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Stati Uniti-Russia, l’exit strategy dal disordine globale

di Alberto Negri

Avremo dopo il lungo faccia a faccia di Amburgo una “exit strategy” dal disordine mondiale? Su Putin e Trump l’unica cosa chiara che sappiamo è che il primo ha una strategia, mentre l’altro da quando è comparso in scena ha detto tutto e il contrario di tutto, ha agito in maniera erratica, guidato dal suo istinto e dai suoi pregiudizi.

Con una sola stella polare, ovvero buttare a mare la diplomazia multilaterale, trattati e alleati compresi, per affermare uno slogan diventato un'espressione regressiva e quasi infantile: America First.

La strategia di Putin è riportare la Russia al rango di potenza in grado di condizionare gli Stati Uniti ed esercitare la sua influenza dall'Europa al Medio Oriente, dall'Asia al Mediterraneo. Conta sul successo di avere tenuto in piedi il regime siriano di Assad, la prima vittoria dalla fine dell'Urss insieme all'annessione della Crimea.

Trump prima voleva un grande accordo con Mosca e ha fatto marcia indietro quando i suoi generali gli hanno fatto notare che la partita siriana era stata persa proprio dai maggiori alleati degli Usa, tra cui l’Arabia Saudita, la Turchia e indirettamente Israele. In realtà la partita - sin dall’inizio una guerra per procura contro l’Iran - era destabilizzare lo stesso regime di Teheran. Per questo Trump ha confermato le sanzioni a Mosca e quelle finanziare contro gli iraniani.

Il problema è che rimettere al primo posto l’America funziona a metà quando si tratta di guerre e diplomazia. Raccoglie il plauso israeliano e miliardi di dollari dai sauditi ma si trova in casa problemi imprevisti come la crisi del Qatar, un Paese dove gli Usa hanno di stanza 10mila militari: Washington, perché lo vogliono i sauditi, dovrebbe strangolare Doha? Già gli Stati Uniti sono scesi in guerra in Yemen con Riad dove i sauditi non riescono a vincere neppure contro le modeste bande filo-iraniane degli sciiti Houthi.

Per non parlare del caso Turchia, che potrebbe oscurare quello di Assad. Ankara ha perso la guerra contro Damasco, poi si è trovata in rotta di collisione con la Russia e alla fine ha dovuto mettersi d’accordo con Mosca e Teheran per avere un piede in Siria e giocare la sua partita contro i curdi. Gli americani, per rimediare la disastrosa strategia della Clinton, hanno dovuto appoggiare i curdi a Raqqa mettendosi contro la Turchia. Erdogan è andato fuori controllo: litiga ogni giorno con gli europei, con i quali alza la voce facendo leva sul ricatto dei profughi ma ha messo anche il Paese fuori dalla Nato.

Putin sogghigna pensando che gli Usa hanno fatto di tutto per far saltare il gasdotto Turkish Stream mentre adesso punta a raddoppiare con la Germania il Nordstream.

Qual è stato l’argomento della conversazione tra Putin e Trump? L’ordine mondiale. Ma quale ordine?

Da oltre un decennio assistiamo alla disgregazione di stati falliti e al dilagare del terrorismo jihadista. L’Iraq, dopo l’invasione americana, è caduto persino in mano a un sedicente Califfato. E forse l’Isis si sarebbe impadronito anche della Siria se il regime non fosse stato puntellato da Russia, Iran e Hezbollah. Lo Yemen è in frantumazione. La Libia è sprofondata e rischia di trascinare anche gli altri stati del Sahel con ondate di profughi. Disastri questi in cui si sono distinti Francia e Gran Bretagna. E se avessimo dato retta a qualcuno ci saremmo portati nell’Unione pure l’Ucraina, un Paese indebitato preso di mira dalle rivoluzioni colorate Usa.

In Estremo Oriente intanto la Corea Nord è diventata una sorta di pistola puntata contro Seul e il Giappone per assecondare le ambizioni della Cina. Qui Putin è d’accordo con Pechino a osteggiare una risoluzione Onu contro Pyongyang: forse sbaglia ma Mosca ha un cattivo ricordo di quella che nel 2011 ha spazzato via la Libia, dove per altro oggi i russi, come gli iraniani in Medio Oriente, sfruttano gli errori altrui.

Ma anche Putin ha il fiato corto. Gli Usa hanno spese per la difesa intorno ai 600 miliardi di dollari, la Russia conta su un budget che è un decimo e un Pil simile a quello dell’Italia. Il nuovo espansionismo costa e la Russia ha bisogno di vendere il suo gas minacciato dalla concorrenza dei giacimenti nel Mediterraneo orientale.

Per questi motivi Putin e Trump potrebbero un giorno trovare un accordo: uscire dal disordine mondiale conviene a loro e soprattutto a noi.

(dal Sole 24 Ore - 9 luglio 2017)

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