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IL referendum è fissato per il 4 dicembre 2016.
Sì o No: un passaggio cruciale per il futuro del Paese

di Paolo Razzuoli

Il Governo ha deciso: il 4 dicembre p.v. si terrà il referendum sulla riforma costituzionale varata dal Parlamento.
Gli italiani saranno chiamati a scegliere fra il "Sì", per confermarla, o il "No", per rigettarla.

Un appuntamento cruciale per la storia dei prossimi decenni del nostro Paese; un momento fondamentale, o per consentirgli di rincamminarsi su un binario di sviluppo e di crescita, o per ripiegarsi su se stesso, in una sorta di desiderio autarchico di conservazione, premessa di un ampliamento del gap che ci separa dalle nazioni più dinamiche, condizione per scivolare sul terreno di un declino da cui sarà molto impegnativo risollevarsi.
Affermazione che può sembrare un po' retorica e catastrofistica: penso invece che non sia così, in considerazione delle conseguenze dell'eventuale vittoria del "no", tanto sul versante interno quanto su quello internazionale.

Sul versante interno, è quasi pleonastico dire che la vittoria del "no" aprirà una nuova fase di instabilità politica che, è sin troppo facile capirlo, bloccherà qualsiasi tentativo di riformare in profondità il Paese. Tutto questo in barba a quanto ormai da anni ci viene chiesto da tutti coloro (italiani e non) che sono in grado di affrontare in modo scientifico e razionale la situazione italiana. La frammentazione politica, un bicameralismo paritario in cui, come si è ampiamente visto, è quasi impossibile trovare maggioranze omogenee, una abnorme ripartizione di competenze fra governo centrale e regioni, sono solo i dati più evidenti di un contesto in cui il consolidato potere di interdizione di una infinita compagine di corpi sociali potrà agevolmente giocare la propria partita in favore del peggiore conservatorismo, ancorchè ammantato da un ingannevole riformismo di facciata.

Ma non meno deleteri saranno gli effetti della vittoria del "no" sul versante internazionale. Se vince il No il segnale al resto del mondo, e ai mercati in particolare, sarà inequivocabile: l’Italia è irriformabile, non potrà mai guarire, non potrà mai liberarsi della sua cronica instabilità politica; è un Paese dal quale conviene stare alla larga. Ce lo ha ricordato qualche giorno fa l'ambasciatore Usa a Roma, che peraltro ha detto una verità che sa chiunque abbia un minimo di capacità di conoscere ciò che si dice al di fuori dei nostri confini. Molto banalmente, per rendersene conto, è sufficiente parlarne con qualche turista che visita le nostre belle città: nella mia città, Lucca, fortunatamente ce ne sono molti, e in varie occasioni ho avuto modo di farlo, constatando, fra l'altro, non raramente una buona conoscenza delle cose nostre.
In un mondo ormai interamente interconnesso è inimmaginabile pensare che gli altri non ci guardino. Troppo spesso ce le suoniamo e ce le cantiamo da soli, stracciandoci poi le vesti se gli altri ci prendono sul serio. Quando torna comodo, sembra che qualcuno sia colto da un fremito di autarchia, poi sconfessata quando non fa al caso suo: come se noi non ci preoccupassimo della Brexit, o delle elezioni in Germania o in Francia, o dei sussulti autonomistici della Catalogna.

Si mangia con le riforme costituzionali?

L'interrogativo appare certo provocatorio, ma lo è meno di quanto non sembri in apparenza.
Si dice dalle parti dei contrari che non sono queste riforme le priorità, i cittadini hanno ben altre preoccupazioni.
Certamente i cittadini hanno preoccupazioni più immediate e concrete, soprattutto dopo anni in cui la crisi economica ha morso, e come ha morso...
Ma gli italiani sanno e possono capire che dotarsi di strumenti istituzionali più snelli e funzionali è l'unico modo per meglio perseguire qualsiasi politica pubblica. In ultima analisi non è vero che «con le riforme istituzionali non si mangia» (forse nell'immediato, ma a medio termine sì).

