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Breve commento introduttivo

Cercando di capire qualcosa degli incontri fra Lega e M5s per la ricerca dell'accordo su quello che loro hanno chiamato "Contratto per il governo del cambiamento", rimango interdetto per l'assenza (così per lo meno mi pare) del tema più importante per il Paese, ovvero una credibile proposta per la crescita.
Circostanza veramente paradossale, laddove chiunque capisce che il presupposto di qualsiasi aumento nella distribuzione delle risorse richiede che di risorse se ne abbiano di più.
E' inutile girarci attorno; il più grosso problema dell'Italia è la sua bassa produttività e competitività: problema ormai endemico che, se non affrontato con energia, intelligenza e lungimiranza, rischia di far uscire il nostro Paese dai più importanti circuiti politico-economici internazionali. I protagonisti che stanno trattando la nascita del nuovo governo (a mio avviso un ircocervo dalla vita breve) sembrano non esserne consapevoli. Sembrano ignorare un principio elementare: senza ricchezza l'unica cosa che si può distribuire è la povertà.
L'alternativa, di breve respiro, è quella di aumentare il debito pubblico: una scelta scellerata e disonesta che massimizza i danni per due elementari ordini di prospettive: 1) aggira il nodo vero che è quello di una soluzione strutturale dei nodi che ci vedono perdenti nella competizione con le altre economie dello scenario globale (problemi che tanto più tardi si affrontano, tanto più difficili saranno le soluzioni). 2) Ancora una volta si sceglie la logica perversa di scaricare il costo di politiche scellerate sulla prossima generazione. Una logica che i giovani elettori del M5s dovrebbero rifiutare con decisione.
Prospettive che non possono comunque che essere nettamente rigettate da chiunque abbia un po' di senso di responsabilità e di capacità di guardare appena un po' oltre l'orizzonte dell'immediato presente.
Certamente in Italia c'è bisogno di cambiamento. Ma se è questo il cambiamento che pensano di offrirci, ebbene, diciamo chiaramente che non è certo quello che serve al nostro Paese.

Paolo Razzuoli

Lavoro e crescita assenti nei programmi

di Francesco Giavazzi

Il grande assente dal confronto fra Lega e M5S sul programma economico di un possibile governo è la crescita. Eppure quello è il punto centrale perché il deficit italiano è un deficit di crescita. Quale che sia l’esito del confronto è da lì che si deve partire.
La crescita di un Paese, e quindi il benessere dei suoi cittadini, dipende dalla sua produttività. La quale a sua volta dipende dalle risorse di cui il Paese dispone e da come le impiega. Innanzitutto il lavoro. L’Istat stima che il nostro tasso di mancata partecipazione al lavoro — che include, oltre ai disoccupati, anche gli inattivi cioè coloro che non cercano lavoro ma sarebbero disponibili a lavorare — si riduce attestandosi al 21,6% dal 22,5% dell’anno prima, ma rimane circa il doppio della media europea. Nel Mezzogiorno il tasso di mancata partecipazione al lavoro raggiunge il 37%, un livello più che doppio di quello del Centro-Nord.

Per lavorare di più bisogna crescere e creare occupazione. Ma bisogna anche non abbandonare troppo presto il lavoro. Il contrario di chi vorrebbe abolire l’adeguamento dell’età della pensione all’aspettativa di vita. Negli ultimi cinque anni questa è (fortunatamente) aumentata di 2 anni e mezzo, da 81 a 83,5. Trent’anni fa era solo 76. Vivere più a lungo ma abbandonare il lavoro alla stessa età significa scaricare il peso delle pensioni sui giovani.

La Lega, forte fra i lavoratori adulti del Nord, è sempre stata contraria alla riforma delle pensioni: fu questo il motivo per cui cadde il primo governo Berlusconi nel 1994. Ma sorprende che il M5S, che invece ha raccolto voti soprattutto fra i giovani, la segua nella richiesta di abolire la legge Fornero. Non credo che i giovani elettori 5Stelle preferiscano il reddito di cittadinanza o la vita a carico della pensione dei genitori anziché un lavoro che li renda indipendenti.

Oltre il lavoro la crescita dipende dagli investimenti. Erano crollati durante la crisi, ma quelli privati stanno riprendendo: gli investimenti fissi lordi delle aziende private hanno segnato lo scorso anno un aumento del 7,3 per cento. Un’indagine della Banca d’Italia (Bollettino economico, aprile 2018) indica che i programmi di investimento privati rimangono elevati, vicini ai massimi degli ultimi dieci anni, anche se in lieve decelerazione.
Molto peggio gli investimenti delle amministrazioni pubbliche che soffrono per le condizioni dei conti, ma soprattutto per gli ostacoli interposti dalla burocrazia.

Per dati investimenti e un dato tasso di partecipazione al lavoro, la crescita di un Paese dipende poi dall’efficienza con cui esso impiega i suoi lavoratori e le sue fabbriche, un concetto misurato dalla «produttività totale dei fattori» (Tfp). Fra il 2001 e il 2016 la Tfp italiana ha perso 7 punti percentuali. Nello stesso periodo la Spagna ne guadagnava 2, la Germania 10. Uno studio della Banca centrale europea (Real convergence in the euro area: a long-term perspective, 2017) calcola che la deludente crescita italiana, rispetto al resto dell’euro area, dipende per una metà dalla caduta di Tfp, e per un’altra metà in modo più o meno uguale da scarsa partecipazione al lavoro e scarsi investimenti. Ci sono certamente molte ricette per aumentare la produttività. Ma se si parte dai dati, si osserva che in Italia la produttività è particolarmente bassa nelle imprese di piccole dimensioni (sotto i 10 addetti), nelle imprese a partecipazione pubblica, soprattutto nelle municipali, e nelle imprese protette dalla concorrenza, ad esempio i servizi professionali alle aziende. Io partirei da lì: incentivi alla crescita delle aziende familiari, che non vuol dire togliere il controllo alla famiglia (in Germania ci sono più aziende familiari che in Italia) ma evitare che la gestione sia affidata a figli e nipoti anziché a manager professionali (come invece avviene nelle imprese familiari tedesche). E poi concorrenza, perché non c’è produttività senza lo stimolo della concorrenza. Infine sottrarre la gestione delle aziende alla politica. Qui l’esperienza della gestione M5S del Comune di Roma, dall’Ama all’Atac, non è certo incoraggiante.

Certamente posso sbagliarmi. Ma qualunque sia il proprio punto di vista, della crescita occorre discutere. Di sicuro c’è un problema di redistribuzione. Ma senza crescita l’unico reddito che si può redistribuire è quello che ancora non c’è, cioè quello che sottrarremmo ai nostri figli.

(dal Corriere della Sera - 12 maggio 2018)

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