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Verso il voto del 4 marzo. Alcuni spunti per la scelta.
Occorre ridefinire il paradigma valoriale della politica

di Paolo Razzuoli

SE ancora qualcuno in Italia sperava di ottenere dalle campagne elettorali qualche serio elemento utile per la scelta di voto, è stato sicuramente deluso. Un dato che non mi pare abbia bisogno di particolari argomentazioni, tanto è di tutta evidenza.
Un po' tutti i protagonisti si sono accapigliati su problemi secondari, il dibattito è sfociato di sovente nell'insulto, è prevalsa la peggior demagogia fatta di promesse irrealizzabili e contraddittorie ispirate al solo criterio "di chi la spara più grossa".
Un contesto che non sarebbe tollerato in una democrazia governante; in una repubblica basata sull'immobilismo qual è la nostra le cose stanno invece diversamente, e se così non fosse i demagoghi, veri o falsi che siano, non azzarderebbero tanto, perché consapevoli del caro prezzo che sarebbero chiamati a pagare agli elettori.
Ma è una situazione che può diventare comunque esplosiva, posto il rancore e l'odio che si stanno diffondendo in molti strati della società italiana.

Al di là delle sciocchezze che ci sciorinano un po' tutti, credo sia di tutta evidenza che la posta in gioco in queste elezioni è alta, sia sul versante interno che su quello internazionale.

Partendo da quest'ultimo, il tema vero è quello del ruolo che l'Italia sarà chiamata a giocare nello scenario europeo. Infatti le elezioni, piaccia o non piaccia, decideranno se nei prossimi anni l'Italia sarà un attore di primo piano della vicenda politica europea, oppure se assumerà il profilo della provincia meridionale del gruppo di Visegrad, ovvero dei paesi dell'est europeo dell'Ue, che ostacolano l'avanzamento del processo di integrazione europea. In questo senso non è fuori luogo, pur senza enfatizzazioni eccessive, tracciare un parallelismo fra le elezioni del 1948 e quelle del corrente anno. Con le elezioni del 1948, gli italiani scelsero la libertà ed il blocco occidentale; con quelle del 2018 decideranno il ruolo che il nostro Paese giocherà in Europa. Un tema questo che nessun attore della campagna elettorale ha trattato seriamente, aldilà delle solite superficiali narrazioni, anche con la volontà di nasconderlo, per tenere sotto traccia le contraddizioni di coalizioni solo rispondenti a carovane elettorali prive di progetto politico.

Ma anche sul versante interno la situazione non è meno deludente: anzi è proprio su questo fronte che si è giocata la gara più accesa dell'improvvisazione e della demagogia, fra Flat tax, pensioni alte, abolizione della Legge Fornero, superamento della riforma del mercato del lavoro con reintroduzione anche del noto art.18 dello Statuto dei lavoratori e via dicendo. Un florilegio di contraddizioni che sul piano finanziario costerebbero un centinaio di miliardi, in una fase in cui la riduzione del debito pubblico è una delle maggiori priorità, e sul piano normativo minerebbero alle fondamenta quella ripresa che pur timidamente si è registrata ultimamente, ma che ancora è fragile, se non verrà alimentata da provvedimenti atti a migliorare la competitività del sistema paese. Sarebbe esiziale se la stagione delle pur timide riforme degli ultimi anni fosse interrotta. Sarebbe un ritorno indietro, le cui conseguenze peggiori sarebbero pagate dai giovani, per i quali risulterebbe difficile immaginare un sereno futuro in questo Paese.

