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Commento introduttivo

E' veramente paradossale ciò che si sente dire da alcune parti politiche che in questi giorni stanno riaccendendo il dibattito sulla legge elettorale.
Non sarà certo sfuggito a chi osserva con attenzione il dibattito politico, che nel partito di coloro che vogliono modificarla, prima ancora che sia stata utilizzata, ci sono molti di coloro che hanno perso nella recente tornata amministrativa. Non sarà nemmeno sfuggito l'atteggiamento cauto dei pentastellati: forse stanno imparando a fare un po' di conti e cominciano ad annusare qualcosa...
Chi perde, anzichè interrogarsi sulle ragioni politiche della sconfitta, se la prende con il meccanismo elettorale che, a detta loro, è la piu' vera causa dell'insuccesso.
Strano criterio di analisi politica questa....... Quando si vince le leggi vanno bene, quando si perde vanno cambiate.
Purtroppo sono decenni che il dibattito sull'architettura istituzionale e sulle leggi elettorali italiane è inquinato da una tossina ammorbante di cui non riesce a liberarsi: quella del voler piegare l'assetto istituzionale e la legislatura elettorale ai propri immediati interessi di parte.
Non è delresto questo presupposto che condiziona il dibattito sul prossimo referendum sulla riforma costituzionale? Del merito quasi non si parla. Il problema principale sembra essere "Renzi sì" - "Renzi no".
Brutto clima questo, che rischia seriamente di inquinare un appuntamento di estrema importanza per il Paese.
Tornando al merito della legge elettorale, appare veramente singolare (è lecito dubitare della buona fede) la riproposizione da parte di alcuni di sistemi gia' sperimentati con esiti certamente non incoraggianti. In particolare il sistema maggioritario a collegio uninominale, cche era l'impostazione prevalente della legge elettorale con cui si è votato in Italia dal 1994 al 2001. A chi fosse di memoria corta, giova ricordare che la legislatura eletta nel 1994 è durata due anni con due governi (Berlusconi e Dini); quella eletta nel 1996 è durata l'intero quinquennio, ma con tre Presidenti del Consiglio (Prodi, D'Alema, Amato, che hanno peraltro dovuto fronteggiare varie crisi interne). Allora molto si parlava del potere interdittivo di piccoli partiti, imbarcati per accrescere le aspettative elettorali di coalizioni costruite piu' su aggregazioni numeriche che su presupposti di condivisione politica. Fatti che dovrebbero essere tenuti a mente, per valutare le posizioni dei partiti su una materia di sicuro interesse per il Paese.
Capisco bene che gli apparati dei partiti tendano a salvaguardare il loro ruolo. E' comprensibile, ma è un problema loro e non degli italiani che hanno bisogno di altro: hanno bisogno di stabilità politica per affrontare le sfide sempre più complesse imposte dal tempo che viviamo.
Anticipando un'osservazione che mi sono sentito ripetere in questi giorni, so bene che la stabilità non è di per sè la buona politica. E' tuttavia condizione necessaria affinchè la buona politica, se mai la avremo, possa produrre i propri effetti.
Temi su cui occorre riflettere con attenzione. Il contributo di Roberto D'Alimonte che propongo ai lettori di Fucinaidee mi pare utile a questo scopo.

Paolo Razzuoli

Perché il collegio uninominale non assicura la governabilità

–di Roberto D'Alimonte

Oggi entra in vigore l’Italicum. La nuova legge elettorale è stata approvata molti mesi fa, ma per uno di quei compromessi cui Renzi è stato costretto da un Parlamento diffidente sulle sue reali intenzioni la sua efficacia è stata rimandata al 1° Luglio. Ma in realtà nemmeno oggi si può dire che il Paese ha un sistema elettorale efficiente perché l’Italicum si applica alla Camera e non al Senato. Lì continuerà a essere in vigore il sistema elettorale proporzionale confezionato dalla Consulta per cui non si potrà comunque tornare alle urne senza che la riforma costituzionale sia approvata. E anche questa follia è il risultato di un compromesso imposto da chi temeva di mettere nelle mani del premier un sistema di voto pronto all’uso. Il bello è che adesso gli stessi che hanno imposto questa follia denunciano come un ricatto il pericolo che la mancata approvazione della riforma getti il paese nel caos. Ma questa è la politica di casa nostra.

