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L'Europa alle prove elettorali.

 

Di Antonio Rossetti

 

I risultati conseguiti dai partiti e movimenti in Italia, può essere  argomento  utile per approfondire la realtà nei Paesi (27 dopo l’uscita dell’Inghilterra)  dell'Unione europea  anche in vista della prossima scadenza elettorale dell'intera Unione.

 

L'Europa, in molti casi, viene  definita distante, sostanzialmente “rigida” quasi sempre  pronta a “bacchettare”,  attenta ad aspetti contabili, pur rilevanti, ma scarsamente attenta alle questioni  sociali o alle emergenze, tra queste emerge l'inadeguatezza  di una politica per l'immigrazione.

Di tutta evidenza l'assenza di una partecipazione corale e  neppure una strategia chiaramente  volta al rientro degli immigrati, nel proprio paese,  attraverso azioni costruttive a partire da intese con i paesi di provenienza per ricreare condizioni  di vita accettabili.

Non è sufficiente  una azione che  abbia come unico  argomento i conti o che si affrontino argomenti quali “le condizioni sociali delle persone in ogni paese” solo con la  scelta della monetizzazione.

 

Se è vero che senza soldi si fanno poche cose è sempre vero che occorre una strategia degli interventi  che affronti,  nella sostanza,  i problemi  partendo dalle forme di prevenzione, fino alla realizzazione di  interventi che  abbiano chiaro l'obiettivo.

Un tempo si diceva per la salute, “non si risolve con l'indennità per lavori nocivi, ma con l'eliminazione delle cause di nocività”, questa linea mi pare valida  in quasi tutte le azioni di tutela e di progresso sociale  e di sviluppo economico. 

 

Non è facile  migliorare l'Europa senza migliorare le realtà di cui si compone, ad oggi, ma in assenza di azioni condivise e tali da invertire  il percorso tutto sarà più difficile.

 

I tentativi di Germania e Francia di volere condizionare e fare i primi della classe o le ipotesi di Paesi di serie superiore e quelli di serie inferiore  sono da considerare scorciatoie  da sconsigliare.

 

In vista della prossima scadenza elettorale  è auspicabile un dibattito molto  approfondito e vicino ai cittadini proprio perché  non sia vissuta come una scadenza poco rilevante.

In molte circostanze  l'Europa è presente ed incide  con le proprie decisioni  sui singoli Paesi ed è indispensabile che i cittadini europei e le loro rappresentanze politiche  la considerino come livello istituzionale  sempre più parte della nostra esistenza.

Le questioni sociali, previdenza, assistenza, lavoro, formazione, sicurezza, migrazioni, imprese e localizzazioni, commercio internazionale e scambi, moneta e credito, sono da considerare sempre più nella dimensione sovranazionale.

La stessa scelta della Gran Bretagna non aiuta  il disegno di una grande Europa, ma anche l'istituzione europea deve leggere con attenzione le realtà che ne fanno parte per evitare l'accrescere delle distanze .

 

La raccolta dei dati relativi alle elezioni politiche dei singoli paesi, dell'Unione Europea, consente una  lettura delle diverse realtà, non facilmente confrontabili tra loro, in quanto con storie e culture molto diverse e con sistemi elettorali non omogenei, tuttavia, consente  di avere un quadro di ciò che è accaduto nel corso degli anni e degli spostamenti  dell'elettorato.

In questo caso si tratta di elezioni nazionali avvenute in date diverse, ma alcuni fenomeni sembrano presenti in quasi tutti i Paesi, seppure in  misura diversa.

 

I dati sono stati raccolti da fonti autorevoli,  non vengono commentati perché ciascuno possa farne una propria valutazione.

 

Allegati di seguito

 

 

1) AUSTRIA

Data 15 ottobre 2017

HA VINTO SEBASTIAN KURZ

Dopo gli ultimi exit poll e le prime proiezioni che utilizzano dati reali fino al 60% delle schede raccolte il risultato principale è confermato: il nuovo cancelliere è Sebastian Kurz, ex ministro degli Esteri e capace di trasformare il proprio partito democristiano in una forza elettorale impressionante in soli pochi mesi. Con un leggero (neanche tanto) spostamento verso destra, specie sulle tematiche di sicurezza e immigrazione, ha sbaragliato gli avversari di estrema destra e l’ex premier Kern in pochi mesi, anche se il risultato di oggi non è schiacciante come si poteva pensare: col 31,7% l’OEVP è in netto vantaggio, anche se i risultati ufficiali ultimati si avranno giovedì prossimo con il controllo delle schede di voto arrivate per posta. Dietro però c’è un colpo di scena, con il partito dell’estrema destra FPO che viene superato al fotofinish dai socialdemocratici dell’ex premier Kern, 27% contro il 25,9%, mentre i dati erano ribaltati dopo il primo exit poll che vedete qui sotto. Grave batosta per i Verdi, il partito del presidente della Repubblica Van der Bellen, finiti al momento sotto la soglia di sbarramento del 4%, al 3,8%, dunque fuori dal Parlamento. A proposito del Presidente della Repubblica, pochi istanti fa sono arrivate le prime dichiarazioni ufficiali che spiegano come «Kurz è il chiaro vincitore di questa tornata elettorale, ma il risultato definitivo si avrà giovedì dopo lo spoglio dei voti per corrispondenza». Il rebus coalizione dunque viene spostato più avanti, visto che dopo questi risultati sia la Grande Coalizione popolari-socialdemocratici che Kurz+Strache verso destra restano strade del tutto legittime e probabili.

 

2) BELGIO

Le elezioni parlamentari in Belgio del 2014 si sono tenute il 25 maggio. Esse hanno visto la vittoria dell'Alleanza Neo-Fiamminga di Bart De Wever.

A seguito della riforma costituzionale del 2012, l'elezione ha riguardato soltanto la Camera dei rappresentanti, essendo stata abolita l'elezione diretta del Senato.

Risultati elettorali

Liste

Voti

 %

Seggi

 

Alleanza Neo-Fiamminga

1.366.414

20,26

33

 

Partito Socialista

787,165

11,67

23

 

Cristiano-Democratici e Fiamminghi

783.060

11,61

18

 

Liberali e Democratici Fiamminghi Aperti

659.582

9,78

14

 

Movimento Riformatore

650.290

9,64

20

 

Partito Socialista Differente

595.486

8,83

13

 

Verdi

358.947

5,32

6

 

Centro Democratico Umanista

336.281

4,99

9

 

Partito del Lavoro del Belgio

251.289

3,72

2

 

Vlaams Belang

247.746

3,67

3

 

Ecolo

222.551

3,30

6

 

Federalisti Democratici Francofoni

121.403

1,80

2

 

Partito Popolare

102.599

1,51

-

 

Libertaria, Diretta, Democratica

28.414

0,42

-

 

Altre liste

233.805

3,47

-

Totale

6.745.059

100,00

150

 

 

3) Bulgaria

Elezioni parlamentari in Bulgaria del 26-3-2017

Elezioni parlamentari in Bulgaria del 2017

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Leader

Bojko Borisov

Korneliya Ninova

Valeri Simeonov
Krasimir Karakachanov
Volen Siderov

Partito

Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria

Partito Socialista Bulgaro

Patrioti Uniti

Voti

1.147.292
33,54 %

955.490
27,93 %

318.513
9,31 %

Seggi

95 / 240

 

 

 

80 / 240

 

 

 

27 / 240

 

 

 

Differenza %

0,84

12,53

2,49

Differenza seggi

11

41

3

Primo ministro

Bojko Borisov

 2014 2021  

Le elezioni parlamentari in Bulgaria del 2017 si sono tenute il 26 marzo.

Esse erano originariamente previste per il 2018, alla fine del mandato quadriennale dell'Assemblea Nazionale. Tuttavia, a seguito delle dimissioni del primo ministro Bojko Borisov e al fallimento dei partiti bulgari di formare un governo, sono state indette nuove elezioni.[1] Borisov si è dimesso a seguito della sconfitta di Tsetska Tsacheva, candidata del suo partito GERB, nelle elezioni presidenziali del novembre 2016.[2][3] La campagna elettorale ufficiale è iniziata il 24 febbraio.[4]

GERB ha ottenuto una maggioranza relativa, con 95 seggi su 240. Borisov è stato riconfermato primo ministro dopo aver negoziato un governo di coalizione con Patrioti Uniti.[5]

Risultati

Con un'affluenza del 54.07%,[6] cinque partiti hanno raggiunto la soglia del 4% richiesta per ottenere seggi. GERB ha mantenuto la sua posizione come partito di maggioranza.

Liste

Voti

 %

Seggi

 

 

Ciittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria

1.147.292

33,54

95

 

Partito Socialista Bulgaro e alleati

955.490

27,93

80

 

Patrioti Uniti

318.513

9,31

27

 

Movimento per i Diritti e le Libertà

315.976

9,24

26

 

Volya

145.637

4,26

12

 

Blocco Riformista

107.407

3,14

-

 

Sì, Bulgaria!

101.177

2,96

-

 

Associazione DOST

100.479

2,94

-

 

Nuova Repubblica

86.984

2,54

-

 

Alternativa per la Rinascita Bulgara-Movimento 21

54.412

1,59

-

 

Altri

92.267

2,50

-

Voti bianchi e invalidi

169.009

-

-

Totale

3,682,493

100,00

240

 

 

 

 

4) CIPRO

Cipro, vittoria per i conservatori e l'estrema destra entra in parlamento


Le elezioni parlamentari a Cipro premiano il Raggruppamento Democratico del presidente Anastasiades. E per la prima volta nella storia dell'isola i nazionalisti di Elam conquistano due seggi al parlamento di Nicosia


Alessandra Benignetti - Lun, 23/05/2016 - 11:57


Il partito del presidente cipriota Nicos Anastasiades, il Raggruppamento Democratico (Disy) ha vinto le elezioni parlamentari che si sono svolte domenica 22 MAGGIO 2016 a Cipro, ottenendo il 30,6% dei voti.


Il presidente cipriota Nicos Anastasiades, leader del Raggruppamento Democratico


Al secondo posto si è piazzato il Partito Progressista dei Lavoratori (Akel), con il 25,6%. Ma entrambi i partiti hanno subito una battuta d’arresto rispetto alle precedenti elezioni del 2011. Disy, infatti, ha perso il 3,7% rispetto all’ultima tornata elettorale, e la sinistra di Akel addirittura il 7%.

