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Commento introduttivo

Ai molti amici che in questi giorni mi hanno chiesto cosa pensassi sulla formazione del prossimo governo, ho più volte ricordata la situazione del 1976, allorché dalle urne emerse una bipolarizzazione del quadro politico, imperneata sulla Dc e sul Pci; partiti fra loro antagonisti.
Il Psi, che dall'inizio della complessa esperienza del centro-sinistra era stato partito di governo (se pur con qualche parentesi), impostò nel 1976 una campagna elettorale dicendo che non avrebbero partecipato ad un governo senza il Pci: scelta che venne punita dagli elettori, sull'ovvio presupposto che se quel partito non intendeva governare senza il Pci tanto valeva votare direttamente quest'ultimo che, allora, era in grande ascesa.

Se ne uscì, dopo una lunga e complessa trattativa, con un monocolore democristiano con l'appoggio esterno del Psi e del Pci. Un governo che aprì la fase della "solidarietà nazionale" che si sviluppò con il successivo governo presentato alle Camere il giorno del rapimento di Aldo Moro (16 marzo 1978), e che si chiuse nell'anno successivo.

Ricordo molto bene quelle vicende, che sono riprese nelle parole di Paolo Cirino Pomicino, interpellato nel testo che propongo ai lettori di Fucinaidee.
Nella "Prima Repubblica", tante volte le urne hanno dato esiti politicamente complicati. Il quadro generale era però molto diverso, e ben superiore ad oggi era la cultura politica della classe dirigente.
La Prima Repubblica non potrà quindi tornare. Tuttavia, pur nelle profonde differenze, non sarebbe male che da quelle vicende, che anzitutto i nostri rampanti politici sarebbe bene conoscessero (cosa di cui è lecito dubitare), si cercasse umilmente di imparare qualcosa, a partire dall'attitudine al confronto civile da cui il dibattito politico si è oggi allontanato.
Nessuno può al momento sapere quale esito avrà la vicenda della costituzione del prossimo governo e degli sviluppi della politica italiana; mi pare tuttavia chiaro che potrà avere uno sbocco concreto solo se si imboccherà un nuovo e diverso approccio, certo faticoso ed impegnativo per i protagonisti di questa stagione politica: quello del dialogo e del rispetto.

La mancanza di questa condizione, coniugata con la complessità del quadro generale, purtroppo non autorizzano molti ottimismi.

Paolo Razzuoli

La Prima Repubblica non torna più, inutile averne nostalgia

di Luciano Capone

Al di là delle differenze storiche, la politica ha un suo profilo non modificabile. E il risultato delle elezioni mette sulle spalle del maggiore partito o della maggiore coalizione il peso di intraprendere una iniziativa politica”.

Paolo Cirino Pomicino, storico esponente della Democrazia Cristiana e a lungo presidente della commissione Bilancio della Camera, espone le ferree leggi che muovono la politica e che costringono M5s e Lega a uscire allo scoperto.

Lo stallo e la difficoltà nella formazione di un governo hanno riportato alla mente le elezioni del 1976 e il governo Andreotti nato dalla “non sfiducia” del Pci. “Allora ci furono due grandi vincitori, la Dc e il Pci, con i socialisti che non volevano partecipare a un governo con la Dc”, dice Pomicino. Una situazione simile all’attuale, con M5s e centrodestra vincitori, e il Pd nel ruolo del Psi che si chiama fuori.
“C’erano anche due fattori esterni non da poco. C’era il terrorismo, che vuol dire che si sparava, e poi c’era l’inflazione a due cifre, una crisi di finanza pubblica che ci costrinse a dare in prestito l’oro della Banca d’Italia per ottenere un prestito dalla Bundesbank. Era un contesto molto più grave di quello attuale”.

E come se ne uscì?
“Il partito di maggioranza relativa, la Dc, cominciò a dialogare con ciascuno dei segretari politici, con i tradizionali partiti alleati e anche con il Pci, attraverso una lunga trattativa tra Moro e Berlinguer che portò alla nascita del governo”.

Se si è risolta allora una crisi politica così grave si può fare anche adesso.
“La cosa che mi spaventa è che il partito che ha ottenuto più voti, il M5s, ripeta ‘devono parlare con noi’. E’ una posizione passiva, da Ghino di Tacco del Parlamento, mentre un partito con una responsabilità nazionale deve prendere una iniziativa politica. Vale anche per la Lega”.

Lei ce li vede Di Maio e Salvini dialogare come Moro e Berlinguer?
“Il problema è che è scomparsa la caratteristica fondamentale della Prima Repubblica, che era una grammatica condivisa, la ricerca tra i partiti e dentro i partiti di un comune denominatore”.

L’inciucio.
“Ecco, chiamare inciucio quello che una volta era il nobile compromesso è il frutto di una politica che ha sostituito l’insulto al confronto – dice Cirino Pomicino –. Prima si cercava sempre, anche nella legge finanziaria, un minimo comune denominatore sulle poste di bilancio. Non significa che non c’era una maggioranza, ma si riconosceva che era solo una parte del paese. E così anche le richieste di bilancio delle minoranze erano legittime e potevano essere accettate”.

Questo è un altro punto fondamentale per capire cos’è cambiato rispetto a oggi, perché è più difficile uscire dall’impasse. Non solo la comune grammatica politica è stata sostituita dalla delegittimazione reciproca e il confronto dallo scontro muscolare, ma non c’è neppure la possibilità di fare debito pubblico per appianare le divergenze, di trovare un compromesso attraverso il lubrificante del deficit di bilancio. Carlo Cottarelli con il suo Osservatorio sui conti pubblici ha mostrato quanto i programmi elettorali siano senza coperture per decine e decine di miliardi. Ma nessun partito o coalizione è in grado di governare da sola e adesso, per trovare una maggioranza, persino quei deficit enormi sono insufficienti. Andrebbero sommati: reddito di cittadinanza più flat tax più abolizione della legge Fornero più aiuti ai figli più investimenti pubblici. Ma questo, a differenza dei tempi della Prima Repubblica, non si può più fare.
“I vincoli di bilancio sono centrali – dice al Foglio Elsa Fornero, economista all’Università di Torino e autrice della riforma delle pensioni tanto contestata da M5s e Lega – le risorse sono poche e bisognerà decidere dove spenderle. Uno può anche fregarsene del disavanzo, ma poi i mercati ti saltano addosso perché non ti fanno credito. E con il nostro debito elevato noi abbiamo in media più di 1 miliardo al giorno di necessità finanziarie”.
Ma la vittoria dei partiti anti-sistema è anche una ribellione contro i vincoli di bilancio. “Hanno fatto sembrare possibili molte cose che non lo sono – dice la Fornero –. Si accorgeranno presto che neanche loro hanno assoluta libertà di azione”.

(da Il Foglio - 11 marzo 2018)

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