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Dai nomi ai numeri, tutte le debolezze e le incognite del governo tra Lega e Cinque Stelle

 

di Marco Sarti

 

Berlusconi costretto a fare un passo di lato. Ma la sua non è una resa incondizionata: evita le urne, prende tempo e ottiene un importante riconoscimento.

Poi lancia la sfida: «In caso di fallimento non saremo noi l’alibi». Intanto tra Salvini e Di Maio iniziano le tensioni sul nome del premier

 

Alla fine Silvio Berlusconi concede il nulla osta a un governo tra Lega e Cinque Stelle. Nessun appoggio esterno di Forza Italia, ma il progetto può ugualmente

partire. Il messaggio arriva in serata con un lungo comunicato da Arcore. Nessun voto di fiducia, sia chiaro. Semmai un leggero passo di lato. È una questione

di semantica: tra i fedelissimi del Cavaliere c’è chi parla di astensione benevola e chi preferisce annunciare un critico via libera. La sostanza non cambia.

Senza rompere l’alleanza di centrodestra, il Cavaliere non ostacolerà il nuovo esecutivo. Almeno per ora. Dopo 60 giorni di tensioni e intese fallite,

stavolta l’accordo per un governo politico sembra davvero a un passo. Ma la strada verso Palazzo Chigi è tutta in salita. Appena superato il nodo Berlusconi,

grillini e leghisti sono già alle prese con i primi problemi. A partire dal nome del presidente del Consiglio e dalla squadra di ministri.

 

Una novità per volta. La notizia del giorno è la decisione di Berlusconi. Nero su bianco l’ex premier conferma che il suo partito non voterà la fiducia

a un governo con la presenza dei Cinque Stelle, che hanno «dimostrato di non avere la maturità politica per assumersi questa responsabilità». Però non

si metterà di traverso. Se la Lega intende formare un esecutivo con i pentastellati, «prendiamo atto con rispetto della scelta. Non sta certo a noi porre

veti o pregiudiziali». È il segnale che in molti attendevano. Il risultato di un estenuante pressing che nelle ultime ore ha spinto il Cavaliere a cambiare

idea. «Valuteremo in modo sereno e senza pregiudizi l’operato del governo che eventualmente nascerà - spiega ancora il leader di Forza Italia - sostenendo

lealmente i provvedimenti che siano in linea con il programma del centrodestra». Berlusconi è costretto a cedere, ma non si tratta di una resa incondizionata.

Dopo un lungo confronto con i fedelissimi e i consiglieri più stretti, il leader di Forza Italia sceglie l’opzione più conveniente. Non da ieri Fedele

Confalonieri e Gianni Letta, seppure da posizioni diverse, lo avevano invitato a valutare l’opportunità di far partire un governo. L’unica reale alternativa

alle urne. In caso di voto anticipato, specie in estate, il partito avrebbe corso il serio rischio di un tracollo, lasciando alla Lega il predominio assoluto

della coalizione. E per cosa poi? Alla fine con ogni probabilità un governo tra Lega e Cinque Stelle sarebbe nato ugualmente. Del resto proprio il timore

delle elezioni aveva già spinto tanti parlamentari forzisti a caldeggiare la nascita di un esecutivo tra Salvini e Di Maio. Ma adesso lo scenario cambia.

Con la nota di ieri sera Silvio Berlusconi assume il ruolo del leader generoso, disposto a fare un passo indietro pur di dare un governo al Paese. Fa buon

viso a cattivo gioco - gli insulti dei grillini non devono avergli fatto piacere - e intanto prende tempo. La speranza è che nel frattempo la corte di

Strasburgo gli restituisca l’agibilità politica. E chissà, magari nel frattempo il governo grillo-leghista si sarà già schiantato alla prima curva. Non

è un mistero: un fallimento di Salvini e Di Maio offrirebbe a Forza Italia ottimi argomenti per riportare a casa un po’ dell’elettorato perduto. E poi

ci sono i numeri in Parlamento della nuova maggioranza, sufficienti ma non particolarmente rassicuranti. Ecco perché nelle votazioni più delicate il peso

di Forza Italia rischia di essere ancora decisivo. Non è ancora tutto. Il via libera del Cavaliere al governo giallo-verde non è evidentemente disinteressato.

Berlusconi conferma che l’alleanza di centrodestra non è a rischio: «Rimangono le tante collaborazioni nei governi regionali e locali - scrive - rimane

una storia comune». Ma in cambio ottiene il riconoscimento del proprio ruolo. Una garanzia per le sue aziende e molto probabilmente alcune importanti nomine,

dentro e fuori il Parlamento.

 

Adesso tocca a Salvini e Di Maio. Le responsabilità del nuovo esecutivo sono tutte sulle loro spalle. Dopo sessanta giorni di messaggi e prove di intesa,

per la prima volta i giovani leader sono vicini all’obiettivo. Appena avviata, però, la trattativa è già in salita. I primi nodi sono evidenti. Ieri i

due si sono incontrati di nuovo a Montecitorio, pochi minuti di colloquio per mettere punto una comune tabella di marcia. Le scelte dovranno essere concordate

nel giro di pochi giorni, a partire dal contratto di governo e dai nomi della squadra. Ecco il primo intoppo. Chi salirà a Palazzo Chigi? Di Maio e Salvini

hanno assicurato in tempi non sospetti di essere pronti a farsi da parte, ma in realtà entrambi sperano ancora di ottenere l’incarico. «Per me sarebbe

un onore guidare il Paese», conferma in serata il leghista. In alternativa devono decidere quale sarà il loro ruolo. Si parla di una posizione da vicepremier,

oppure due ministeri importanti (Esteri e Interno). E se invece rimanessero fuori dal governo? Il braccio di ferro sul nome del presidente del Consiglio

è appena iniziato. Si fanno i nomi dell’ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini e dell’economista Carlo Cottarelli. Ma le possibilità di un premier tecnico

sembrano perdere quota. E così altre voci di corridoio portano ai leghisti Giancarlo Giorgetti e Giulia Bongiorno. Ma se il successore di Paolo Gentiloni

sarà espressione di un partito di maggioranza, per compensazione all’altro partner dovranno andare i dicasteri più pesanti. Il rebus è di difficile soluzione.

E la tentazione di scegliere ministri non sgraditi a Forza Italia rischia di complicare ulteriormente la vicenda. Tra i nuovi alleati iniziano già a circolare

sospetti e tensioni. Ognuno teme le strategie dell’altro. Ufficialmente è ancora presto per parlare di nomi, assicurano i diretti interessati. Prima si

dovrà mettere a punto il contratto di governo. Ma anche qui le distanze che separano Lega e Cinque Stelle lasciano più di un dubbio. Silvio Berlusconi

l’ha capito. E forse non è un caso se già ieri sera ha messo le mani avanti di fronte un possibile fallimento delle trattative. «Se questo governo non

potesse nascere - le sue parole - nessuno potrà usarci come alibi di fronte all’incapacità - o all’impossibilità oggettiva - di trovare accordi fra forze

politiche molto diverse».

(da www.linchiesta.it – 10 maggio 2018)

 

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