Così, mentre a Vienna si consuma un testa a testa al foto-finish tra il verde Alexander Van der Bellen, e Norbert Hofer, dell’Fpö, che potrebbe diventare il primo capo di Stato di destra radicale in Europa, la vera novità, anche a Cipro, è l’ingresso in parlamento, per la prima volta nella storia dell'isola, del partito ultranazionalista Elam. Il Fronte Popolare Nazionalista è infatti un partito gemellato con Alba Dorata, che ha ottenuto il 3,7% delle preferenze, superando in questo modo la soglia di sbarramento e conquistando, di conseguenza, 2 dei 56 seggi del Parlamento di Nicosia. Tolleranza zero sull’immigrazione, pugno di ferro sulla questione cipriota, per cui sognano l’”enosis” (unificazione) con la Grecia, lotta alla globalizzazione, una politica energetica che porti all’isola tutti i vantaggi dello sfruttamento della propria Zona Economica Esclusiva, sono alcuni dei punti del programma che ha portato i nazionalisti di Elam per la prima volta in parlamento.

A farla da padrone durante la campagna elettorale, infatti, sono stati soprattutto due temi: quello legato all’economia dell’isola e alla gestione delle finanze portata avanti dal governo della sinistra di Akel, che ha portato a dover ricorrere al salvataggio internazionale nel 2013 e, ovviamente, l’annosa questione cipriota. Molti analisti vedevano, infatti, in una forte vittoria del partito di Anastasiades, un segnale positivo per dare nuovo slancio ai negoziati per la riunificazione dell’isola in una confederazione bi-zonale. Una proposta portata avanti proprio da Anastasiades, che nella primavera del 2015 aveva iniziato nuove consultazioni con il leader turco-cipriota, Mustafa Akinci. La parte settentrionale dell’isola infatti, dal 1974 è occupata illegalmente dai militari turchi, e ospita l'autoproclamata Repubblica turca di Cipro nord.

"Nei giorni immediatamente successivi alle elezioni mi aspetto un'intensificazione degli sforzi", aveva affermato, infatti, proprio Anastasiades, che si era anche sbilanciato dicendo di considerare quella attuale come “un'ottima opportunità per trovare una soluzione al nostro problema nazionale". Una visione, quella della federazione bi-zonale, avversata fortemente dai nazionalisti di Elam, che vorrebbero, invece, che la parte greco-cipriota riprendesse il pieno controllo della parte occupata, senza alcuna concessione per i turchi, perché riunire l’isola in una federazione, significherebbe di fatto, per i nazionalisti ciprioti, riconoscere implicitamente la Repubblica turca di Cipro nord. Riserve sulla possibilità di arrivare ad un accordo in tempi brevi sulla federazione sono state espresse, del resto, anche dal presidente del Parlamento di Nicosia, Yiannakis Omirou, che recentemente aveva affermato che, rispetto al raggiungimento di un accordo con le autorità di Cipro nord, “la Turchia non ha ancora dato segnali tangibili della sua buona volontà".


 

 

5) Croazia

Voto 11 settembre 2016

Risultati

Liste

Voti

 %

Seggi

 

 

       Unione Democratica Croata

       Partito Social-Liberale Croato

       Partito Cristiano Democratico Croato

682.687[1]

36,27

61[2]

 

Coalizione Kukuriku

       Partito Socialdemocratico di Croazia

       Partito Popolare Croato - Liberal Democratici

       Partito Contadino Croato

       Partito Croato dei Pensionati

636.602

33,82

54

 

Most nezavisnih lista

186.626[3]

9,91

13

 

Coalizione l'Unica Opzione

       Muro Vivente

       Cambiamo la Croazia

       Azione Giovani

       Partito Democratico Rurale Croato

117.208

6,23

8

 

Per un'Istria più forte

       Dieta Democratica Istriana

       Alleanza litoraneo-montana

       Lista per Fiume

43.180

2,29

3

 

Coalizione per il Primo Ministro

       BM 365 -Partito del Lavoro e della Solidarietà

       Partito Popolare - Riformisti

       Blocco Pensionati Uniti

       Nuova Onda - Partito dello Sviluppo

76.054[4]

4,04

2

 

       Alleanza Democratica Croata di Slavonia e Barania

       Partito Conservatore Croato

23.573

1,25

1

 

Altri

116.387[5]

6,18

-

Totale

1.940.396

 

151[6]

6) DANIMARCA

Il centrodestra ha vinto in Danimarca

Il centrodestra ha ottenuto 90 seggi in parlamento, 5 in più del centrosinistra; il partito anti-europeista Popolo Danese è stato il secondo più votato


In Danimarca la coalizione di centrodestra ha vinto le elezioni politiche che si sono tenute giovedì 18 giugno, 2015       ottenendo 90 seggi nel nuovo Parlamento rispetto agli 85 di quella di centrosinistra, che finora aveva governato il paese. Il primo ministro uscente, Helle Thorning-Schmidt, ha riconosciuto la sconfitta della sua coalizione di centrosinistra e ha annunciato le dimissioni da leader del Partito Socialdemocratico che comunque risulta il primo partito del paese per numero di voti ottenuti singolarmente. Ha poi detto di essere pronta per andare dalla regina per annunciare la fine del suo governo, spiegando che «ora tocca a Lars Lokke Rasmussen il compito di formarne uno nuovo». Rasmussen è il leader di Venstre, il partito liberale che fa parte della coalizione di centrodestra che ha vinto le elezioni e che fino ad ora era anche il primo partito del blocco. Stavolta Venstre si è fermato al 19,5 per cento (34 seggi) superato all’interno della sua stessa coalizione dal Partito del Popolo Danese che ha ottenuto il 21,1 per cento dei voti (37 seggi). Molti analisti ritengono sorprendente il risultato di Popolo Danese, il secondo partito più votato a queste elezioni, conosciuto soprattutto per le sue posizioni di destra e antieuropeiste.

 

Le elezioni in Danimarca erano state convocate con qualche mese di anticipo da Thorning-Schmidt, prima donna capo del governo nella storia del paese e alla guida del governo – con qualche difficoltà – dal 2011, cioè da quando i socialdemocratici erano tornati al governo dopo 10 anni di opposizione. L’esito delle elezioni era dato come molto incerto.

L’attribuzione dei seggi in Danimarca
I seggi del Parlamento danese
, il Folketing – che è un’assemblea legislativa monocamerale – sono 179 e per raggiungere la maggioranza è dunque necessario ottenerne 90. Alla Danimarca spettano 175 seggi, alle Isole Fær Øer 2 e alla Groenlandia altri 2. Dei 175 parlamentari che spettano alla Danimarca, 135 sono eletti in dieci circoscrizioni plurinominali con un sistema proporzionale, con soglia di sbarramento al 2 per cento. Gli altri 40 seggi, detti “di compensazione”, vengono attribuiti in modo da bilanciare qualsiasi differenza tra i risultati a livello circoscrizionale e quelli a livello nazionale (e sono divisi tra le liste che abbiano ottenuto almeno un seggio nelle circoscrizioni plurinominali, o che abbiano ottenuto la percentuale di voti più alta in due circoscrizioni elettorali, ovvero abbiano raggiunto la soglia di sbarramento).

Il governo fino a oggi
In Danimarca nel 2011 era stato formato un governo di minoranza. Venstre, il partito liberale, era stato il più votato alle elezioni ma il blocco di centrosinistra aveva ottenuto 92 deputati: i socialdemocratici, grazie all’alleanza con altre due forze di centrosinistra – il Partito social-liberale e il Partito socialista –, erano riusciti a tornare al governo. Nel febbraio del 2014 i socialisti danesi avevano lasciato la maggioranza, ma avevano garantito comunque sostegno esterno al governo: il motivo del disaccordo era stata la decisione di Thorning-Schmidt di permettere alla banca di investimenti Goldman Sachs di acquistare il 18 per cento delle quote controllate dallo Stato dell’azienda energetica Dong Energy A/S (pari a circa 1,5 miliardi di dollari), l’azienda più grande del paese nel settore dell’energia. Durante la legislatura, il governo era stato anche sostenuto, ma solo in alcuni casi, dall’Alleanza rosso-verde di estrema sinistra.

Popolo Danese
Il partito che in proporzione ha ottenuto il miglior risultato e di cui si parla molto è Popolo Danese. È noto per avere chiesto un referendum sulla permanenza della Danimarca nell’Unione Europea: alle elezioni europee del 2014 aveva ottenuto un ottimo risultato. Popolo Danese è diventato grazie alle ultime elezioni la seconda forza politica della Danimarca: è un partito di destra che aveva sostenuto il blocco formato dai liberali tra il 2001 e il 2011 contribuendo a far approvare in Danimarca una delle leggi più rigide in Europa in materia di immigrazione. I suoi esponenti hanno spesso usato parole molto forti e criticate nei confronti dei migranti e delle minoranze religiose: lo scorso ottobre, ad esempio, la loro portavoce sull’immigrazione aveva definito i profughi degli «arrivati indesiderabili, comunque si consideri la questione», diversi membri del partito hanno detto che l’Islam è «la più grave minaccia per la nostra civiltà» e l’ex presidente del partito Pia Kjaersgaard ha detto che in Danimarca alcuni quartieri «sono popolati da gente venuta da un livello di civiltà inferiore».

Il tema dell’immigrazione è stato comunque al centro della campagna elettorale. I socialdemocratici, che durante la campagna elettorale del 2011 promettevano di annullare alcune disposizioni contrarie all’immigrazione, hanno rivisto la loro linea per tre principali ragioni: l’aumento di consensi del Partito del Popolo Danese, gli attentati compiuti in febbraio a Copenaghen da un danese di origine palestinese, Omar al Hussein, che ha ucciso due persone, e il dibattito sull’introduzione di quote obbligatorie per l’accoglienza dei migranti in corso all’Unione europea. La Danimarca, come il Regno Unito, ha fatto appello alla clausola di esclusione che la tiene fuori da qualsiasi obbligo relativo al ricollocamento.


 

 

7) ESTONIA

Le elezioni parlamentari in Estonia del 2015 si sono tenute il 1º marzo. Esse hanno visto la vittoria del Partito Riformatore Estone di Taavi Rõivas, che ha dovuto tuttavia formare un governo di coalizione con il Partito Socialdemocratico e l'IRL.