Chi volesse guardare con serietà ai nostri bisogni, abbandonando le facili demagogie, sarebbe sufficiente che elaborasse una proposta semplice e tutto sommato elementare, che ogni italiano di buon senso, allergico cioè alla retorica protezionista e alla truffa sovranista, premierebbe:
- impegnarsi nella prossima legislatura a non sostenere alcuna politica protezionista, alcuna politica anti vaccinista, alcuna politica anti europeista;
- a non avallare alcuna politica finalizzata a indebolire l’euro, a smantellare la riforma del lavoro, a scassare la riforma delle pensioni;
- impegnarsi a mettere in campo un intervento progressivo per il taglio delle imposte e in particolare del cuneo fiscale per le imprese che investono in tecnologia e competenze, promettendo di non finanziare le riduzioni con aumenti del deficit pubblico;
- impegnarsi ad alleggerire in modo progressivo il nostro debito pubblico senza tradire i vincoli europei il cui rispetto ci permette di essere credibili sui mercati internazionali anche in presenza di un debito pubblico molto elevato;
- impegnarsi a liberalizzare i servizi pubblici locali promuovendo nel settore un modello di concorrenza simmetrico a quello promosso sulle tratte ad Alta velocità;
- impegnarsi a promuovere in ogni sede accordi di libero scambio e internazionalizzazione, finalizzati a sostenere gli scambi commerciali delle nostre imprese con l’estero;
- impegnarsi a legiferare a favore di accordi che favoriscano un sistema di contrattazione salariale decentrato che consenta di detassare in modo più efficace rispetto a oggi ogni incremento di produttività;
- impegnarsi a sostenere qualunque tentativo di ridurre i tempi del processo penale e civile e a batterci contro ogni tentativo di violare il nostro stato di diritto aumentando i tempi della prescrizione;
- impegnarsi infine a promuovere un severo efficientamento della Pubblica amministrazione attraverso un sistema di incentivi tarato per punire le inefficienze e per premiare chi lavora di più”.

E ora due interrogativi. Questa proposta è di destra o di sinistra; poi, c'è nell'offerta politica italiana qualcuno che possa offrire qualche garanzia di muoversi nel solco della proposta?

Circa il primo quesito, mi pare chiaro che le categorie di destra e sinistra, così come si sono consolidate nel XX secolo, oggi sono desuete, quindi non più idonee ad interpretare i nuovi scenari. I mutamenti delle società, l'evoluzione dei blocchi sociali di riferimento, la necessità di affrontare nuove problematiche in ragione dei nuovi scenari globalizzati, richiedono nuove cifre interpretative e nuovi strumenti politici di intervento non inscatolabili nello schema destra-sinistra.
Solo alcuni esempi:
L'adesione al percorso europeo venne a suo tempo ostacolato dal Pci, quindi dalla sinistra; oggi l'anti-europeismo è coltivato prevalentemente a destra.
Il libero mercato è patrimonio della cultura liberale, quindi non di sinistra, oggi è abbracciato anche dalla sinistra riformista e forze riconducibili alla destra propongono di ostacolarlo .
L'attenzione al merito nei rapporti di lavoro non è certo patrimonio tradizionale della sinistra; oggi è accolto dalla sinistra riformista, anche se timidamente a causa del peso della Cgil, che in Italia è portabandiera delle posizioni più conservatrici nel mercato del lavoro.

Insomma, la bussola, a mio avviso, non può essere quella della fedeltà agli schieramenti, oggi non più coerenti con i loro portati storico-culturali, bensì l'aderenza ai contenuti, prescindendo quindi da etichette al momento inservibili.

Attenzione però! Non confondiamo la "fine delle ideologie" con la "fine delle idee". Se la fine delle ideologie novecentesche è la conseguenza dell'inevitabile divenire della storia, la crisi delle idee è un male da cui le società e la politica che le interpreta (o meglio che dovrebbe interpretarle) debbono sforzarsi di guarire. Anzi, è proprio nella caduta dei valori e nella conseguente incapacità di visione e di saper gettare occhi e cuore oltre i confini del contingente, che va ricercata la principale causa di caduta della qualità della odierna politica: la cifra negativa che più di ogni altra la separa dalla stagione di speranza che la classe politica di allora riuscì a suscitare nell'Europa del secondo dopo guerra.

