment che sinora hanno combattuto.
Il secondo dato è che potrebbe veramente iniziare un nuovo capitolo della nostra storia, con un rapporto affievolito con l'Europa, con l'Italia ai margini dell'Europa, magari fuori dall'Euro, legata al gruppo di Visegrad e attratta nell'orbita di influenza della Russia di Putin.

Se questa è la "terza repubblica" di Di Maio, è auspicabile che il governo che Lega e m5S si accingano a varare, inciampi al primo ostacolo, risparmiando al paese ulteriori guai.

Nel frattempo gli altri dovranno riflettere seriamente sulla loro storia, ponendosi con serietà una domanda semplicie, semplicie?
Perché gli italiani hanno votato così massicciamente i populisti?

Solo dalla capacità di dare risposte serie a questo interrogativo potrà scaturire una credibile proposta politica attraente per gli elettori.
Certo, buone leggi elettorali potranno aiutare. Ma al di là di esse, il tema resta di contenuto politico: senza una nuova capacità di lettura della complessità dei tempi che viviamo, il rifugio nelle scelte identitarie, nelle idee semplici e passioni elementari dei populismi sarà sempre maggiore nel cuore, nella mente e nelle scelte di voto.

Lucca, 24 maggio 2018

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