Risultati

Liste

Voti

 %

 

 

 

Partito Riformatore Estone

158.971

27,69

30

 

Partito di Centro Estone

142.460

24,81

27

 

Partito Socialdemocratico

87.190

15,19

15

 

Unione della Patria e Res Publica

78.697

13,71

14

 

Partito Libero Estone

49.883

8,69

8

 

Partito Popolare Conservatore Estone

46.772

8,15

7

 

Verdi Estoni

5.193

0,90

-

 

Partito dell'Unità Popolare

2.289

0,40

-

 

Partito dell'Indipendenza Estone

1.047

0,18

-

 

Singoli candidati

887

0,15

-

 

Partito della Sinistra Unita Estone

764

0,13

-

Totale

574.153

 

101

 

 

8) FINLANDIA

FINLANDIA: Elezioni, Helsinki svolta a destra

Davide Denti 21 aprile 2015

I risultati delle elezioni in Finlandia, tenutesi domenica 19 aprile 2015 con un sistema proporzionale, fanno presagire una relativa svolta a destra per il paese nordico, con la fine dell’attuale grande coalizione tra Coalizione Nazionale, Socialdemocratici, Cristianodemocratici e Popolari Svedesi, guidata prima da Jyrki Katainen e oggi da Alex Stubb.

Come già era stato tra il 2003 e il 2011, i 4,5 milioni di elettori finlandesi hanno affidato la maggioranza relativa al Partito di Centro (Keskusta, agrari e conservatori) guidato dall’imprenditore di Oulu Juha Sipilä che raccoglie il 21,1% dei voti e 49 seggi (+5,3%, +14) all’Eduskunta, il Parlamento di Helsinki. Sipilä dovrebbe essere quindi il nuovo premier incaricato. Secondo il quotidiano Yle, sarà il caso ora che Sipilä abbandoni l’aura di mistero che l’ha finora accompagnato, e prenda posizione sui diversi dossier politici aperti per il paese.

Juha Sipilä, 54 anni fra pochi giorni, è un parvenu della politicaImprenditore di successo, negli anni ’90, intuendo il potenziale del mercato della telefonia mobile, fu maggiore azionario di Solitra, un’impresa di componenti per telefoni cellulari venduta per fior di milioni ad una compagnia statunitense. Sipilä viene eletto tra le fila del Keskusta alle elezioni parlamentari del 2011, anno in cui il partito dopo quattro anni al governo viene punito alle urne e perde sedici seggi. Nel 2012 diviene presidente del partito e, appena tre anni più tardi, il Centro torna al potere in Finlandia. Sipilä intende seguire una politica di tagli alla spesa pubblica, più flessibilità del mercato del lavoro e riduzione del welfare, misure in linea con le politiche d’austerità già intraprese dai governo Katainen e Stubb. Allo stesso tempo, Sipilä scommette sull’innovazione nel campo delle bioindustrie che, afferma, potrebbe portare alla creazione di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. Il suo è uno slogan semplice ma piuttosto indicativo: “Sistemiamo insieme la Finlandia”. Già, ma insieme a chi?

Per governare, in effetti, Sipilä dovrà costruire una coalizione di maggioranza. E qua sta il nodo sul ruolo che avranno, nel prossimo governo, i (Veri) Finlandesi di Timo Soini (Perussuomalaiset), partito di destra xenofobo e populista che con il 17,6% (-1,4%) ha ottenuto 38 seggi (-1). Nonostante il leggero calo, PS ha evitato il tracollo previsto dai sondaggi e si è ritrovato secondo partito del paese. “Siamo qui per restare”, ha dichiarato Soini in serata, anche se il suo compagno di partito Jussi Halla-Aho, ha aggiunto di non essere al 100% sicuro che il partito sia abbastanza matura da partecipare al governo. In base alla cultura politica finlandese, sarebbe difficile per loro sottrarsi alla partecipazione ad un nuovo governo. Secondo Teemu Lehtinen, “sarebbero visti come non in grado di assumersi delle responsabilità, ma solo di lamentarsi. Ora gli viene data una possibilità, e farebbero bene a prenderla”.

Terzo partner di governo, per Sipilä, sarebbe il Partito di Coalizione Nazionale (Kokoomus) dell’attuale premier Alex Stubb, liberale e liberista, favorevole all’integrazione europea e perfino all’adesione alla NATO, in un paese dalla tradizione neutralista come la Finlandia. Il Kokoomus, che con il 18,2% (-2,2%) ha ottenuto 37 seggi (-7), sarebbe l’ala europeista e liberista della coalizione e garantirebbe la continuità con i governi dell’ultima legislatura. Resterà probabilmente al governo, come da trent’anni a questa parte, anche il Partito Popolare della minoranza svedese con i suoi 9 seggi.

Resterebbe così escluso dai giochi il Partito Socialdemocratico di Antti Rinne (16,5%, -2,6%; 34 seggi, -8), uno dei grandi sconfitti della tornata elettorale. All’opposizione andrebbero anche i Verdi, in crescita (8,5%, +1,3%; 15 seggi, +5), e la Sinistra (7,1%, -1%; 12 seggi, -2); entrambi i partiti avevano abbandonato il governo Stubb per protesta contro la costruzione di nuove centrali nucleari. Per la prima volta entrano in parlamento anche due deputati di origine straniera, Ozan Yanar per i Verdi e Nasima Razmyar per i socialdemocratici (in Finlanda la popolazione immigrata non arriva al 3% del totale). Insieme, le forze di sinistra non arrivano ad un terzo dei seggi nel nuovo Parlamento. Secondo Josh Kitto, la mancanza di una risposta di sinistra alle politiche d’austerità è da collegare al ritardo nell’industrializzazione del paese, rimasto molto più rurale rispetto alle vicine Svezia e Norvegia, e al fatto che nell’immaginario collettivo la sinistra resta legata all’Unione Sovietica. Gli ultimi seggi sono andati ai Cristiano Democratici (5) e alla Coalizione delle isole Åland (1).

I maggiori partiti finlandesi – programmi alla mano – coincidono nel considerare necessario introdurre misure d’austerità per rilanciare l’economia finlandese sulmercato internazionale, anche se differiscono circa i modi di contenimento del debito pubblico. È dunque probabile che nelle consultazioni di governo saranno anche altri temi a giocare un ruolo determinante.  Sipilä potrebbe trovare difficoltà a costruire un programma comune con Stubb e Soini, specialmente se il Parlamento finlandese dovrà votare su un piano di salvataggio della GreciaGià nel 2011 il leader dei Veri Finlandesi si era dimostrato intransigente sulla questione. Oggi, tuttavia, potrebbe mostrarsi più malleabile per garantirsi il posto di governo.

Un altro aspetto importante riguarda la NATO e, di conseguenza, la Russia. Quello dell’adesione al Patto Atlantico è un tema ricorrente nel dibattito politico finlandese, ma anche molto delicato proprio in virtù del suo ingombrante vicino. La Russia ha sempre – più o meno indirettamente – posto il veto circa l’ipotesi di un’adesione congiunta di Svezia e Finlandia alla NATO. Sipilä non è ostile all’idea in sè, anche se preferirebbe un rafforzamento della cooperazione militare tra i paesi del Nord Europa – un progetto che, d’altro canto, è in cantiere già da un po’. Il peso della Russia deriva anche, o forse soprattutto),dal fatto di essere uno dei più importanti partner commerciali di Helsinki: le sanzioni UE per il ruolo di Mosca nella guerra in Ucraina, e le controsanzioni russe, hanno così colpito, seppur indirettamente, diverse compagnie finlandesi.

Insomma, le questioni sul tavolo sono diverse e, vista la relativa “opacità” del leader del Partito di Centro, sarebbe forse azzardato lanciarsi in previsioni circa l’esito delle consultazioni. Quel che è certo è che, senza Stubb e con un Soini in gran spolvero, la composizione della futura coalizione potrebbe avere conseguenze importanti sul piano internazionale. La Finlandia svolta a destra: resta solo da capire quanto.

 

 

9) Presidenziali Francia

 

- Primo turno - Risultati definitivi

       Affluenza: 77,8% (alla chiusura delle operazioni)

       Ultimo aggiornamento: 26 aprile 2017 ore 15:55

Emmanuel Macron

Centro

24,0%

Al ballottaggio

Marine le Pen

Estrema destra

21,3%

Al ballottaggio

François Fillon

Destra

20,0%

Jean-Luc Mélenchon

Estrema sinistra

19,6%

Benoît Hamon

Sinistra

6,4%

 

10) GERMANIA

Berlino, 25 settembre 2017 -

Il partito della cancelliera Angela Merkel vince le elezioni politiche in Germania.

 

Questi i risultati definitivi per il rinnovo del Bundestag, la camera bassa del Parlamento tedesco: la Cdu è il primo partito della Germania con il 33% dei voti (-8,5 rispetto al 2013). La Spd di Martin Schulz ottiene appena 20,5% (-5,2). L'AfD sfonda con il 12,6% (+7,9). L'affluenza definitiva, secondo i dati dell'ufficio elettorale federale, si è attestata al 76,2%.

BUNDESTAG E COALIZIONI - Tradotte in seggi queste percentuali danno al partito del cancelliere Angela Merkel 244 seggi sui 631 del nuovo Bundestag; 154 all'Spd di Schulz; 96 all'AfD; 77 ai liberali di Christian Lindner; 68 ai verdi di Katrin Goering-Eckardt; 66 la Linke di Katia Kipping. La maggioranza è di 353 deputati su 705 e l'ipotesi di coalizione Giamaica (dai colori) nero di Cdu/Csu, giallo dei liberali e verde dei Gruenen, avrebbe 389 seggi. Esclusa da Martin Schulz, leader dell'Spd che ha registrato il risultato peggiore della storia, una nuova Grosse Koalition, che avrebbe 398 voti.

 

 

 

 

11) GRECIA

25-sttembre 2015

 

Stato

 Grecia

 

Data

20 settembre 2015

 

 

 

 

 

 

 

 

Leader

Alexīs Tsipras

Vangelis Meimarakis

Nikólaos Michaloliákos

Partito

SYRIZA

Nuova Democrazia

Alba Dorata

Voti

1.925.904
35,46 %

1.526.205
28,10 %

379.581
6,99 %

Seggi

 

 

145 / 300

 

 

 

75 / 300

 

 

 

18 / 300

 

 

Parlamento uscente

Partito

25 Gen 2015
(Elezioni)

19 Set 2015
(Pre-elezioni)

 

 

Coalizione della Sinistra Radicale (SYRIZA)

 

 

149 / 300

 

 

 

123 / 300

 

 

Nuova Democrazia (ND)

 

 

76 / 300

 

 

 

76 / 300

 

 

Unità Popolare (LAE)

non esistente

 

 

26 / 300

 

 

Alba Dorata (XA)

 

 

17 / 300

 

 

 

17 / 300

 

 

To Potami

 

 

17 / 300

 

 

 

17 / 300

 

 

Partito Comunista di Grecia (KKE)

 

 

15 / 300

 

 

 

15 / 300

 

 

Greci Indipendenti (ANEL)

 

 

13 / 300

 

 

 

13 / 300

 

 

Movimento Socialista Panellenico (PASOK)

 

 

13 / 300

 

 

 

13 / 300

 

 

 

 

Procedimento elettorale

In Grecia il voto è obbligatorio;[2] ma generalmente, nessuna delle sanzioni previste dalla legge[ossia?] viene usata nei confronti dei non-votanti.[3][4]

I 300 seggi del Parlamento Ellenico vengono distribuiti così: 250 seggi sono assegnati con il metodo proporzionale con una percentuale minima (sbarramento) per accedere al Parlamento del 3%; i restanti 50 seggi sono assegnati automaticamente al partito (non alla coalizione) che riceve più voti.