Il tema non è quindi quello dell'appiattimento, bensì quello della ridefinizione del paradigma valoriale della politica. Una ridefinizione che ormai è resa improcrastinabile da un contesto tanto diverso da quello del XX secolo. Un contesto i cui contorni sembrano sfuggire alla politica, che sembra sempre più rinunciataria rispetto al suo ruolo, ovvero quello di governarlo. Eppure, oggi più che mai c'è bisogno di politica: certo di una politica capace di leggere, interpretare e governare un mondo sempre più complesso ed interconnesso: un'attitudine che appare lontana anni luce rispetto a quello che si vede, intendiamoci, non solo in Italia.
Oggi comunque mi pare che il discrimine più attuale sia quello fra coloro che guardano in avanti, al riformismo e all'Europa, e coloro che guardano indietro, al sovranismo ed al nazionalismo, i cui effetti già abbiamo avuto modo di provare sulla nostra pelle.

Ma avvicinandomi al termine di queste "chiacchiere", vengo ad esprimere una mia valutazione sul menù politico che troveremo sulla scheda elettorale il prossimo 4 marzo.
Purtroppo, ancora una volta si tratterà di scegliere il meno peggio; realisticamente, oggi nessuna forza politica sembra all'altezza della situazione. Sussistono tuttavia alcuni elementi discriminanti, sopra enunciati, che restringono in modo assai netto il perimetro della scelta in favore della coalizione imperneata sul Partito Democratico. Una coalizione che nel proporzionale offre la possibilità di scegliere per una delle forze politiche coalizzate, quindi quella sentita come più coerente con i propri valori e la propria storia. Una scelta legata a questa specifica circostanza, con l'auspicio che lo scenario politico possa ridefinirsi attorno a valori chiari e non poggiarsi su confusi cartelli elettorali.

Il meccanismo della vigente Legge Elettorale fa sì che ponendo il segno su un partito della coalizione, il voto vada automaticamente anche al candidato della stessa nel collegio uninominale. Se invece l'elettore pone il segno sul nome del candidato al collegio uninominale, il voto va anche alla coalizione della parte proporzionale, suddiviso fra i coalizzati con un meccanismo complesso che qui non serve approfondire.
E' bene precisare che non è consentito il voto disgiunto nè è possibile dare voti di preferenza nei listini del proporzionale.

Nel caso della nostra provincia di Lucca la scelta è agevolata dalla favorevole circostanza di avere nei collegi uninominali per la Camera ed il Senato due figure di esperienza e sicuramente legate al territorio: Stefano Baccelli per la Camera e Andrea Marcucci per il Senato. Altri non hanno questa opportunità, trovandosi sulla scheda figure catapultate dall'alto, deltutto slegate dal territorio nel quale, tutt'al più, saranno passate qualche volta o saranno state occasionalmente in vacanza.
Anche nei listini del proporzionale non mancano candidati con profili interessanti; cito Donatella Buonriposi, al Senato per Civica Popolare Lorenzin, e Massimo Bulckaen, per Più Europa di Emma Bonino.

Già ho detto del rancore, e anche dell'odio, che serpeggiano in ampi strati della società italiana. Una tossina ammorbante che potrebbe portare a gravi fenomeni di degenerazione della politica ed a minare le fondamenta stesse della nostra democrazia. Una condizione che potrebbe riverberarsi in un crescente astensionismo dal voto. Credo che la rinuncia al voto sia il modo peggiore di far sentire il proprio disagio, anche quando esso risulti assolutamente motivato. In una democrazia rappresentativa, se pur con tutti i difetti, la partecipazione al voto è il momento più alto della partecipazione dei cittadini alla politica del Paese. Non disertiamo quindi le urne, anteponendo il senso di responsabilità ad ogni altro sentimento. A 70 anni dall'entrata in vigore della nostra Costituzione, questo è il miglior modo di renderle omaggio.

Mi torna in mente il grande giornalista Indro Montanelli che, in una occasione elettorale ebbe a dire di votare per la Dc, pur turandosi il naso.
Ebbene, io dico che, turandosi il naso, la scelta più responsabile è quella di votare, in uno dei modi consentiti dalla legge elettorale, la coalizione costituita da: Civica Popolare Lorenzin, Italia Europa Insieme, Più Europa con Emma Bonino, Partito Democratico.

Fax-simili schede elettorali comune di Lucca

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