L’Italicum entra in vigore proprio nel momento in cui hanno ripreso quota i collegi uninominali. C’è chi pensa che questa sia la strada da percorrere per rottamare l’Italicum e dare al Paese un sistema elettorale migliore. Tra questi ci sono i nostalgici della legge Mattarella con i suoi collegi a un turno ma ci sono anche gli adepti del modello francese con i suoi collegi a due turni. Il collegio uninominale ha certamente delle virtù ma nessuno si chiede cosa succederebbe se oggi- in un contesto tripolare- votassimo con l’uno o con l’altro di questi sistemi. Una risposta precisa non la si può dare, ma una indicativa sì.

Nella simulazione che presentiamo qui abbiamo utilizzato i voti ai partiti nelle ultime elezioni politiche del 2013 e li abbiamo proiettati sui collegi previsti dalla legge Mattarella, quella con cui si è votato tra il 1994 e il 2001. Come è noto, i collegi erano 475 cui si aggiungevano 155 seggi assegnati con formula proporzionale. Nei collegi chi arrivava primo vinceva il seggio indipendentemente dalla percentuale di voti ottenuti (ma è costituzionale una formula del genere ?). Erano collegi a un turno. Nella parte proporzionale per avere seggi occorreva ottenere almeno il 4% dei voti a livello nazionale. Il risultato, come si vede, è una Camera frammentata e senza maggioranza. La coalizione di Bersani avrebbe ottenuto 188 seggi uninominali e 234 seggi complessivi pari al 37% , quella di Berlusconi ne avrebbe presi rispettivamente 212 e 259 (il 41%). Il M5S con più voti di tutti avrebbe preso meno seggi dei suoi maggiori competitori: 74 seggi maggioritari e 121 in totale (19%). Monti non avrebbe conquistato alcun seggio maggioritario e solo 15 seggi proporzionali, vale a dire con il 10% dei voti avrebbe preso il 2% dei seggi.

Anticipiamo l’obiezione che cambiando il sistema elettorale cambierebbe l’offerta politica, cioè le strategie dei partiti, e quindi il comportamento degli elettori e quindi i risultati. L’obiezione è corretta. Si possono modificare quanto si vuole le percentuali di voto ai partiti, ma a meno di non ipotizzare che il M5S arrivi terzo in quasi tutti i collegi il risultato non cambia: non ci sarebbe alcuna maggioranza di seggi a favore di uno dei tre poli. In questa simulazione il centro-destra arriva al 41% dei seggi con il suo 29% di voti. Per dargli una maggioranza il premio ipotizzato da alcuni dovrebbe essere di almeno 10 punti percentuali. In questo modo il premio complessivo sarebbe di oltre 20 punti, cioè la differenza tra 51% e 29%. Va da sé che l’entità del premio dovrebbe essere addirittura superiore se si volesse utilizzare la quota del 25% dei seggi proporzionali come premio o come diritto di tribuna.

Di fronte a questa evidenza qualcuno sostiene che non si dovrebbe dare alcun premio aggiuntivo. Bene, e allora questo qualcuno ci dice come si farebbe un governo? Vista l’indisponibilità del M5S ad allearsi con chiunque, la sola coalizione possibile sarebbe quella che mette insieme il Pd con pezzi di centro-destra. E così il M5S da una parte e la Lega Nord dall’altra (se Salvini decidesse di non appoggiare il governo di larghe intese) continuerebbero a prosperare sulle difficoltà di chi dovrebbe accollarsi la fatica di governare. Non proprio la ricetta giusta per governi stabili. L’unico vincitore in uno scenario del genere sarebbe Berlusconi. Rientrerebbe in gioco esattamente come è successo dopo le elezioni del 2013.

Ma come abbiamo detto più volte, i critici dell’Italicum pensano che la stabilità sia un optional. E allora non vedono, o fanno finta di non vedere, la differenza tra un sistema di lista come l’Italicum e uno basato sui collegi. Primo, con l’Italicum la disproporzionalità - cioè la differenza tra voti e seggi - è predeterminata. Con i collegi no: potrebbe essere modesta ma potrebbe essere altissima. Secondo, le forze minori sono molto più penalizzate da un sistema con i collegi che da un sistema di lista. Terzo, con l’Italicum il ballottaggio garantisce che in caso di frammentazione dei voti al primo turno siano gli elettori in modo chiaro a decidere, usando le prime e le seconde preferenze, chi debba governare. E in questo caso per vincere occorre avere il 50% dei voti. Così, in un contesto frammentato e volatile si può favorire la stabilità senza sacrificare eccessivamente la rappresentatività.

(dal Sole 24 Ore - 1 luglio 2016)

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