Per avere la maggioranza parlamentare un partito o una coalizione dovrebbe controllare 151 seggi su 300. Le schede bianche o nulle, così come i voti per le forze politiche che non hanno raggiunto lo sbarramento del 3% non sono conteggiate per l'assegnazione dei seggi.[5]

 

di F. Q. | 20 settembre 2015

 

 

12) IRLANDA DEL NORD

 

Il 2 marzo  2016 si è votato per eleggere il parlamento dell’Irlanda del Nord, la regione irlandese del Regno Unito, che gode di alcuni poteri di autogoverno. Il Partito Democratico Unionista (DUP), conservatore, ha ottenuto il numero più alto di seggi nel parlamento, 28 su 90, ma la sua maggioranza si è notevolmente ridotta rispetto alle elezioni del maggio 2016, quando si era aggiudicato 38 seggi su 108 (il numero di parlamentari è stato ridotto, nel frattempo). Il DUP è la forza politica più grande tra quelle che rappresentano gli irlandesi del nord protestanti e favorevoli alla permanenza nel Regno Unito. Le elezioni sono state un successo per il Sinn Féin, il principale tra i partiti che in passato chiedevano l’indipendenza dell’Irlanda del Nord dal Regno Unito: ha ottenuto 27 seggi. Tenendo conto del cambiamento del numero di seggi del parlamento avvenuto l’anno scorso, il DUP è passato dal 35 per cento dei consensi al 31,1 in meno di anno; il Sinn Féin invece è passato dal 25 al 30 per cento.


Le elezioni sono state indette a causa di una crisi di governo cominciata con le dimissioni del vice primo ministro Martin McGuinness, leader del partito repubblicano Sinn Féin, che sosteneva che la prima ministra Arlene Foster, del DUP, dovesse lasciare il suo incarico per via di uno scandalo sulla gestione di un programma di incentivi per l’energia rinnovabile, che potrebbe costare all’Irlanda del Nord fino a mezzo miliardo di euro. Prima della crisi di governo, per circa dieci anni il DUP e il Sinn Féin hanno governato insieme, alleati con altri partiti più piccoli. Il sistema di governo nordirlandese è consociativista: cioè garantisce una rappresentanza ai diversi gruppi politici, molto diversi, presenti nella regione. In base al numero di seggi ottenuti in parlamento ciascun partito può gestire un certo numero di ministeri e le cariche di primo ministro e vice-primo ministro vanno sempre ai due partiti più grandi. L’ultimo governo è stato il primo a essere formato quasi esclusivamente da DUP e Sinn Féin da quando questo sistema è stato introdotto nel 1998 con la firma dell’Accordo del Venerdì Santo, uno dei più importanti sviluppi del processo di pace in Irlanda del Nord dopo anni di scontri tra indipendentisti e unionisti: dopo le elezioni del 2016 gli altri tre partiti più grandi hanno rinunciato ai loro ministeri per fare opposizione.

Ora il Partito Democratico Unionista e il Sinn Féin dovranno cercare di formare un nuovo governo di coalizione entro tre settimane: se non riusciranno ad accordarsi dovranno essere indette nuove elezioni e temporaneamente i poteri del governo nordirlandese saranno delegati al parlamento del Regno Unito. Sarebbe la prima volta che succede in dieci anni.

Alle elezioni del 2 marzo l’affluenza è stata la più alta dal 1998: ha votato il 64,8 per cento degli aventi diritto, contro il 54,9 per cento delle elezioni del 2016. Il partito per cui le elezioni sono andate peggio è stato il Partito Unionista dell’Ulster (PUU) – Ulster è il nome geografico dell’Irlanda del Nord – che è passato dal 14,8 all’11,1 per cento dei consensi: il suo leader Mike Nesbitt si è dimesso a causa del deludente risultato elettorale.


 

 

 

13) ITALIA

ELEZIONI 4 MARZO 2018

I risultati definitivi alla Camera:

       La coalizione di centrodestra ottiene il 37 per cento (Lega, FI, FdI, Noi con l’Italia-Udc)

       La coaliziona di centrosinistra 22,85 per cento

       Il M5S ottiene il 32,68 per cento

       PD 18,72 per cento

       Lega 17,37 per cento

       Forza Italia 14,01 per cento

       Fratelli d’Italia 4,35 per cento

       Liberi e Uguali 3,39 per cento

       + Europa 2,55 per cento

       Noi con l’Italia-UDC 1,30 per cento

       Potere al Popolo 1,13 per cento

       Casapound 0,95 per cento

       Popolo della famiglia 0,66 per cento

       Insieme 0,60 per cento

       Civica Popolare 0,54 per cento

I seggi alla Camera, dove non c’è maggioranza 

I dati del ministero dell’Interno indicano che non c’è alcuna maggioranza alla Camera (corrispondente a 316 seggi). Quanti seggi mancano al centrodestra o al M5S per formare un governo? 

Nello specifico:


 


       La coalizione di centrodestra: 263 seggi 

       La coalizione di centrosinistra: 117 seggi

       M5S: 222 seggi (il partito guidato da Di Maio è il primo gruppo parlamentare alla Camera)

       PD: 91 seggi

       Lega: 73 seggi

       Forza Italia: 59

       Fratelli d’Italia: 19

       Liberi e Uguali: 14 seggi

       Svp: 2 seggi

Risultati elezioni 2018: i seggi del nuovo Parlamento, alla Camera e al Senato

I risultati definitivi al Senato:

       La coalizione di centrodestra: 37,49 per cento 

       La coalizione di centrosinistra: 22,99 pre cento

       M5S: 32,22 per cento (

       PD: 19,12 per cento

       + Europa: 2,36 per cento

       Lega: 17,63 per cento

       Forza Italia: 14,43 per cento

       Fratelli d’Italia: 4,26 per cento

       Noi con l’Italia-Udc 1,19 per cento

       Liberi e Uguali: 3,28 per cento 

       Insieme 0,54 per cento

       Civica Popolare 0,52 per cento

       Potere al Popolo 1,06 per cento

       Casapound o,85 per cento

       Il Popolo della famiglia 0,70 per cento

I seggi al Senato: M5s primo gruppo

I dati indicano che non c’è alcuna maggioranza nemmeno al Senato. Quanti seggi mancano al centrodestra o al M5S per formare un governo? 

Nello specifico:

       La coalizione di centrodestra: 137 senatori  (tra collegi proporzionali e uninominali)

       La coalizione di centrosinistra: 59 senatori

       M5S: 112 senatori (il partito guidato da Di Maio è il primo gruppo parlamentare anche al Senato)

       PD: 45 senatori

       Lega: 37 senatori

       Forza Italia: 33 senatori

       Noi con l’Italia-Udc: 7 seantori

       Liberi e Uguali: 4 senatori

Risultati elezioni 2018: i seggi del nuovo Parlamento, alla Camera e al Senato

https://www.tpi.it/2018/03/07/diretta-elezioni-4-marzo-2018/

 

 

14) LETTONIA

Elezioni parlamentari in Lettonia del 4 OTTOBRE  2014

Elezioni parlamentari in Lettonia del 2014

Stato

 Lettonia

Data

4 ottobre

 

 

 

 

 

 

 

 

Leader

Nils Ušakovs

Laimdota Straujuma

Raimonds Vējonis

Partito

Partito Socialdemocratico "Armonia"

Unità

Unione dei Verdi e dei Contadini

Voti

209.887
23,15 %

199.535
22,01 %

178.210
19,66 %

Seggi

24

23

21

Primo ministro

Laimdota Straujuma

 2011 2018  

Le elezioni parlamentari in Lettonia del 2014 si sono tenute il 4 ottobre per il 12° Saeima.

In seguito alle elezioni parlamentari del 2011, il primo ministro uscente e leader del partito conservatore Unità, Valdis Dombrovskis, venne riconfermato a capo del governo, sostenuto da una coalizione composta da Unità, Partito della Riforma e Alleanza Nazionale. Dopo il crollo di un supermercato a Riga nel novembre 2013, Dombrovskis annunciò le sue dimissioni[1] e venne sostituito da Laimdota Straujuma, anch'essa esponente di Unità, che formò un nuovo governo sostenuto dai tre partiti che facevano già parte della precedente coalizione e dall'Unione dei Verdi e dei Contadini.

Le elezioni si sono tenute con un anno di anticipo, in quanto ai sensi dell'articolo 13 della Costituzione lettone, dal momento che le precedenti elezioni si erano svolte anticipatamente, la durata del mandato dei deputati è stata solo di tre anni anziché i quattro ordinari.

Per questa tornata elettorale il Partito della Riforma ha deciso di presentare i propri candidati nelle liste del Partito Socialdemocratico "Armonia", mentre il Partito Socialdemocratico dei Lavoratori ha deciso di presentarsi all'interno dell'Associazione Lettone delle Regioni[2].

I partiti a superare la soglia di sbarramento del 5% sono stati sei: il Partito Socialdemocratico "Armonia", Unità, Unione dei Verdi e dei Contadini, Alleanza Nazionale e i due nuovi partiti Dal Cuore per la Lettonia e Associazione Lettone delle Regioni.