Le riforme non possono risolvere tutti i problemi della politica italiana, ma possono molto aiutare

E' di tutta evidenza che da sole le riforme costituzionali non possono rimuovere i guasti ed il malcostume di decenni di cattiva politica. La frattura fra Paese reale e sua classe politica affonda le radici ormai in quasi un quarantennio della sua storia recente, da quando forze politiche incapaci di riformare il Paese e se stesse, hanno dato vita ad una sfrenata azione di riempimento dello Stato e di crescente corruzione.
Dopo il referendum del 1993 sulla legge elettorale, si credette di poter inaugurare una nuova stagione: una speranza che si rivelo' prestamente illusoria. Una illusione che si è tradotta in una vertiginosa discesa delle percentuali dei votanti, ed in un consenso ai movimenti comunemente detti populisti. Certo l'antipolitica che anima questi movimenti non è la scelta di cui le società evolute hanno bisogno: la cattiva politica non si combatte con l'antipolitica ma con la buona politica. E' quindi giusto denunciare i limiti ed i pericoli del populismo avanzante, ma ancor prima di denunciarlo è necessario non alimentarlo.
Temi questi certamente molto sentiti dall'opinione pubblica: Temi che non riguardano le riforme costituzionali. Non si può tuttavia negare che dotarsi di strumenti piu' idonei al perseguimento di una politica pubblica più efficace ed efficiente, va nella direzione della "buona politica". Si dirà che non è una condizione sufficiente; sì, non è una condizione sufficiente ma è sicuramente una condizione necessaria.

Le ragioni del No: mirare qua per colpire là

Dal fronte del No si è sentito tutto ed il contrario di tutto:
- La Costituzione più bella del mondo... non si tocca;
- La riforma non doveva essere proposta dal governo, le riforme costituzionali devono essere di iniziativa strettamente parlamentare;
- Le riforme costituzionali si fanno tutti insieme. Questa è una riforma a maggioranza;
- La riforma è stata affrettata inutilmente, si potevano fare le cose con più calma. - Governo e maggioranza non avrebbero dovuto chiedere il referendum;
- Il rafforzamento dei governi riduce gli spazi di democrazia ed è un obiettivo sbagliato;
- La riforma è un attentato alla democrazia perché non assicura le necessarie «garanzie»;
- La riforma avrebbe dovuto essere più drastica e introdurre il monocameralismo invece di trasformare il Senato.

Un elenco che si potrebbe molto allungare ma che - posto il contenuto delle riforme, già mi sembra più che sufficiente per attestare la debolezza, ed in molti casi, l'inconsistenza delle argomentazioni.

Non potendo in questa sede controbattere punto per punto le argomentazioni del fronte del No, rimando a due strumenti utili allo scopo:
Un semplice depliant contenente le risposte ad alcuni quesiti;
TESTO A FRONTE COMMENTATO a cura di C. Fusaro: Costituzione 1948 - Costituzione 2016 a raffronto

Su una ragione del No, forse la più ridicola, (copyright Stefano Rodotà) voglio soffermarmi un attimo: "La riforma è scritta male, è «sgrammaticata»
Che la riforma non sia un capolavoro di bella normazione è vero: ma questo vale - in giro per il mondo - per tutte le recenti revisioni costituzionali, nelle quali prevale la tendenza ad essere sempre più specifici, a tutto prevedere, a tutto regolare proprio per ridurre le incertezze interpretative. Tanto più quando una riforma è figlia di compromessi parlamentari. E non si può al tempo stesso lamentare una (presunta) espropriazione del Parlamento e poi, quando fa il suo mestiere, rammaricarsi che non ne vengano fuori testi inappuntabili tecnicamente come se prodotti non da politici ma da esperti di buona legislazione. A mio avviso il testo entrato in Parlamento era migliore di quello che ne è uscito. I difetti peggiori della riforma derivano da cedimenti motivati dalla necessità di ottenere i voti, soprattutto della minoranza del Pd, che si abbarbicherà ad ogni pretesto per votare No.
A proposito della chiarezza dei testi legislativi, mi piace ricordare Konrad Adenauer che una volta ebbe a dire: "I 10 Comandamenti sono così chiari che si capisce bene che non sono stati scritti da un'assemblea".

