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I populisti perdono il primo round ma per Renzi la battaglia continua sulla manovra

di Lina Palmerini

È il Governo, bellezza. Se Tsipras ha accettato la regola del governare, i “populisti” italiani sono rimasti spiazzati dalla sconfitta della loro linea. Una linea, appunto, che ha a che fare con l’essere all’opposizione. Non è un caso che da Salvini a Grillo fino a esponenti della sinistra, nessuno abbia ancora affrontato la “prova” Palazzo Chigi, per di più con le regole dell’euro.

E una prova di Governo attende anche Renzi che porta a casa l’accordo europeo su cui si era speso ma torna a Roma anche con un “warning” dopo quella lunga notte di negoziato: che non ci sono pasti gratis nell’eurozona. E che a lui toccherà fare una legge di stabilità senza furbizie, affrontando il nodo dei tagli di spesa esattamente come l’hanno affrontato gli altri Paesi del Sud Europa. Dunque, anche se il premier incassa il risultato politico dell’intesa con la Grecia, ora è lui che deve offrire all’Europa un risultato. Cioè una manovra d’autunno che renda più affidabile l’Italia dal punto di vista della crescita e della sostenibilità del debito. Una prova che Renzi deve a Bruxelles ma innanzitutto all’Italia.

Oggi i partiti populisti sono più deboli e frammentati dopo il “sì” di Tsipras ma è solo un round perso. Senza una crescita più consistente e una ripresa dell’occupazione, la battaglia non è vinta. È vero che in appena una settimana il fronte italiano pro-Tsipras ha ritrovato le sue contraddizioni che il referendum greco aveva temporaneamente nascosto. Da Grillo a Salvini fino a Vendola o alla sinistra del Pd, sono tornati divisi e confusi, una torre di Babele in cui non c’è più un unico slogan efficace e ci si divide sul tradimento di Tsipras o sul colpo di Stato europeo. Ma si tratta di un momento. La partita dei populisti italiani, ed europei, è ancora in corso.

L’effetto Grecia non durerà a lungo, presto arriveranno i dati Istat sul Pil o sull’occupazione e con quelli si farà la battaglia politica. Non ci sarà Tsipras ma potrebbe esserci Podemos o un altro leader a tonificare una linea che nasce da un malessere sociale ed economico ancora vivo. È quello di cui Renzi deve occuparsi. E non potrà farlo se non costruisce un argine anti-populista e una base parlamentare solida. Le fibrillazioni nella minoranza del Pd si ridurranno dopo la svolta “governista” di Tsipras ma non smetteranno. E il premier se le ritroverà sulla legge di stabilità così come sulle riforme. Quello di cui ha bisogno è trovare voti oltre il perimetro della maggioranza.

Al di là delle mosse di Verdini, già si parla di un possibile nuovo avvicinamento con Forza Italia. L’appiglio potrebbe essere quello di ritrovarsi insieme nel tavolo di coesione nazionale sulle grandi crisi internazionali proposto da Forza Italia. Sembra ci siano primi segnali di disgelo. Il vantaggio per il partito del Cavaliere è che tornerebbe a esprimere qualche posizione politica e non più solo la difesa d’ufficio del proprio leader ai processi in cui è coinvolto. Se, insomma, il premier ha bisogno di affrontare le prove d’autunno evitando le trappole della sinistra Pd, così Forza Italia ha bisogno di uscire dalla marginalità politica. E dal ruolo subalterno in cui l’ha relegata Salvini sotto lo slogan del no-euro che tra l’altro oggi, dopo il cedimento di Tsipras, è perdente. Vince invece quello dell’ala europeista di Forza Italia, incarnata da Antonio Tajani, ben lontano dalle promesse di referendum o da ritorni alla lira. Ecco, anche la legge di stabilità dovrà essere cucita con il filo dell’euro, con chi ancora ci scommette pur criticandone la governance.

(dal Sole 24 Ore - 14 luglio 2015)

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