Risultati

Liste

Voti

 %

 

 

 

Partito Socialdemocratico "Armonia"

209.887

23,15

24

 

Unità

199.535

22,01

23

 

Unione dei Verdi e dei Contadini

178.210

19,66

21

 

Alleanza Nazionale

151.567

16,72

14

 

Dal Cuore per la Lettonia

62.521

6,90

7

 

Associazione Lettone delle Regioni

60.812

6,71

8

 

Unione Russa di Lettonia

14.390

1,59

-

 

Uniti per la Lettonia

10.788

1,19

-

 

Per lo Sviluppo della Lettonia

8.156

0,90

-

 

Nuovo Partito Conservatore

6.389

0,70

-

 

Libertà. Liberi dalla Paura, dall'Odio e dalla Rabbia

1.735

0,19

-

 

Crescita

1.515

0,17

-

 

Sovranità

1.033

0,11

-

Totale

906.538

 

100

 

 

15) LITUANIA

Elezioni parlamentari in Lituania del 2016


 


Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


 

Liste

Proporzionale

Maggioritario

Seggi

 

Voti

%

Seggi

Seggi

 

Unione della Patria - Democratici Cristiani di Lituania

276.275

22,63

20

11

31

 

Unione dei Contadini e dei Verdi di Lituania

274.108

22,45

19

35

54

 

Partito Socialdemocratico di Lituania

183.597

15,04

13

4

17

 

Movimento dei Liberali della Repubblica di Lituania

115.361

9,45

8

6

14

 

Partito di Centro di Lituania - Partito dei Pensionati Lituani

77.114

6,32

-

1

1

 

Azione Elettorale dei Polacchi in Lituania

69.810

5,72

5

3

8

 

Ordine e Giustizia

67.817

5,55

5

3

8

 

Partito del Lavoro

59.620

4,88

-

2

2

 

Unione della Libertà di Lituania (Liberali)

27.274

2,23

-

-

-

 

Partito dei Verdi di Lituania

24.727

2,03

-

1

1

 

Lista della Lituania

21.966

1,80

-

1

1

 

Partito Popolare di Lituania

12.851

1,05

-

-

-

 

Unione dei Nazionalisti Lituani - Giovane Lituania

6.867

0,56

-

-

-

 

Via del Coraggio

3.498

0,29

-

-

-

 

Indipendenti

-

-

-

4

4

Totale

1.220.885

 

70

71

141

Collegamenti esterni

 


 

16) LUSSEMBURGO

Le elezioni legislative in Lussemburgo del 2013 si sono tenute il 20 ottobre. A seguito delle elezioni, il Partito Popolare Cristiano Sociale di Jean-Claude Juncker è rimasto il maggior partito in parlamento; ciononostante, è divenuto Primo ministro Xavier Bettel, leader del Partito Democratico, e il Partito Popolare Cristiano Sociale è passato all'opposizione.

Risultati

Liste

Voti

 %

 

 

 

Partito Popolare Cristiano Sociale

1.103.636

33,68

23

 

Partito Operaio Socialista Lussemburghese

664.586

20,28

13

 

Partito Democratico

597.879

18,25

13

 

I Verdi

331.920

10,13

6

 

Partito Riformista di Alternativa Democratica

217.683

6,64

3

 

La Sinistra

161.759

4,94

2

 

Altri

199.229

6,08

-

Totale

3.276.692

 

60

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Template:Politica_Lussemburgo

 

 

 

 

17) MALTA

 

Le elezioni parlamentari a Malta del 2017 si sono svolte il 3 giugno per eleggere i componenti del Parlamento di Malta.

La legislatura corrente si sarebbe conclusa nel 2018, cinque anni dopo l'ultima consultazione nel 2013. Il voto è stato però anticipato di un anno per volontà del Primo Ministro Joseph Muscat che annunciò tale decisione durante una manifestazione del Partito Laburista per la Festa del lavoro motivandola con la volontà di salvaguardare la stabilità economica. [1][2] L'opposizione ha denunciato le elezioni anticipate come tentativo di insabbiare lo scandalo relativo ai Panama Papers.[3]

Il sistema elettorale maltese è di tipo proporzionale, con ripartizione effettuata tramite voto singolo trasferibile.[4]

I risultati elettorali hanno riconfermato al goveno il Partito Laburista maltese, con il 55% dei voti. [5] L'affluenza alle urne è stata del 92% (-1% rispetto al 2013). [6]

Risultati

Partito

Voti

%

Seggi

+/–

 

Partito Laburista

170,976

55,04

37

-2

Forza Nazzjonali (PNPD)

135,696

43,68

30

=

Alternativa Democratica

2,564

0,83

0

=

Movimento Patrioti Maltesi

1,117

0,36

0

=

Alleanza Bidla

221

0,07

0

=

Indipendenti

91

0,03

0

=

Nulle/bianche

4,031

1,3

Totale

314,696

92,1

67

-2

Aventi diritto/affluenza

341,856

 

Fonte: Electoral Commission

 

 

18 ) (Paesi Bassi) OLANDA

 

Risultati Elezioni Olanda 2017: i dati definitivi. Il populista Wilders non ce la fa, vince Rutte

Flavia Provenzani

16 Marzo 2017 -

Risultati Elezioni Olanda 2017: verso i dati definitivi dei seggi al Parlamento divisi per partito e le percentuali di voto. Sconfitta del populista Wilders, vince primo ministro Rutte. La guida completa.

 


Risultati delle Elezioni Olanda 2017: arrivano i dati definitivi. Il populista Geert Wilders è stato sconfitto ed arriva secondo, come mostrato dagli exit poll fin dalla chiusura dei seggi. Il vincitore delle elezioni olandesi è l’attuale primo ministro liberale Mark Rutte.

Oltre 13 milioni di olandesi si sono recati alle urne per decidere il nome del nuovo primo ministro e la composizione del Parlamento, segnando il dato sull’affluenza (oltre l’80%) più alto degli ultimi trent’anni.
I risultati definitivi e i dati per partito circa i posti al Parlamento conquistati in queste elezioni 2017 (al momento è stato conteggiato il 96% delle schede) confermano quanto emerso durante la notte: una disfatta del populista Geert Wilders (estrema destra) a favore della conferma di Mark Rutte (liberale) come primo ministro.


l Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VVD), del primo ministro uscente conservatore Mark Rutte, ha vinto le elezioni politiche che si sono tenute ieri nei Paesi Bassi. A spoglio delle schede quasi ultimato, il VVD ha ottenuto il 21,3 per cento dei voti, mantenendo un ampio vantaggio sul Partito per la Libertà (PVV), il movimento xenofobo di Geert Wilders che era dato tra i favoriti durante la campagna elettorale. Il PVV ha comunque ottenuto il 13,1 per cento dei voti ed è il secondo partito nel paese, di poco avanti rispetto ad Appello Cristiano (CDA) e ai Democratici 66 (D66), che hanno ottenuto entrambi il 12 per cento circa. Il Partito Socialista (SP) ha ottenuto il 9 per cento dei voti, così come Sinistra Verde (GL), che ha quadruplicato i seggi rispetto alle ultime elezioni, mentre i laburisti dell Partito del Lavoro (PvdA) si sono fermati al 5,7 per cento, un risultato molto inferiore rispetto alle elezioni del 2012 quando ottennero il 24,8 per cento. L’affluenza è stata dell’80 per cento circa, la più alta degli ultimi 30 anni, e secondo gli analisti ha favorito il VVD, evitando che il PVV potesse prevalere.

Festeggiando la vittoria del suo partito, che con ogni probabilità implicherà la sua conferma come primo ministro, Rutte ha detto che i Paesi Bassi “hanno respinto il populismo”, facendo riferimento al partito di Wilders, che aveva condotto una campagna elettorale molto dura, soprattutto sull’immigrazione. Wilders aveva promesso di fare uscire i Paesi Bassi dall’Unione Europea, di chiudere tutte le moschee nel paese e di bandire il Corano. Le politiche di ieri erano considerate un importante test per verificare la tenuta dei partiti più tradizionali, contro l’emergere e il rafforzamento dei movimenti populisti. Alcuni sondaggi nelle ultime settimane avevano dato come possibile una rimonta del PVV, che non è poi avvenuta nei fatti. Anche per questo motivo i principali leader europei si sono congratulati subito con Rutte per la vittoria, compreso il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker.

A scrutinio quasi completato, la suddivisione dei seggi (tra parentesi il risultato nel 2012):

       Partito Popolare per la Libertà (VVD) – 33 (41)

       Partito per la Libertà (PVV) – 20 (15)

       Appello Cristiano (CDA) – 19 (13)

       Democratici 66 (D66) – 19 (12)

       Partito Socialista (SP) – 14 (15)

       Sinistra Verde (GL) – 14 (4)

       Partito del Lavoro (PvdA) – 9 (38)

       Unione Cristiana (CU) – 5 (5)

       Partito per gli Animali (PvdD) – 5 (2)

       50Plus (50+) – 4 (2)

       Partito Politico Riformato (SGP) – 3 (3)

       Denk (DENK) – 3 (0)

       Forum per la Democrazia (FvD) – 2 (0)

Wilders ha commentato i risultati dicendo di non avere ottenuto “i 30 seggi che speravo, ma ne abbiamo comunque guadagnato qualcuno e la primavera patriottica potrà ancora avvenire”. Il leader di PVV ha poi detto che Rutte “non ha ancora visto tutto di me” e che farà opposizione in Parlamento alle sue politiche.

Per poter governare, il VVD dovrà formare una coalizione. In campagna elettorale Rutte ha escluso la possibilità di coinvolgere il PVV, mentre ha detto in più occasioni di essere aperto a comprendere nella nuova coalizione CDA e D66, arrivati terzo e quarto alle elezioni. Potrebbero essere necessari mesi prima di trovare un accordo tra i partiti.

 

 

19) POLONIA

DATA  25-10-2015

La destra anti-Ue trionfa in Polonia e governa da sola: l’ex primo ministro Kaczynski stravince le politiche, con la premier designata Szydlo che potrà formare un esecutivo senza alleati. È il risultato delle elezioni con cui la Polonia svolta a destra. Per la prima volta nella storia post-comunista del Paese nessuna forza di sinistra ha i numeri per entrare in parlamento. E ora l’Europa teme una svolta “alla Orban”, soprattutto sul tema caldo dei migranti. 

Il Diritto e Giustizia (PiS), partito ultranazionalista, populista ed euroscettico è il grande vincitore. Quando i dati non sono ancora definitivi la candidata di PiS, la 52enne antropologa Beata Szydlo, avrebbe conquistato il 39,1 % dei voti, mentre l’attuale premier, la centrista di Piattaforma Civica Ewa Kopacz, che ha preso il posto ai vertici del partito e del governo quando il carismatico Donald Tusk è volato a Bruxelles da presidente del Consiglio europeo, si sarebbe fermata a 23,4%. Il PiS avrebbe dunque la maggioranza assoluta e quindi potrebbe governare senza bisogno di alcuna alleanza.  

