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La posta in gioco per l'Italia con le prossime elezioni parlamentari.
Riflessioni attorno al Capodanno 2018

di Paolo Razzuoli

Ormai tutti lo sanno: il 4 marzo gli italiani saranno chiamati alle urne per il rinnovo del Parlamento.
IL 28 dicembre scorso il Presidente della Repubblica ha sciolto le Camere ed il Consiglio dei Ministri ha fissato la data delle elezioni. Quindi anche formalmente (di fatto già era avvenuto), si apre una campagna elettorale che porterà l’Italia a un voto pieno di incognite.

Va in archivio una legislatura che ha inaugurato una «nuova stagione» della politica con la fine dell’illusione di un governo conteso tra lo schieramento di centro-sinistra e quello di centro-destra. Sono stati cinque anni di tormenti: con tre governi nati senza una maggioranza indicata dagli elettori, con l’ascesa e il declino della stella di Matteo Renzi determinata dalla sconfitta nel referendum, con l’esclusione dal Senato e il ritorno in campo di Silvio Berlusconi, con la presenza rilevante di un Movimento Cinque Stelle in perenne crisi di nervi, alla ricerca di una strada che non sia solo il contenitore della protesta.
E' diffuso uno stato d’incertezza, instabilità e trasformismo, nitidamente tratteggiato nella fotografia dei 546 cambi di casacca tra i parlamentari, un terzo degli eletti.
Insomma, una corposa anteprima di cosa può attenderci dopo il 4 marzo.

Si voterà con una legge elettorale a mio avviso pessima anche se, già ho avuto modo di dirlo, nello sciagurato contesto dato era veramente arduo fare di meglio. Un mics per un terzo di collegi uninominali e per i restanti due terzi di proporzionale, che se da un lato ha cercato di recuperare un minimo di stimoli alle coalizioni (in questo senso vanno letti i collegi uninominali), con i due terzi di proporzionale si apriranno le porte ad una stagione di ingovernabilità facilmente prevedibile, posta la balcanizzazione del nostro scenario politico-partitico.
Per chi ha un minimo di dimestichezza con i meccanismi del consenso elettorale, è evidente che il sistema proporzionale porta gli elettori ad orientarsi "là dove porta il cuore" e, di conseguenza, l'offerta partitica a frammentarsi anche se la legge cerca di limitarne la spinta con la previsione di soglie di sbarramento, peraltro molto basse.
Sta di fatto che, al di là delle dichiarazioni ufficiali, fuori di ogni ipocrisia e di ogni menzogna elettorale tutti sanno che la prossima legislatura potrà risultare più complicata di quella che ora va in archivio, e che un governo di larghe intese appare come una strada di fatto obbligata.
Pur essendo inutile "piangere sul latte versato", sono più che mai convinto che gli italiani abbiano sprecato una grande occasione, respingendo la riforma costituzionale su cui sono stati chiamati ad esprimersi. Ho ancora in testa certi discorsi che circolavano durante la campagna referendaria, circa il pericolo per la democrazia rappresentato da un governo forte. Ebbene, la storia si incarica di smentire una siffatta posizione, anche se essa trova adesioni in ambienti qualificati del Diritto Costituzionale: la storia ci insegna che le dittature sono sempre state precedute da stagioni di governi deboli e di instabilità politica.

Ma quale è il vero significato delle elezioni del prossimo marzo?
Le elezioni parlamentari del 2018 cadono a settant'anni da quelle "storiche" del 18 aprile 1948. E la posta in gioco è anche questa volta altissima.
L'esito delle elezioni del 1948 ha determinato la scelta dei fondamentali (interni ed esteri) su cui si è basato lo sviluppo del Paese e la sua collocazione internazionale. La vittoria di De Gasperi del 1948 consentì all’Italia di ancorarsi al mondo occidentale. Il risultato elettorale del 2018 deciderà se l’Italia continuerà a fare parte del gruppo di Paesi europei impegnati ad avanzare nel processo di integrazione oppure diventerà la propaggine meridionale di quelli impegnati a contrastare quest’ultima.
Allora - nel 1948 - diversi leader politici ed esponenti intellettuali non compresero la profondità della sfida che era sul tappeto. La loro preoccupazione era esclusivamente partigiana, legittimare o delegittimare l’uno o l’altro partito. Anche oggi, seppure in un contesto diverso, la comprensione della posta in gioco sembra sfuggire a non pochi esponenti politici e (soprattutto) intellettuali. Per costoro, le elezioni del 2018 sembrano essere un’occasione per legittimare il Movimento Cinque Stelle o per stabilire rapporti di forza all’interno dell’uno o dell’altro polo. Un evento insomma di pura politica domestica.
Un modo per sviare l'attenzione dell'opinione pubblica dai temi veri su cui i competitor dovrebbero avere la capacità di proporre ricette credibili, non velleitarie e/o illusorie, non dettate dal mero scopo di raccattare qualche manciata di voti in più.
Ed è così che tornano utili le crociate ideologiche. Eccone due esempi attuali.

