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Le tre «transizioni» che pesano sull’Italia

di Sergio Fabbrini

Non fatevi irretire dal gioco di “chi sta con chi”. Dietro la difficoltà di dare vita ad un governo in Italia vi sono trasformazioni profonde del nostro sistema politico. A loro volta condizionate da trasformazioni ancora più profonde del sistema europeo e internazionale. Tre transizioni sono all’opera contemporaneamente. Se la transizione consiste nella crisi di vecchi equilibri e nel contrastato processo per la formazione di nuovi equilibri, allora si può dire che la crisi italiana non potrà dare vita a nuovi equilibri fino a quando la sua soluzione non risulterà congruente con ciò che sta avvenendo al suo esterno. Discutiamo partitamente le tre transizioni per capire le ragioni del loro allineamento.

Cominciamo dall’Italia. È vero che le elezioni del 4 marzo non hanno prodotto un governo. Tuttavia, il vero significato sistemico di quelle elezioni è un altro. Esse hanno messo in discussione il precedente equilibrio bipolare della seconda repubblica (basato sulla distinzione tra centro-sinistra e centro-destra), anche se in molti fanno fatica a prenderne atto. Tant’è che i difensori del vecchio equilibrio hanno subito suggerito (ai due vincitori delle elezioni, 5 Stelle e Lega) di proporsi come i capofila di un rinnovato bipolarismo. La Lega dovrebbe trasformarsi nella nuova forza trainante del conservatorismo e i 5 Stelle nella nuova forza guida del progressismo. Di qui la pressione su Forza Italia e sul Partito democratico affinché si adeguino ai nuovi rapporti di forza nei rispettivi poli. Poiché, per dare vita ad un governo, l’unica combinazione oggi possibile (in quanto dotata di una maggioranza parlamentare) è quella che vede i Democratici associati ai 5 Stelle, l’adeguamento dovrebbe quindi consistere nel sostegno dei primi ad un governo guidato dai secondi. Il governo Di Maio costituirebbe l’occasione per rinnovare il centro-sinistra (guidato dai 5 Stelle) e, nello stesso tempo, l’opposizione di Salvini la condizione per costruire un nuovo centro-destra.

Questa strategia, però, riflette poco o punto la fondamentale divisione emersa dalle elezioni del 4 marzo.
Divisione che ha riguardato principalmente il nostro rapporto con l’interdipendenza europea. In quelle elezioni, infatti, è emersa una distinzione programmatica tra le forze sovraniste e europeiste. Le prime (come i 5 Stelle e la Lega), hanno sostenuto la necessità di liberarsi dai vincoli europei per recuperare la piena indipendenza sulle politiche di bilancio e dell’immigrazione, mentre le seconde (come i Democratici e le componenti del Partito popolare europeo) hanno affermato l’opposto, cioè la necessità di difendere quel sistema di interdipendenze. Come può questa nuova divisione essere rappresentata dal vecchio bipolarismo?

Vediamo ora l’Europa. Anche in quest’ultima è in atto un cambiamento strutturale. Il vecchio equilibrio su cui si era retto il processo di integrazione (connotato dalla opposizione tra una maggioranza di Stati europeisti ed una minoranza di Stati euroscettici) è stato messo in radicale discussione. Gli euroscettici sono diventati sovranisti e non già secessionisti. E, soprattutto, non sono più una minoranza. Forze sovraniste sono al governo in quasi tutti i Paesi dell’Europa dell’Est, sono entrate al governo in alcuni Paesi dell’Europa centrale ed ora, dopo le elezioni italiane, hanno i voti per entrare al governo in uno dei tre grandi Paesi fondatori dell’Ue. Inoltre, sta emergendo una profonda frattura tra Paesi del Nord e del Sud dell’Europa. Mentre l’Italia, la Spagna e la Grecia stanno uscendo a fatica da una crisi senza precedenti, un blocco di otto Paesi dell’Europa del nord (due - Danimarca e Svezia - che non fanno parte dell’Eurozona e sei - Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi – che ne fanno invece parte) ha reso pubblica (il 5 marzo scorso, il giorno dopo le nostre elezioni) una lettera in cui si afferma (con una durezza quasi brutale) che non c’è alcuna necessità di riformare l’Eurozona, ovvero “di trasferire competenze a livello europeo”. Nello stesso tempo, Macron e Merkel hanno ribadito invece il loro impegno a presentare un “progetto ambizioso” di riforma dell’Eurozona entro il prossimo giugno. Come si vede, il sistema politico europeo è sottoposto a divisioni inaspettate e a pressioni divergenti. È in una transizione in cui il vecchio equilibrio non c’è più ed uno nuovo si sta formando. Da un lato c’è l’Europa di Visegrad (che aggrega non solo il sovranismo dei Paesi dell’Europa dell’Est ma anche l’euroscetticismo di quelli del Nord e del centro), dall’altro lato c’è l’Europa di Ventotene (che aggrega l’europeismo di Francia e Germania, con il sostegno di alcuni Paesi dell’Europa continentale occidentale). Nella ridefinizione degli equilibri europei, dove si collocherà il futuro governo italiano?

Infine, il sistema internazionale. Le reazioni agli effetti della globalizzazione stanno conducendo ad una sua trasformazione strutturale. Le scelte commerciali e militari della Presidenza Trump stanno scuotendo dalle fondamenta il vecchio equilibrio transatlantico. In nome del proprio interesse nazionale, quella presidenza ha introdotto misure che stanno indebolendo l’Europa, politicamente ed economicamente. Basti pensare ai dazi all’importazione di acciaio e di alluminio provenienti (tra l’altro) anche dall’Europa, al disconoscimento dell’alleanza atlantica che ha costituito il perno della sicurezza europea, al sostegno ai nostri sovranismi in funzione anti-integrazione. Una sorta di internazionale sovranista si è venuta a formare tra l’America di Trump, i governi e le forze sovraniste dell’Europa e la Russia di Putin. Non c’è più la vecchia distinzione che opponeva l’Occidente all’Oriente, mentre una nuova divisione si è formata trasversalmente all’interno dell’Occidente e ancora di più dell’Europa. È la divisione tra chi impone la propria sovranità nazionale come prioritaria e chi invece ritiene che solamente condividendo quella sovranità con altri si possono risolvere i problemi. In questa divisione, dove si collocherà il nuovo governo?

Dunque la crisi italiana è parte di un puzzle più grande. Cercare di risolverla attraverso la costruzione di un nuovo bipolarismo tra centro-sinistra e centro-destra significa non comprendere la profondità delle tre transizioni che condizionano quella crisi. Occorre invece dare forma politica alla nuova frattura. Le forze sovraniste lo hanno fatto, presentandosi come forze del cambiamento, pur rivendicando il ritorno al passato. Le forze anti-sovraniste hanno fatto fatica a dare forma politica alla loro visione, con il risultato di essere percepite come forze conservative, pur rivendicando la necessità di guardare al futuro. È questa divisione (e le sue implicazioni) che occorre chiarire politicamente. Piuttosto che fare il gioco di “chi sta con chi”, è necessario chiedersi, un governo per fare cosa?

(dal Sole 24 Ore - 18 marzo 2018)

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