La rock-star anti-sistema Kukiz avrebbe il 9%, e diventerebbe la terza forza del Paese, mentre non ce l’ha fatta il gruppo di Sinistra Unita di Barbara Nowacka ferma al 6,6% (la soglia di sbarramento per i gruppi è l’8%) 

La svolta a destra  

Ma l’unico dato certo, mentre nella notte iniziavano ad arrivare le prime proiezioni, è l’affluenza, molto alta rispetto alla media degli appuntamenti elettorali polacchi: alle 17 aveva votato il 38,97 per cento degli aventi diritto. Ancora una volta, come successe nel 2011 e soprattutto la scorsa primavera, quando venne eletto presidente l’esponente di PiS Duda, il voto fotografa un Paese spaccato letteralmente in due: a Est e nelle regioni più povere e rurali hanno scelto in massa il PiS (e hanno votato di più), mentre Piattaforma civica ha raccolto consensi soprattutto nelle città e nelle aree a ovest della Vistola, verso la Germania.  

La retorica anti migranti  

Gran parte dell’elettorato, stufo dopo otto anni di governo di Po, cui rimproverava di non aver ridistribuito ai cittadini i benefici del boom economico e di aver lasciato indietro le fasce più deboli, ha deciso quindi di virare a destra e lasciarsi sedurre dalle promesse di PiS che difende l’importanza del ruolo dei cattolici e dei valori patriottici, rilancia la crescita attraverso gli investimenti statali e vuole sottrarre il Paese allo «strapotere di Bruxelles» e alle sue direttive anti-polacche, soprattutto quelle energetiche. Grande peso nella campagna elettorale è stato dato al «problema» dei flussi di migranti, secondo la destra «portatori di malattie e minaccia alla sicurezza del Paese», e la scelta di dare un «voto religioso» e non politico. E nelle prossime ore si saprà con certezza se il partito Diritto e giustizia (PiS), potrà governare da solo o sarà costretto a stringere alleanze. Impresa non facile, dal momento che per ora l’unica formazione che sembra essere disponibile a entrare in un governo PiS potrebbe essere il Psl, il partito del Popolo polacco, di centrodestra. 

Il futuro nell’Europa  

Secondo gli analisti il voto di ieri cambierà il ruolo della Polonia in Europa e la sua posizione sulla crisi dei rifugiati. I polacchi hanno ricevuto il sostegno dell’Unione (che dal 2007 al 2020 ha garantito finanziamenti per 180 miliardi di euro) e la quasi totalità dei suoi cittadini (91%) si dichiara europeista, ma nonostante tutto l’idea di essere costretti ad accettare le quote di rifugiati imposte da Bruxelles non deve essergli andato giù: il presidente del PiS, Jarosław Kaczynski, ha «avvertito» il Paese che i 7.000 richiedenti asilo che la Polonia ha accettato di accogliere «porteranno malattie», e il suo soldato, la futura premier Beata Szydło, spesso paragonata a Marine Le Pen, ha detto di ispirarsi alle politiche dell’ungherese Orban. E paradossalmente l’ultranazionalismo del PiS potrebbe favorire Putin, anziché indebolirlo, perché rafforzerebbe ulteriormente le fila di quelle forze che vorrebbero un’Unione europea più debole e un’Europa ancora più divisa.

 

20) PORTOGALLO

4- Ottobre 2015

 

Era l’occasione perfetta per fare i conti con il governo di Pedro Passos Coelho. Quello dei tagli, delle privatizzazioni e dell’aumento delle tasse. Una politica di austerità che perfino la Corte Costituzionale portoghese aveva cercato di rovesciare. Eppure domenica la destra ha riconquistato il Paese, ma senza maggioranza assoluta, così come annunciavano praticamente tutti gli exit poll. Portugal à Frente, la coalizione guidata dall’attuale premier portoghese ha ottenuto il 36,8% dei voti e poco meno di 100 deputati (erano 132 nel 2011). Ma per ottenere la maggioranza assoluta serviva raggiungere almeno il 45% e 116 seggi. Il nuovo esecutivo dovrà fare i conti con le cifre e cercare qualche escamotage per formare, secondo alcuni analisti, perfino un governo di minoranza. L’antico sfidante, il partito socialista guidato da António Costa si ferma al 32,3% e 80 deputati: nonostante la pesante sconfitta il leader ha già annunciato in nottata che non si dimetterà né farà alcun tipo di alleanze.

Dietro ai due grandi partiti tradizionali, si piazza il Bloco de Esquerda, il Syriza portoghese guidato da Caterina Martins e Mariana Mortágua, che ottiene il 10,2% e 17 seggi (nel 2011 erano 8) e supera a sorpresa la coalizione di comunisti e verdi (8,2%). “Se il presidente della Repubblica darà mandato per formare un governo di destra, voteremo contro”, dicono dal partito che chiede una rinegoziazione del debito, cui il leader dei socialisti si oppone, e la fine dell’austerità. Insomma “tutta è aperto” come scrive lunedì in un editoriale il quotidiano portoghese Publico: il premier Passos Coelho è più fragile, il partito perde migliaia di voti e il Parlamento sembra molto più colorato di prima. “Sarebbe strano che chi abbia vinto le elezioni non possa governare”, ha detto lo stesso premier del Portogallo, “ma è importante riconoscere che il Parlamento è diverso”. Senza una maggioranza, il presidente della Repubblica Anibal Cavaco Silva gioca un ruolo decisivo per il futuro del Paese. Se incaricherà Passos Coelho di formare un governo, la maggior parte del Parlamento voterà contro e in quel caso potrebbero essere indette nuove elezioni entro sei mesi.

Il Paese resterebbe in mano a un governo tecnico di centrodestra fino a metà del 2016, e se i socialisti non entreranno in gioco, il Portogallo potrebbe finire in una strada senza uscita. La vittoria di Portugal à Frente resta comunque la prima vittoria di un governo che ha applicato le dure ricette della troika per uscire dalla crisi. Lisbona è stata sempre l’alunna perfetta e un esempio da citare in lungo e largo per la cancelliera Angela Merkel, specialmente quando Syriza per la prima volta arrivava al governo di Atene con l’intenzione di rinegoziare il debito. Fu proprio Passos Celho il più duro tra i leader dei Paesi del Sud Europa, mostrandosi assolutamente contrario a qualsiasi piano di Varoufakis, l’ex ministro delle Finanze di Atene. Durante i quattro anni di governo, tre dei quali con le ricette della troika, il centrodestra ha ridotto la disoccupazione di circa cinque punti e il deficit dal 7,5 al 3%, secondo le previsione per quest’anno, e ha portato avanti privatizzazioni per un valore circa di 10 miliardi di euro, ma nonostante questo il debito è aumentato fino al 128,5% del Pil. Tant’è che la campagna dell’esecutivo non è stata basata né su promesse sociali né su tagli fiscali: il peggio è passato, meglio non cambiare governo, è stato in sostanza il refrain di Coelho. Al di là dell’arco parlamentare più complicato da gestire – più a sinistra che a destra – che i portoghesi siano stanchi di tirare la cinghia lo dice chiaramente anche un altro dato: l’astensionismo da record. Più del 43% della popolazione è rimasta a casa. Un segno di sfiducia.

 

21) REGNO UNITO

Data 8-6-2017

Le elezioni politiche nel Regno Unito sono finite con una sconfitta per i Conservatori della prima ministra uscente Theresa May. Il partito ha ottenuto più voti in assoluto, ma ha perso la maggioranza in Parlamento e non potrà quindi governare da solo come aveva fatto negli ultimi anni, fino alla decisione di May di chiedere elezioni anticipate nella convinzione di potere ottenere più seggi per i Conservatori. I Laburisti di Jeremy Corbyn hanno recuperato rispetto all’elezione precedente, ottenendo un numero più alto di seggi, ma non avrebbero comunque i numeri per governare nemmeno se si mettessero d’accordo con il Partito Nazionale Scozzese e con i LibDem (che hanno già annunciato di non voler formare una coalizione). Quella che segue è la situazione, quando manca ancora uno dei 650 seggi parlamentari da assegnare.

Partito

Seggi

+/-

 

Conservatori

318

-12

Laburisti

261

+31

Partito Nazionale Scozzese

35

-19

LibDem

12

+3

Partito Unionista Democratico

10

+2

Altri

13

-2

Partito

Voti in %

+/-

 

Conservatori

42,4

+5,5

Laburisti

40

+9,6

LibDem

7,3

-0,6

Partito Nazionale Scozzese

3,0

-1,7

UKIP

1,8

-10,8

Green

1,6

-2,1

Partito Unionista Democratico

0,9

0,3

       In Inghilterra i Conservatori hanno vinto con il 45,5 per cento dei voti contro il 42,1 per cento dei Laburisti.

       Nel Galles i Laburisti sono arrivati al 48,9 per cento, guadagnando il 12,1 per cento rispetto all’elezione precedente; i Conservatori sono al 33,6 per cento con un guadagno del 6,3 per cento. Lo UKIP ha perso l’11,6 per cento fermandosi al 2 per cento.

       In Scozia il Partito Nazionale Scozzese è primo con il 36,9 per cento dei voti, ma ha perso il 13,1 per cento rispetto alle politiche del 2015. I Conservatori sono al 28,6 per cento con un guadagno del 13,7 per cento, mentre i Laburisti si sono fermati al 27,1 per cento, pur guadagnando quasi 3 punti percentuali.

       L’affluenza è stata del 68,7 per cento.

 

 

 

 

22) REPUBBLICA CECA

 

Il suffragio Elezioni politiche nella Repubblica Ceca, trionfa Babis Babis è conosciuto come il ' Tycoon dell'Est '. Populista, vuole cacciare gli immigrati ed è indagato per frode fiscale.

 Secondi i Civici democratici, di Ods, formazione di destra Tweet di Tiziana Di Giovannandrea.