Da qualche tempo si è sviluppato un dibattito sul carattere eversivo del movimento pentastellato. Io credo che la vittoria dei 5Stelle sarebbe una sciagura per il Paese, ma il confronto con il movimento grillino va sviluppato sui contenuti e non agitando pericoli inesistenti. Il tema vero è quello delle risposte che i partiti tradizionali sono (o non sono) in grado di dare ai problemi sollevati dai grillini, problemi che quasi sempre sono - in linea di principio - in linea con il "sentire" di ampi strati dell'opinione pubblica. Se così non fosse non sussisterebbe il "pericolo grillino": al quale si risponde non con l'"ostracismo", ma con la capacità di elaborazione politica.

L'altro esempio è la discussione sulla minaccia fascista alla nostra democrazia repubblicana, minaccia costituita non solamente dai gruppuscoli ideologicamente fascisti (come Casa Pound) ma anche da quelle forze di destra (come la Lega) che propongono politiche alternative rispetto a quelle attualmente seguite dalla maggioranza che ha sostenuto gli ultimi governi, nei confronti di migranti e rifugiati.

Entrambi i casi, sembrano riportarci indietro di un secolo, a quel 1919 in cui cominciavano ad amalgamarsi le miscele ideologiche che portarono alla crisi dell’allora fragile democrazia liberale italiana.

Ebbene, le elezioni dell’anno prossimo non hanno nulla a che fare con la minaccia fascista. Se quest’ultima viene utilizzata per aggregare la sinistra radicale, l’esito sarà la definitiva marginalità di quest’ultima. Ma quelle elezioni non hanno neppure nulla a che fare con la liberazione del Paese dalla “casta”. A quegli elettori che ritenessero il populismo dei Cinque Stelle una medicina necessaria per liberarci dai “politicanti”, dico che l’esito sarà peggiore della casta.
Insomma, penso che il problema del populismo non sia tanto il suo presunto carattere eversivo, bensì la sua incapacità di governare e di porsi in una posizione coerente con le sfide del tempo che viviamo.

Certo, quando si vedono sceneggiate come quella andata in onda per il problema dei "vitalizi" ai parlamentari, la rabbia fra i cittadini non può che aumentare. Così che non può che aumentare di fronte ai privilegi che hanno coloro che appartengono ai vari organismi di vertice dell'architettura istituzionale dello Stato (denunciare tali privilegi non vuol certo dire delegittimare tali organi) . E' mai possibile che il sistema sia così autoreferenziale e sprezzante verso i cittadini da non voler prestare orecchio ad istanze tanto sentite?
Ma porre l'accento su questi temi, che non voglio in alcun modo sottovalutare, purtroppo non basta. Sono temi di sicura presa elettorale, ma deltutto insufficienti rispetto alle sfide che attendono il Paese e la sua governance.
E’ encomiabile che Luigi Di Maio abbia restituito 300mila euro della propria indennità parlamentare allo Stato, e sarebbe bene che lo facessero anche altri. Tuttavia ciò non attesta alcuna capacità di governo. Capacità su cui è deltutto legittimo dubitare, pensando alle varie posizioni assunte, ad esempio sull'Art.18, sui sindacati, sull'Europa e via dicendo. E non lasciamoci ingannare dagli atteggiamenti un po' più "governativi" di questi ultimi giorni.
Dato atto delle debite differenze, gli esempi forniti nel governo locale non sono certo incoraggianti.
Se a questo populismo che non può essere definito nè di sinistra nè di destra si sommano i radicalismi della destra e della sinistra, allora l’ingovernabilità è assicurata.

