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Commento introduttivo

dalla creatività e dall'intuizione delle genti che nel corso della storia hanno abitato le terre italiche, sono venute molte fra le più grandi conquiste della cultura e della civiltà umana: nell'arte, nella cultura, nella filosofia, nel diritto e nella politica e così via. E' inutile dilungarsi, si tratta di fatti noti di cui dobbiamo, a ragione, essere orgogliosi.
Ma dobbiamo altrettanto essere consapevoli di difetti collettivi, ben radicati, che hanno profondamente condizionato la nostra storia: penso all'individualismo, allo scarso senso di responsabilità collettiva, al vezzo di scaricare su altri la responsabilità delle nostre inadeguatezze, al vizio di spostare l'attenzione su fatti marginali per occultare i problemi veri su cui, o per ignavia o per furberia, si vuole nascondere la vera essenza.
Non è casuale che mentre in Europa si stavano consolidando gli stati nazionali, da noi si sono aperte le porte all'invasione straniera e si è perpetuata una divisione che, solo grazie all'intelligenza di Cavour ed al concatenarsi di una serie di eventi fortunati, è stata superata nel 1861 con l'avvio della nostra vicenda unitaria.

Ebbene, ora sembra proprio che prevalgano i difetti, sicuramente nella politica, ma anche nella società di cui la politica è lo specchio.
Ma per circoscrivere il ragionamento al versante politico, il menù che la politica appunto ci sta offrendo è quanto di più distante si possa immaginare rispetto ai temi su cui il dibattito dovrebbe focalizzarsi. Infatti, ciò che ci viene offerto, più che un confronto serio sui grandi nodi del momento, sembra essere un combattimento gladatorio fra persone. E così, anziché parlare di serie politiche immigratorie, di come ridurre il debito pubblico e/o l'invadenza burocratica, di come creare vere condizioni per il rilancio strutturale della competitività del sistema paese per cercare di assicurare condizioni migliori per le nuove generazioni, di come articolare una credibile politica nelle sedi comunitarie e via dicendo, si parla della Boschi, con un'operazione di "assassinio politico" indecorosa (oltre che misogina), non motivata da alcun atto e/o comportamento di quel ministro per favorire un proprio interesse familiare. Insomma, siamo nella post-verità dove regna il gossip, e dove la politica declinante trova un valido alleato nel circo mediatico, sempre pronto ad amplificare ciò che si ritiene possa aumentare l'odience. E sia ben chiaro, qui non si tratta di voler difendere il ministro Boschi; si tratta di difendere lo stato di diritto e le garanzie che da esso derivano a tutti i cittadini (quindi anche alla Sig.a Maria Elena Boschi), e di esprimere un giudizio, legittimo per qualsiasi elettore, sulla qualità della nostra politica.
"Ritorniamo alla politica che affronta i nodi del Paese" è il titolo della riflessione di Sergio Fabbrini che propongo all'attenzione dei nostri lettori. Penso che solo da lì potrà passare la capacità di riannodare il Paese reale con la politica. Per ora però non si vede la luce in fondo al tunnel.

Paolo Razzuoli

Ritorniamo alla politica che affronta i nodi del Paese

di Sergio Fabbrini

È comprensibile che la casalinga di Voghera veda la politica come un combattimento tra singoli individui. Ma non è accettabile che così la veda la classe dirigente del nostro Paese. Eppure, guardandosi intorno, sembra di vivere in un mondo in cui non ci sono idee, interessi o visioni ma solamente ‘persone'. La narrazione dominante è che la storia della sinistra sarebbe diversa se “Renzi non avesse il carattere che ha”, la destra sarebbe molto più unita “senza le intemperanze di Salvini”, lo stesso populismo sarebbe accettabile “se non fosse rappresentato dalla saccenteria di Di Maio”. E' vero che la politica si è personalizzata in tutte le democrazie. Ma, da noi, la personalizzazione è divenuta banalizzazione. E mentre la politica italiana viene banalizzata, l'Europa sta prendendo scelte che avranno un impatto drammatico sulla nostra crescita economica e tenuta democratica. Guardiamo i fatti.

Giovedì e venerdì scorsi, a Bruxelles, sono stati discussi nel Consiglio europeo dei capi di governo tre questioni per noi cruciali. Mi riferisco alla politica migratoria, alla politica della difesa e alla riforma della governance dell'Eurozona. La politica migratoria dovrebbe essere una priorità della nostra agenda nazionale, dato che il nostro è il Paese europeo più esposto (insieme alla Grecia) ai dirompenti flussi migratori provenienti dall'Africa. Altresì dovrebbe essere evidente che un fenomeno di questa portata non può essere affrontato militarizzando le nostre coste, né tanto meno utilizzando solamente le nostre risorse nazionali. Abbiamo bisogno dell'Europa. Ma l'Europa non è una cena di gala. Al suo interno, il contrasto tra opposti interessi nazionali è frontale. Come abbiamo visto proprio al Consiglio europeo, dove i Paesi di Visegrad (con il prevedibile sostegno dell'Austria e quello imprevedibile del presidente dello stesso Consiglio europeo, Donald Tusk) hanno opposto una resistenza inflessibile alla politica di ricollocamento di quote di rifugiati nei singoli stati membri dell'Unione europea. Così come si sono dichiarati contrari a rivedere la Convenzione di Dublino in base al quale spetta al Paese di primo arrivo dei rifugiati di farsi carico di questi ultimi.