 

 21 ottobre 2017 Nella Repubblica Ceca si sono svolte le elezioni politiche per rinnovare la Camera dei Deputati (composta da 200 deputati). In testa alle elezioni è "Alleanza dei Cittadini Scontenti" (in ceco Ano) compagine populista del milionario, magnate, imprenditore ed ex ministro delle Finanze Andrej Babis: con il 29,64% dei voti e 78 seggi guadagnati sta per diventare il nuovo premier. Babis, che ha 63 anni, possiede i principali giornali del paese,una radio e una rete televisiva ed ha promesso di gestire il Governo come un'impresa; vuole gli immigrati fuori dal paese ed è indagato per frode fiscale. A seguire si sono attestati al secondo posto i Civici democratici, di Ods il più forte partito della destra che ha guadagnato l'11,32% e 25 parlamentari. Al terzo posto il Partito Pirata con il 10,79% e 22 seggi. Ugual numero di seggi sono andati anche agli estremisti della formazione xenofoba e anti-europeista del Partito della Libertà e della Democrazia, Spd, che hanno guadagnato il quarto posto con il 10,64%. Seguono al quinto posto i comunisti non riformati Kscm con il 7,76% e 15 seggi. Il partito socialdemocratico Čssd, con cui Babis ha governato negli ultimi quattro anni in coalizione, smette di essere il primo partito del Paese e perde quasi la metà del suo elettorato rispetto a quattro anni fa, attestandosi al 7,27% e 15 parlamentari. Ai popolari Kdu-Csl il 5,8% attribuisce 10 seggi mentre i conservatori del Top09 con il 5,31% ottengono 7 seggi. Gli ultimi a superare lo sbarramento, che vige nella Repubblica Ceca del 5%, è il Movimento sindaci e indipendenti Stan con il 5,18% e 6 seggi. L'affluenza alle urne è stata del 60,84% degli aventi diritto al voto. Babis ottiene 13 punti in più rispetto al risultato elettorale del 2013. Egli è il proprietario di Agrofert, una grande azienda chimica ed agroalimentare che impiega in Repubblica Ceca più di 30 mila persone e ha un valore stimato di più di 4 miliardi di dollari: possiede terreni agricoli, catene di negozi e nel tempo ha acquisito società in vari settori, compreso quello dei media. Il ' Trump ceco ' nega di aver commesso illeciti e sostiene che le accuse nei suoi confronti siano motivate da questioni politiche. Nonostante gli addebiti che sono stati rivolti a Babis, il presidente della Repubblica Miloš Zeman, un populista vicino a Putin, ha più volte ripetuto che nel caso di vittoria del partito Ano nominerà come primo ministro Babis, anche se dovesse finire in prigione. La vittoria di Andreij Babis viene commentata dagli osservatori internazionali come una nuova sconfitta per la socialdemocrazia in Europa, in quanto nei paesi dell’Europa centro-orientale il risentimento verso l’Ue e la questione dei migranti hanno contribuito a portare alla vittoria i partiti nazionalisti, euroscettici e populisti come è accaduto già in Polonia e in Ungheria. Tweet MONDO Una perturbazione nella forza (elettrica) rallenta gli orologi in Europa Elefanti come trofei da salotto. Trump: "Spettacolo horror" anzi no e riapre all'importazione in Usa La benedizione dell'ex stella NBA Dennis Rodman: "Bravo Trump ad accettare di incontrare Kim" I siti e i temi online venerdì 9 marzo: la rassegna stampa internazionale di Rainews24 Dalla guerra di insulti alla svolta. Quando Trump diceva a Kim: "Mio pulsante nucleare è pù grosso" Rai - Radiotelevisione Italiana Spa Sede legale: Viale Mazzini, 14 - 00195 Roma Cap. Soc. Euro 242.518.100,00 interamente versato Ufficio del Registro delle Imprese di Roma © RAI 2014 - tutti i diritti riservati. P.Iva 06382641006 Privacy policy Cookie policy Società trasparente - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Repubblica-Ceca-alle-elezioni-parlamentari-sceglie-Babis-971461dd-5a20-4a32-8c88-d8894e252862.html

 

 

 

 

23) ROMANIA

 

Il partito di Liviu Dragnea stacca di oltre 20 punti i liberali di centrodestra. Il voto si tiene a un anno dall’uscita di scena dell’ex premier socialdemocratico Victor Ponta, costretto alle dimissioni nel novembre 2015

di F. Q. | 12 dicembre 2016

 

La Romania torna alle urne e con solo il 39% di affluenza vince il Partito socialdemocratico (Psd) di Liviu Dragnea (nella foto). Incassa il 46% dei voti in entrambe le camere e stacca di oltre venti punti il Partito nazionale liberale (Pnl, centrodestra) che ottiene rispettivamente il 20,26% al Senato e il 19,88% alla Camera. I rumeni hanno votato per le politiche al termine di una campagna elettorale segnata dai temi dominanti della lotta alla corruzione dilagante, delle promesse di migliori condizioni di vita e di una ulteriore integrazione europea con la speranza dell’adesione all’area Schengen. E il risultato elettorale – nel quale però non sono ancora stati inclusi i voti dei rumeni all’estero – dimostra come i cittadini desiderino avvicinarsi ancor più alla Ue.

La soluzione più semplice per il post-elezioni, secondo quanto emerge dalla stampa, è di affidare l’incarico al primo partito per numero di voti ottenuti, ma non è ancora chiaro chi sia il candidato premier e il nome scelto dal Psd potrebbe determinare la scelta del presidente della Repubblica Klaus Iohannis (indipendente). Il voto si tiene a un anno dall’uscita di scena dell’ex premier socialdemocratico Victor Ponta, costretto alle dimissioni nel novembre 2015 dopo una lunga serie di manifestazioni popolari nelle quali decine di migliaia di persone scesero in piazza per giorni per contestare i politici corrotti. Lo stesso Ponta era oggetto di un procedimento giudiziario per accuse di corruzione e le manifestazioni denunciarono anche i mancati controlli di sicurezza dopo la tragedia di fine ottobre 2015, quando in un incendio in una discoteca di Bucarest persero la vita 64 giovani (tra i quali la studentessa napoletana Tullia Ciotola).

Alla guida del governo fu chiamato Dacian Ciolos, l’attuale premier che dal 2010 al 2014 è stato commissario europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, uomo che ha traghettato il Paese alle elezioni. Su posizioni indipendenti e pur non avendo alcuna precisa casacca politica, Ciolos si è guadagnato un diffuso apprezzamento, e lo schieramento conservatore – formato da una alleanza fra il Partito nazionale liberale (Pnl) del presidente della repubblica Klaus Iohannis e l’Unione per la salvezza della Romania (Usr), una nuova formazione di centrodestra fondata da Nicusor Dan – ha fatto sapere che lo confermerà alla guida del governo in caso di vittoria elettorale. Ciolos, però, sembra destinato a uscire di scena.


, il Folketing – che è un’assemblea legislativa monocamerale – sono 179 e per raggiungere la maggioranza è dunque necessario ottenerne 90. Alla Danimarca spettano 175 seggi, alle Isole Fær Øer 2 e alla Groenlandia altri 2. Dei 175 parlamentari che spettano alla Danimarca, 135 sono eletti in dieci circoscrizioni plurinominali con un sistema proporzionale, con soglia di sbarramento al 2 per cento. Gli altri 40 seggi, detti “di compensazione”, vengono attribuiti in modo da bilanciare qualsiasi differenza tra i risultati a livello circoscrizionale e quelli a livello nazionale (e sono divisi tra le liste che abbiano ottenuto almeno un seggio nelle circoscrizioni plurinominali, o che abbiano ottenuto la percentuale di voti più alta in due circoscrizioni elettorali, ovvero abbiano raggiunto la soglia di sbarramento).

 di civiltà inferiore».

Il tema dell’immigrazione è stato comunque al centro della campagna elettorale. I socialdemocratici, che durante la campagna elettorale del 2011 promettevano di annullare alcune disposizioni contrarie all’immigrazione, hanno rivisto la loro linea per tre principali ragioni: l’aumento di consensi del Partito del Popolo Danese, gli attentati compiuti in febbraio a Copenaghen da un danese di origine palestinese, Omar al Hussein, che ha ucciso due persone, e il dibattito sull’introduzione di quote obbligatorie per l’accoglienza dei migranti in corso all’Unione europea. La Danimarca, come il Regno Unito, ha fatto appello alla clausola di esclusione che la tiene fuori da qualsiasi obbligo relativo al ricollocamento.


 

 

 

 

24) Slovacchia

Slovacchia senza governo. I populisti di Fico primi ma non vincono

Il partito Smer si ferma al 28,6 per cento, ben al di sotto del 44 per cento delle elezioni precedenti. I toni duri sull'emergenza migranti e gli slogan xenofobi non hanno pagato. Per governare il premier uscente dovrà trovare alleati e non sarà facile

di ANDREA TARQUINI 05 marzo 2016

 

Il primo ministro Robert Fico (reuters) BERLINO - Esplode una crisi politica in un piccolo ma decisivo paese del Centroeuropa, proprio alla vigilia del summit Ue di Bruxelles sull'emergenza immigrazione. Alle elezioni politiche svoltesi oggi in Slovacchia il premier socialista-populista e xenofobo Robert Fico, che sperava di stravincere avendo impostato la sua campagna con i toni più brutalmente razzisti contro i migranti di religione islamica, ha ottenuto moltI meno voti del previsto. Non ha convinto promettendo "porte chiuse ai musulmani, no all'illusione della società multiculturale, stretta sorveglianza poliziesca per ogni musulmano a casa nostra perché la sicurezza dei cittadini è prioritaria". Fico dovrà cercarsi un alleato se vorrà essere capo del governo per la terza volta, ma sarà difficilissimo trovarlo. Seconda forza politica è infatti il partito liberale Sas di Richard Sulik, falco della Bundesbank nel no a nuovi aiuti alla Grecia ma lontano dalla linea dura anti-migranti portata avanti da Fico insieme ai leader ungherese e polacco, Viktor Orbàn e Jaroslaw Kaczynski, e col presidente cèco Milos Zeman. Bratislava rischia l'ingovernabilità proprio mentre si prepara ad assumere il semestre di presidenza di turno dell'Unione. Entra in Parlamento anche l'estrema destra di Marian Kotleba, ma per il premier uscente sparare a zero verbalmente contro i migranti non ha pagato.

Lo Smer, cioè il partito socialista-populista di Fico (che appartiene al Partito socialista europeo nonostante la deriva xenofoba e lo stile autoritario del leader) non arriva al 35 per cento previsto dagli ultimi sondaggi, ma appena al 28,6 per cento che corrisponde a meno di 50 seggi sui 150 del Parlamento. Un crollo rispetto al 44,4 per cento della consultazione precedente. E troppo poco per cercarsi alleati da una posizione di forza. Il Sas di Sulik è secondo all'11,5 per cento. Lo Olano (partito della gente comune), un gruppo che punta sullo scontento dei ceti svantaggiati dallo sviluppo da capitalismo selvaggio, dalle disuguaglianze sociali e dalla corruzione, è al 10,8 per cento, l'estrema destra dell'Lsns è arrivata all'8,2 per cento, il Siet - una forza politica che lotta duramente contro lo strapotere di fondi finanziari e oligarchi - conquista il 5,5 per cento. In tutto sono otto le formazioni che hanno superato la soglia del 5 per cento necessaria ad entrare in Parlamento.