Un quadro che mi pare difficilmente controvertibile e che porta a concludere che La minaccia principale alla democrazia italiana, in questa fase, proviene dal suo interno e non dall’esterno. Consiste nello svuotamento delle sue istituzioni rappresentative e nella marginalizzazione del suo ruolo europeo.

In vista dell'appuntamento elettorale di marzo, l'Italia ha bisogno di un dibattito pubblico meno superficiale; ai competitor, è doveroso chiedere di focalizzare il dibattito sui temi veri e non sulla demagogia. Temi che - inevitabilmente - dovranno concernere anche la politica estera, anche se meno sentita dall'opinione pubblica.

Proprio partendo da questa, la principale posta in gioco concerne il nostro ruolo in Europa. Un ruolo che verrà deciso dall’esito dello scontro tra europeismo e anti-europeismo.
Ciò che caratterizza quest'ultimo è l’idea di ritornare a casa, alla sovranità dello Stato nazionale. Se quell’idea vincesse, avremmo la definitiva provincializzazione del nostro Paese. Ci rinchiuderemmo sulle nostre debolezze storiche e strutturali. Siccome gli anti-europeisti non saprebbero come affrontarle, allora dovremmo assistere alla litania dei complotti orditi contro di noi per impedirci di governare (una tecnica ben nota in Italia).
Il sovranismo attraversa gli schieramenti politici italiani di destra e di sinistra e, diciamolo con chiarezza, il vezzo di scaricare la responsabilità delle debolezze politiche pervade anche partiti europeisti. un atteggiamento che massimizza i danni, non aiutando a risolvere i veri problemi, ed alimentando euroscetticismo che, inesorabilmente, andrà ad ingrossare il bottino elettorale dei partiti euroscettici.
Ma come sono schierati gli euroscettici italiani nel Parlamento di Strasburgo? Nel Parlamento europeo, i deputati Cinque Stelle fanno parte del gruppo guidato dal leader degli indipendentisti britannici, Nigel Farage; i deputati della Lega Nord sono nel gruppo guidato dalla leader nazionalista francese Marine Le Pen; e i deputati della sinistra radicale sono i più euroscettici della (originariamente) euroscettica Lista Tsipras.

Di fronte al montare dell’anti-europeismo, le forze europeiste debbono non solamente alzare la voce in difesa dell’Ue, ma anche indicare proposte di riforma che rafforzino il nostro legame con essa. Se il rafforzamento dell’Europa è la condizione della nostra crescita e sicurezza, allora occorre elaborare una politica italiana per l’Europa.
La Ue non potrà rimanere a lungo prigioniera dei veti interni, esercitati principalmente dai Paesi anti-europeisti a cui guardano i nostri populisti.
Dal dibattito a cui assistiamo, sembra che non si percepisca la portata storica della posta in gioco. Invece di riscaldare minestre già ampiamente riscaldate, il dibattito pubblico dovrebbe invece chiarire che, nelle prossime elezioni, sarà in gioco la natura della nostra collocazione in Europa. Insomma, quelle elezioni decideranno se l’Italia diventerà l’alleato meridionale del Gruppo di Visegrad oppure sarà un Paese protagonista di un’Europa più integrata.

Non meno importanti sono i veri temi interni, che non potranno essere affrontati con le solite minestre riscaldate.
E' vero che il contesto generale è migliore oggi che al termine della scorsa legislatura: lo attestano tutti gli indicatori economici. Ma il Paese rimane strutturalmente debole, alle prese con i consueti problemi cronici, aggravati dalle nuove emergenze, prima fra queste l'immigrazione.
Il miglioramento della dinamicha economica avrebbe dovuto essere l'occasione per dare un po' di fiato alle iniziative finalizzate ad affrontare i nodi strutturali del sistema paese. Invece, (vedi l'ultima legge di bilancio), ci si è mossi in una logica elettoralistica, glissando su qualsiasi idea riformista, con una buona dose di ipocrisia verso il Paese, poiché già si sa che nella prossima primavera si dovrà fare una manovra aggiuntiva per riportare i nostri conti nei parametri europei e, aggiungo, necessaria per tranquillizzare i mercati.
Chiunque sarà a governarci, non avrà quindi vita facile. E non solo perché si troverà a farlo senza l’arma di distrazione di massa dei mondiali di calcio. Ma soprattutto perchè l’Italia, a dispetto dei flebili venti di ripresa degli ultimi mesi, è un Paese che non sta benissimo. Perché veniamo da dieci anni che ci hanno cambiato profondamente. Perché stiamo perdendo il treno dell’innovazione, diventando un Paese di servizi a basso valore aggiunto. E perché lo siamo facendo deliberatamente, castrando il merito per proteggere con ogni mezzo la nostra mediocrità.

