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Macron e i conti in sospeso dell’Italia

di Adriana Cerretelli

Sotto la crosta spessa e assordante dei populismi d’assalto, da qualche mese in Europa si sentono voci e voti in controtendenza, una traccia sottile che continua e ingrossarsi e probabilmente scriverà la storia di un’altra Europa e di un altro europeismo: pragmatico e confederale, business-like. Fine di idealisti e sognatori.
Al loro posto manager concreti e decisi a ristrutturare l’Unione Spa per riportarla al successo disperso nell’ultimo decennio.

Ha cominciato in dicembre la piccola Austria a battere per due volte consecutive l’estrema destra eleggendo il verde europeista Alexander Van Bellen alla presidenza della Repubblica. Ha continuato in marzo l’Olanda, riconfermando i liberali del premier Mark Rutte e tenendo fuori dai giochi, sia pur con più seggi, il partito euro-xenofobo di Geert Wilders.
Ora non un Paese qualunque o marginale ma il Paese-chiave per il destino dell’Unione, la Francia, ha promosso il giovane europeista Emmanuel Macron umiliando i candidati dei partiti tradizionali e chiamando Marine Le Pen, l’outsider anti-europeista, nazionalista e no-global del Front National, alla singolar tenzone del 7 maggio per l’Eliseo.

Se il duello tra il convinto paladino dell’Europa e la pugnace campionessa della nazione finirà con la vittoria del primo, come tutto lascerebbe credere, la Francia tornerà a essere la grande protagonista della partita continentale recuperando iniziativa politica insieme al tradizionale rapporto privilegiato con la Germania. Lo farà con chiunque vincerà le legislative tedesche del 24 settembre: Angela Merkel o Martin Schulz, entrambi europeisti convinti e decisi a salvaguardare e rafforzare il bastione Europa nell’era globale, tra l’altro in un Paese dove i populisti dell’AfD sono in ritirata.
Se poi la ripresa economica mondiale si irrobustisse, come molti segnali lasciano intendere, e quella europea a sua volta accelerasse, mettendo finalmente una pietra sopra gli strascichi della grande crisi del 2008, tra l’effervescenza ritrovata di Spagna e Irlanda e la lenta convalescenza della Grecia, quei primi segnali di resistenza vincente sulla trincea europeista contro gli assalti populisti potrebbero aprire la strada alla riconquista di un’Europa nuova, fondata sul recupero di un ampio consenso democratico.

Intendiamoci. Nessuno conta sui miracoli. Né su una scontata auto-riforma della Francia di Macron. La strada di una solida riconciliazione franco-tedesca non sarà facile per le divergenze di strutture e di interessi accumulatesi negli ultimi anni tra i due Paesi, né lo sarà la ricostruzione della fiducia intra-europea massacrata da lunghi anni di incomprensioni e rigore eccessivo. Però la riconciliazione europea ci sarà, con chi sarà disposto a partecipare alla nuova struttura delle integrazioni diversificate, non per ritrovato amore reciproco, ma per la forza di una necessità collettiva ineludibile.

E l’Italia? In passato, ai tempi della famigerata prima Repubblica che visse la stagione più felice e coraggiosa dell’integrazione europea, i fasti dell’asse franco-tedesco non impedirono al nostro Paese di intrattenere un dialogo altrettanto cordiale e costruttivo con entrambi. In un’Unione eterogenea e sfilacciata come l’attuale, un nuovo protagonismo italiano non potrebbe che essere benvenuto.
Ma la domanda che sottovoce si fanno i nostri partner è se oggi abbiamo le carte in regola per garantire affidabilità. Nell’Unione dove l’europeismo torna a battere colpi, anche sonori come in Francia, nel nostro Paese che una volta batteva tutti i record dell’euro-entusiasmo non si avvertono segni di ripensamento tra le file euroscettiche. Al contrario. La crisi dei partiti tradizionali che a Parigi ha prodotto Macron, per ora in Italia alimenta solo le forze anti-sistema e anti-Ue di M5S e Lega. Il rischio dell’instabilità politica è colto con estrema preoccupazione: sancita del resto dalla fresca retrocessione a Paese da Tripla B.

«Se si toglie l’Italia, ormai l’eurozona cresce a tassi più elevati del potenziale, insomma è uscita dal biennio buio della recessione 2011-12 indotta da troppa austerità», avverte un diplomatico europeo. E aggiunge: «Va bene dire alla gente in Italia che l’Europa deve cambiare, ma bisogna anche spiegare che vanno fatti i compiti a casa. Da 25 anni l’Italia cresce tra lo 0,75 e l’1,5% meno dell’area euro non certo per colpa del rigore Ue, ma per problemi strutturali non affrontati. Cui si aggiunge una drammatica implosione demografica: rispetto al 2013 le attese in Germania restano negative, ma migliorano. L’Italia è l’unico Paese in cui le cose continuano a peggiorare».
Nessuno vuole tagliarci fuori. Tutt’altro. Ma l’Europa a più velocità in arrivo, che sarà selettiva, e la vittoria di Macron ci pongono più che mai di fronte alle nostre responsabilità. Il nostro destino dipende solo da noi, dalla nostra capacità di produrre anticorpi che blocchino il nostro declino. La Francia ha fermato la sua deriva. Ora tocca a noi. L’Europa non ci aspetterà se non facciamo la nostra parte.

(da Il Sole 24 Ore - 25 aprile 2017)

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