Tornando al fronte del No, il tema vero non è il merito della riforma, la cui opposizione appare sinceramente non argomentata, bensì un altro duplice obiettivo: 1) far saltare Renzi ed il suo Governo; 2) impedire, con lo stop a questa riforma, l'avvio di una autentica stagione riformatrice per il Paese.
Circa la caduta del Governo in caso di bocciatura, al di là di ciò che ha detto e dice Renzi, mi pare difficile che un Governo nato sulla base di un preciso mandato per le riforme, e che di queste ha fatto il cardine del suo programma, possa sopravvivere alla vittoria del No. Si tratterà di vedere come sarà l'agonia in vista della caduta, che non è detto sia immediata, ma sarà inevitabile con conseguente apertura di una nuova stagione dai contenuti ed esiti al momento imprevedibili. Ciò che invece appare prevedibile, è il suo portato di instabilità, frutto della ben nota frammentazione del quadro politico. Una condizione che presumibilmente rimetterà in gioco forze che al momento, anche per loro miopia, hanno ruoli marginali. E' proprio questo che vogliono i fautori del No: una strana aggregazione ben raffigurata in una foto di gruppo in cui si vedono Salvini, la Meloni, Brunetta, Mastroianni e Grillo. Insomma, i populisti e reazionari insieme, in uno scatto che non appare certo rassicurante. Uno di questi ha poi una spiccata faccia di bronzo, visto che ha votato - assieme ai suoi - le riforme per metà giro, per poi invertire la rotta, per motivi deltutto estranei al suo merito.
Circa lo sforzo di bloccare sul nascere una possibile vera stagione di riforme, ogni commento appare pleonastico: è il tentativo di non perdere privilegi accumulati in decenni di follia, nei quali la politica è stata al rimorchio del binomio interessi corporativi-poteri di interdizione. Tutti malanni che trovano il naturale "terreno di coltura" nella debolezza della politica.

Insomma, Come purtroppo non raramente capita in Italia, anche in questa circostanza ci troviamo di fronte al dualismo fra obiettivi "palesi" ed obiettivi "nascosti": si mira qua per colpire là. Speriamo che la gente lo capisca, e che la doppiezza e l'ipocrisia vengano battute.

Un fortunato miracolo della ragione

Essere riusciti a portare a termine l'iter parlamentare della riforma è quasi un miracolo: un miracolo della ragione. E' passato più di un trentennio dall'insediamento della Commissione Bozzi (eravamo nel 1983), il primo tentativo di riforma organica della seconda parte della Costituzione, e nessun progetto era sinora riuscito a tanto. Vi sono state revisioni parziali, come quella del Titolo V del 2001, che è arrivata in fondo, ma si tratta di altra cosa.
Il risultato è stato reso possibile grazie alla fortuita coincidenza di vari fattori che qui non serve approfondire. Serve però sottolineare che si tratta di una occasione eccezionale, che il popolo italiano non può permettersi il lusso di sprecare.