In ogni caso dal voto non emerge alcuna formula di governabilità o maggioranza omogenea. Tutti i partiti che tallonano lo Smer di Fico hanno preso le distanze dalla sua dura campagna anti-migranti e dal suo appiattimento sulle posizioni di rifiuto della solidarietà europea (specie con il no alle quote di ripartizione dei profughi), posizioni espresse con particolare forza dall'ungherese Orbàn e dal polacco Kaczynski. L'asse dei quattro falchi dell'est appare indebolito, e ciò non sembra certo una brutta sorpresa per chi come Matteo Renzi o Angela Merkel chiede soluzioni flessibili e umane e soprattutto soluzioni comuni europee al dramma della grande migrazione. Fico si è sbagliato, dicono a caldo molti analisti nei talkshow serali a Bratislava: ha pensato che la paura dei migranti, e quindi l'uso di slogan duri, anti-islamici, quasi razzisti, lo avrebbero premiato. E ha invece sottovalutato il crescente malcontento per le disuguaglianze e le ingiustizie sociali, la disoccupazione al 10 per cento, l'irruenza dei poteri forti economici nazionali e globali, e i gravissimi problemi di scuola e sanità. Resta da vedere se il voto slovacco alla lunga servirà

 

 

25) SLOVENIA

 

Le elezioni parlamentari in Slovenia del 2014 si sono tenute il 13 luglio. Si tratta delle seconde elezioni anticipate della storia slovena dopo le elezioni del 2011.

Risultati

Liste

Voti

 %

 

 

 

Partito di Miro Cerar

301.563

34,49

36

 

Partito Democratico Sloveno

181.052

20,71

21

 

Partito Democratico dei Pensionati della Slovenia

88.968

10,18

10

 

Socialdemocratici

52.249

5,98

6

 

Sinistra Unita (DSD - STRS - IDS)

52.189

5,97

6

 

Nuova Slovenia - Partito Popolare Cristiano

48.846

5,59

5

 

Alleanza di Alenka Bratušek

38.293

4,38

4

 

Partito Popolare Sloveno

34.548

3,95

-

 

Slovenia Positiva

25.975

2,97

-

 

Partito Nazionale Sloveno

19.218

2,20

-

 

Partito Pirata di Slovenia

11.737

1,34

-

 

Verjamem

6.800

0,78

-

 

Lista Civica

5.556

0,64

-

 

Verdi di Slovenia

4.629

0,53

-

 

Altri

2.668

0,30

-

 

Comunità italiana e ungherese

-

-

2

Totale voti validi

874.291

100

90

Voti nulli

11.569

 

 

Totale voti

885.860

 

 

 

 

 

26) SPAGNA

Risultati data 26-6-2016

Congresso dei deputati

Liste

Voti

 %

Seggi

 

 

Partito Popolare

7.941.236

33,01

137

 

Partito Socialista Operaio Spagnolo

5.443.846

22,63

85

 

Podemos - Izquierda Unida - Equo

3.201.170

13,37

45

 

Ciudadanos

3.141.570

13,06

32

 

En Comú Podem (Podemos - ICV - EUiA)

848.526

3,55

12

 

Podemos - Compromís - EUPV

655.895

2,74

9

 

Sinistra Repubblicana di Catalogna - Catalogna Sì

632.234

2,63

9

 

Convergenza Democratica di Catalogna

483.488

2,01

8

 

Podemos - En Marea - Anova - EU

344.143

1,44

5

 

Partito Nazionalista Basco

287.014

1,19

5

 

Partito Animalista contro il Maltrattamento degli Animali

286.702

1,19

-

 

Euskal Herria Bildu

184.713

0,77

2

 

Coalizione Canaria - Partito Nazionalista Canario

78.253

0,33

1

 

Gruppo Verde

51.907

0,22

-

 

Unione, Progresso e Democrazia

50.247

0,21

-

 

Altri < 50.000 voti

205.885

0,82

-

Schede bianche

179.081

0,74

 

Totale

24.053.755

100,00%

350

Senato

Liste

Seggi

 

 

Partito Popolare

130

 

Partito Socialista Operaio Spagnolo

43

 

Sinistra Repubblicana di Catalogna - Catalogna Sì

10

 

Podemos - Izquierda Unida - Equo

8

 

Partito Nazionalista Basco

5

 

En Comú Podem (Podemos)

4

 

Podemos - Compromís - EUPV

3

 

Convergenza Democratica di Catalogna

2

 

Podemos - En Marea - Anova - EU

1

 

Agrupación Socialista Gomera

1

 

Coalizione Canaria - Partito Nazionalista Canario

1

Totale

208

 

 

 

 

27) SVEZIA

 


Elezioni legislative in Svezia

AVRANNO LUOGO IL 9 SETTEMBRE 2018


Le elezioni legislative in Svezia del 2018 si terranno il 9 settembre per eleggere i nuovi membri del Riksdag, ossia il Parlamento svedese

Sistema elettorale

La Svezia è una monarchia costituzionale parlamentare, pertanto il Riksdag è un organo importante detenendo il potere legislativo. Il Parlamento svedese si compone di 349 parlamentari eletti con un sistema proporzionale su liste di partito a livello sia regionale, per i partiti maggiori, che nazionale.

Partiti principali

Il Partito socialdemocratico (simboleggiato da una S; Socialdemokraterna in svedese) è al momento il partito più grande in parlamento, possedendo 113 dei 349 seggi totali. Esso è anche il partito del primo ministro uscente, Stefan Löfven, e collabora con i Verdi per formare una maggioranza di governo. Löfven, al potere dal 2014, ha affermato che si candiderà nuovamente per un secondo mandato.

Il Partito moderato (M; Moderaterna) è il secondo partito più grande nel Riksdag con 84 seggi. È stato al potere dal 2006 al 2014 con il suo primo ministro Frederik Reinfeldt e oggi il partito è guidato da Anna Kinberg Batra. Il partito fa parte della Alleanza, l'unione dei partiti ad oggi all'opposizione.

I Democratici Svedesi (SD; Sverigedemokraterna) sono il terzo partito nel Riksdag, con un gruppo parlamentare di 49 seggi. Nelle elezioni del 2014 il partito è cresciuto di 29 seggi rispetto le elezioni del 2007 e il loro leader è Jimmie Åkesson. Il partito è all'opposizione ma non fa parte della Alleanza.

Il Partito Ambientalista i Verdi (MO; Miljöpartiet) è il quarto partito più grande nel Parlamento, con 25 posti. Al momento fanno parte della coalizione di governo, sostenendo i Socialdemocratici di Löfven. I due leader del partito sono Gustav Fridolin e Isabella Lövin.

Il Partito di Centro (C; Centerpartiet) si piazza al quinto posto per numero di eletti al Parlamento, raggiungendo 22 seggi. Ha fatto parte del governo Reinfeld dal 2006 al 2014. Il partito è oggi guidato da Annie Lööf. Anche il Partito di centro fa parte della Alleanza con altri partiti dell'opposizione.

Il Partito della sinistra (V; Vänsterpartiet) è il sesto partito più grande in parlamento, con 21 seggi. Il suo leader attuale è Jonas Sjöstedt. Anche se è all'opposizione, non fa parte della Alleanza.

I Liberali (L; Liberalerna) sono invece al settimo posto per numero di seggi al Riksdag, avendone 19. Anche i Liberali, come il Partito di centro, hanno fatto parte del governo Reinfeldt fino al 2014. Il partito è guidato da Jan Björklund, anche se la sua leadership è fortemente criticata all'interno del partito stesso. Anche i Liberali fanno parte della Alleanza.

I Cristiani democratici (KD; Kristdemokraterna) guidati da Ebba Busch Thor, si piazzano al settimo posto per numero di seggi in Parlamento, avendone 16. Secondo le stime di voto il partito potrebbe avere difficoltà a superare la soglia di sbarramento nelle prossime elezioni. Il partito fa parte della Alleanza.

 

 

 

28) UNGHERIA

 

In Ungheria ha vinto Orbán

Il centrodestra ha ottenuto 135 seggi su 199, il primo ministro uscente ha ottenuto un nuovo mandato, il secondo partito è di estrema destra


Il primo ministro uscente ungherese Viktor Orbán ha vinto le elezioni politiche di domenica 6 aprile 2016  in Ungheria, garantendosi un secondo mandato consecutivo al governo: quando la maggior parte dei voti è stata scrutinata, il suo partito di centrodestra Fidesz ha ottenuto il 45 per cento, mentre la principale coalizione di centrosinistra – composta da diversi partiti – si è fermata al 25 per cento e il partito di estrema destra Jobbik al 21 per cento. Nella tarda serata di domenica 6 aprile Orbán ha annunciato ai suoi sostenitori a Budapest che “non c’è dubbio sulla nostra vittoria”, spiegando di avere vinto “in un modo così significativo da non potere essere ancora del tutto compreso questa notte”.

Stando ai dati sullo scrutinio, pressoché terminato, a Fidesz dovrebbero essere attribuiti 135 dei 199 seggi in Parlamento. Jobbik potrebbe invece diventare il secondo partito con il maggior numero di seggi, un successo previsto dai sondaggi nelle ultime settimane, che anzi ipotizzavano possibili vittorie anche maggiori. Durante la campagna elettorale i suoi candidati hanno trasmesso un’immagine meno radicale del partito, che ha confortato e tranquillizzato parte dell’elettorato. Il suo leader, Gabor Vona, era dato nei sondaggi come il politico di opposizione più popolare dell’Ungheria.

La coalizione di centrosinistra, guidata dal Partito Socialista, probabilmente si dividerà in gruppi autonomi in Parlamento, cosa che secondo diversi analisti politici potrebbe essere una decisione dannosa per una coalizione alla ricerca di nuovi consensi. Nel corso della campagna elettorale ha accusato più volte Orbán di avere messo a rischio la democrazia in Ungheria, con riforme delle istituzioni e leggi che hanno limitato le libertà civili nel paese, compresa la libertà di parola. Il centrosinistra fatica da diversi anni a recuperare elettori: nel 2010 subì una pesante sconfitta alle politiche, in parte dovuta alla sua incapacità di mettere in ordine i conti pubblici nei primi anni del Duemila.

La grande maggioranza ottenuta nel 2010 ha permesso a Orbán di fare approvare alcune riforme costituzionali molto contestate, giudicate antidemocratiche dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. Orbán e gli altri esponenti di Fidesz si sono sempre difesi da queste accuse spiegando di avere attuato le riforme per dare stabilità politica ed economica all’Ungheria.


 

 

 

Risultati

Con un'affluenza del 54.07%,[6] cinque partiti hanno raggiunto la soglia del 4% richiesta per ottenere seggi. GERB ha mantenuto la sua posizione come partito di maggioranza.

 

 

Lucca, 28 marzo 2018

 

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