In cambio hanno offerto 35 milioni di euro da utilizzare in Libia sotto la supervisione italiana. Peanuts, come si dice. Ha fatto bene, in quella riunione, il premier Gentiloni a rifiutare l’aiuto finanziario e insistere sulla politica di ricollocamento e di riforma della Convenzione di Dublino. Ma di ciò non c’è traccia nel dibattito pubblico italiano. Lo stesso vale per la politica della difesa. Sempre a Bruxelles, l’altro ieri, è stata presa una decisione molto importante, quella di andare verso una cooperazione rafforzata, sia militare che industriale. Dovrebbe essere interesse dell’Italia spingere verso una politica migratoria comune e un’Europa capace di difendersi. Problemi di questa portata non possono essere affrontati da un singolo Paese, così esposto geo-politicamente alle minacce esterne come il nostro. Per di più, i sovranisti italiani contrastano entrambi questi sviluppi. Come ha dichiarato il leader pentastellato Di Battista, «la creazione di un esercito comune non è la risposta alle minacce. Piuttosto occorre un coordinamento tra eserciti nazionali». O come ha dichiarato Salvini, non spetta all’Europa controllare le nostre frontiere nazionali. Non sarebbe il caso di mostrare l’inconsistenza delle posizioni sovraniste, nella politica migratoria e di sicurezza, attraverso una grande discussione pubblica?

Infine si pensi alla riforma della governance dell’Eurozona. In particolare alla necessità di completare in fretta l’unione bancaria, come ha sostenuto a Bruxelles il presidente della Banca centrale europea Draghi. L’unione bancaria è ancora oggi, infatti, senza quel terzo e cruciale pilastro che dovrebbe consolidarla, cioè lo Schema unico di garanzia dei depositi. La Commissione europea continua ad avanzare proposte per realizzarlo, ma non si fanno passi in avanti per l’opposizione della Germania e dei suoi alleati del Nord. Proprio in coincidenza della riunione dell’altro ieri, il presidente della Bundesbank Weidmann ha pubblicato un articolo per contrastare la possibilità di una garanzia comune dei depositi che non sia preceduta da una riduzione drastica dei debiti sovrani presenti nei bilanci delle banche (in particolare italiane). Come si vede, lo scontro è frontale. Per noi è vitale che il terzo pilastro si realizzi prima che arrivi un nuovo shock asimmetrico, mentre la coalizione del Nord ha un interesse opposto. Per quest’ultima, occorre che l’Italia riduca, prima, il rischio del debito sovrano depositato nelle sue banche e, poi, poi si vedrà. È evidente che in questo scontro l’Italia può spingere per la condivisione dei rischi attraverso lo Schema unico solamente se, allo stesso tempo, opera per ridurre il proprio debito pubblico. È compatibile, questa strategia, con la proposta «di sforare il rapporto deficit/Pil… come hanno fatto Francia e Spagna» che Di Maio si è impegnato a realizzare se diventerà premier? Oppure con gli obiettivi, che la sinistra e la destra radicali hanno promesso di realizzare se andranno al governo, di abolire la legge Fornero sulle pensioni e la legge del Jobs Act e di reintrodurre l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori? Invece di discutere di ciò, l’attenzione pubblica è focalizzata sul ministro Boschi e sul suo rapporto con il padre in qualità di vice-presidente di una piccola banca toscana. Sebbene Boschi avrebbe dovuto non entrare nel governo Gentiloni dopo la sconfitta referendaria, l’operazione di character assassination nei suoi confronti è indecorosa (oltre che misogina). Infatti non è motivata da precisi atti indotti da quel ministro per favorire un proprio interesse familiare, ma da presunte illazioni. Siamo nella post-verità dove regna il gossip.

Occorre fermare la banalizzazione della politica. Conterà anche il carattere di Renzi, ma la sinistra è divisa per ragioni strutturali. Conterà anche l’intemperanza di Salvini, ma la destra è divisa per ragioni strutturali. Conterà anche l’arroganza di Di Maio, ma il populismo ha basi strutturali. La democrazia ha bisogno della casalinga di Voghera, perché non può esserci una democrazia senza cittadini. Tuttavia, la classe dirigente del Paese deve discutere la sostanza dei problemi, non fermarsi alla loro superficie. Se si guarda la politica dal buco della serratura, allora si vedranno solamente piccole cose e oscure figure. Se si guarda alla sostanza dei problemi, invece, si vedrà che la vera divisione è tra chi vuole modernizzare l’Italia per renderla più forte in Europa e chi vuole un’Italia provinciale perennemente prigioniera delle proprie debolezze.

(dal Sole 24 Ore - 17 dicembre 2017)

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