Non mi sfugge certo la complessità dei problemi, così come non mi può sfuggire l'infinita distanza fra la loro complessità e la debolezza della politica italiana: distanza che non può certo autorizzare alcun ottimismo, anche se l'Italia è un Paese pieno di risorse che, anche in precedenti momenti di crisi, le hanno consentito di cavarsela. Ma ciò sarà possibile solo recuperando una grande solidarietà nazionale attorno ad un disegno di ampia strategia, come fece De Gasperi alle elezioni del 1948. Purtroppo, oggi non si vede chi possa guidare una simile grandiosa impresa.
Già, perché oltre alle idee, un siffatto proposito richiede stabilità. L’instabilità è il rischio più grande che dovremo fronteggiare nei prossimi mesi. Ne abbiamo vissuta tanta ma non possiamo considerarla inevitabile, come fosse iscritta nel nostro Dna.
Nessuno degli attori che si presentano agli elettori per chiedere voti può sfuggire. Non può farlo il centrosinistra ancora alle prese con le divisioni e con il fuoco amico che hanno segnato i 25 anni della cosiddetta Seconda Repubblica.
Non può evitare questo nodo un centrodestra che si avvia ad affrontare insieme la corsa alle urne, con buone chance di vittoria, ma profondamente diviso sui programmi, sui riferimenti internazionali e sulla leadership. Un chiarimento è indispensabile, altrimenti diventerà sempre più forte la sensazione di una carovana messa in piedi solo per questa occasione.
Ancora più preoccupante è quello che accade nel Movimento Cinque Stelle, forte di consensi ma altrettanto debole nella proposta politica e nella selezione della classe dirigente. L’incompetenza mostrata nella prova molto negativa di governo a Roma, le gaffe in cui sono inciampati i suoi leader di riferimento nel dibattito politico, le continue polemiche interne, i programmi rischiosi, l’assenza di apertura e dialogo con qualsiasi altra forza politica rendono M5S un protagonista indecifrabile. La protesta e le paure sono state il carburante che ha permesso di conquistare voti. Ma altri cinque anni di transizione e di esperimenti è l’ultima cosa che possiamo permetterci in un contesto in cui si deciderà il futuro del nostro Paese e dell’Europa.

E' quindi fortemente auspicabile che nei circa due mesi che ci separano dalle elezioni il dibattito pubblico prenda un po' il largo, si focalizzi sui temi veramente importanti per gli italiani, smentendo Paul Valery che ha affermato che "La politica è l'arte di impedire alla gente di inpicciarsi di quello che la riguarda".

E cose che la riguardano ce ne sono moltissime, a partire dalla raffica di aumenti delle tariffe che ci porta il Capodanno 2018: non è questo uno spettacolo pirotecnico ben augurale. Aumenti in buona parte determinati dalle croniche inefficienze italiane, che si configurano come vere e proprie imposte occulte, su cui, almeno per ora, nessun partito ha aperto bocca.

Insomma, il 2018 non inizia sotto la più benigna stella. Speriamo che il proseguo possa portarci qualcosa di meglio. Le elezioni rappresentano un passaggio importante. L'augurio che tutti noi italiani dobbiamo farci, (augurio che nel contempo è un invito alla riflessione), è che quel passaggio non renda ancor più complicato il futuro del Paese.
Ebbene, recarsi alle urne per esercitare consapevolmente il fondamentale diritto costituzionale del voto, è il modo migliore di rendere omaggio alla Legge Fondamentale della nostra Repubblica, nel settantesimo anniversario della sua entrata in vigore.

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Lucca, 1 gennaio 2018

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