Al di là del mito della (Costituzione più bella del mondo), è fuor di ogni dubbio che la prima parte della Carta è un documento di straordinario spessore politico, etico e civile. Infatti a nessuno è mai venuto in mente di toccarla.
Diverso è il caso della seconda parte, quella che disegna l'architettura istituzionale dello Stato, oggetto di un serrato dibattito già in sede di Costituente, i cui esiti sono stati dettati da ragioni di scenario politico e non da convinzioni tecniche.
Potrà sembrare paradossale, ma il processo di revisione costituzionale si può dire sia iniziato il primo gennaio 1948. Infatti, prima delle elezioni del 18 aprile di quell'anno, con la legge elettorale si cerchò di limitare le differenti modalità di elezione delle due Camere; nel 1953 e nel 1958, con lo scioglimento anticipato del Senato, si ovviò alla previsione costituzionale della diversa durata in carica delle due Camere: diversità che nel 1963 venne eliminata con riforma costituzionale.
Come si vede, il dibattito sul nostro bicameralismo è tutt'altro che recente e, con la sopra citata Commissione Bozi ha avuto una accelerazione, pur essendosi quasi sempre arrestato di fronte a veti incrociati e poteri interdittivi.
La riforma che sarà giudicata dagli elettori, fa frutto del dibattito sviluppatosi in sede politica e tecnica; non sarà certo perfetta, ma propone un disegno coerente, è in linea con le previsioni costituzionali dei Paesi europei di democrazia matura, si adatta alla ripartizione dei poteri fra centro e periferia tramite il raccordo del Senato formato dai rappresentanti delle autonomie, recepisce le esigenze di un Paese inserito nelle dinamiche europee e globali.
L'esperienza potrà evidenziarne limiti e/o problemi di applicazione; ebbene, si potrà intervenire per correggerli, come delresto si è ripetutamente fatto in passato.

Il quesito del referendum

Il quesito è estremamente chiaro: una chiarezza che non puo' che fare piacere, anche se ha suscitato polemiche reazioni nel fronte dei contrari.
Ecco il testo del quesito che riporta semplicemente il titolo della legge: si risponderà semplicemente tracciando il segno sul Sì o sul No.

«Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?»

Un appello

In vista del referendum è necessario che le forze sinceramente riformiste del Paese si mobilitino. Questo referendum va vinto: va vinto per aiutare il Paese ad uscire dalla permanente instabilità politica che da decenni lo blocca, va vinto per dare agli altri Paesi ed ai mercati il messaggio che l'Italia è riformabile, va vinto per sconfiggere la resistenza dei numerosi reazionari, qualsiasi sia il loro colore.
Non sarà facile: per questo dobbiamo mettercela tutta....
Dobbiamo impegnarci per spiegare alla gente che non si vota a favore o contro Renzi: si vota per ammodernare le istituzioni, nelle quali ciascuno potrà giocare la propria partita. In questo senso speriamo che crescano i comitati trasversali, non legati ai partiti, quale tangibile segnale che il bisogno delle riforme prescinde dalle classiche famiglie politiche di riferimento.
Dobbiamo spiegare che la riforma non tradisce certo i principi della Costituzione, nè prefigura alcuna minaccia per la democrazia. Anzi, le norme sul procedimento legislativo si tradurranno in un maggior rispetto per il Parlamento, da decenni sempre più esautorato dal massiccio ricorso alla decretazione d'urgenza.
Dobbiamo poi spiegare che il bicameralismo paritario è ormai abbandonato in quasi l'intera Europa (un motivo ci sarà pure), e che la riscrittura del Titolo V è necessaria per rinstradare su un binario di chiarezza i rapporti fra Stato ed autonomie locali. Autonomie che nel nuovo Senato troveranno uno strumento di espressione e di valorizzazione, di raccordo con il livello di governo nazionale, sulla falsa riga di intuizioni (vedi Costantino Mortati), già esposte in sede di Costituente.

Non sarà facile convincere un elettorato che ormai da decenni vota più "contro" che "a favore".
Non sarà facile misurarsi con un sistema mediatico che ha accreditato come "opinion maker" comici, cantanti e ballerine, magari bravi nella loro arte, ma non per questo capaci di sostituire profili dotati dei necessari strumenti di approccio razionale e scientifico a realtà tanto complesse.

Quest'anno cade il centenario della nascita di Aldo Moro: è con un suo pensiero che voglio chiudere questa mia riflessione.
Una volta Moro, parlando ad un Consiglio Nazionale della Dc ebbe a dire: "Di occasioni mancate si può anche morire".

Il Paese non può permettersi di mancare questa occasione: non dimentichiamolo ed il 4 dicembre votiamo Sì.

Lucca, 26 settembre 2016

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