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Commento introduttivo

Certo l'incontro dei capi di Stato dell'Unione Europea dello scorso 23 aprile, indetto per affrontare lo spinoso e drammatico tema dei migranti, non e' stata una bella pagina della vita delle istituzioni europee.
Al di la' delle dichiarazioni di rito a cui siamo ormai abituati, affermazioni che dietro le coordinate del linguaggio diplomatico di sovente nascondono il nulla, si e' capito inequivocabilmente che ancora una volta hanno prevalso gli egoismi a scapito di una qualsiasi vera capacita' di comprensione della portata e della complessita' del fenomeno.

Certo per l'Italia non si annunciano giorni facili. Sarebbe tuttavia riduttivo pensare che un fenomeno epocale, (non e' esagerato cosi' classificare il fenomeno della migrazione dal continente africano e dagli altri scacchieri di guerre e/o di miseria), non investa l'intera Europa.
Infatti il nostro continente non potra' evitare, continuando con questa inerzia, prima o poi di fare i conti con una catastrofe annunciata: quella di una insostenibile pressione demografica del sud del mondo, di portata tale da non poter piu' essere sostenuta.
Un collasso reso ancor piu' drammatico dalla circostanza che i governanti europei sembra non siano in grado, o non vogliano per miopia e/o egoismo, comprenderne le cause, e quindi adoperarsi per prevenirlo mettendo in campo idonee politiche.

Siamo di fronte ad uno scenario che nessun Paese da solo e' in grado di affrontare. Uno scenario che richiama l'Europa all'assunzione delle proprie responsabilita'. Purtroppo l'Europa, anche in questa occasione, si sta rivelando piu' un'"espressione geografica" che un'"entita' politica".

Non servono certo gli slogan alla Salvini o alla Le Pen. Serve una politica coesa, gestita su basi comunitarie, capace di intervenire anzitutto laddove il fenomeno nasce e si sviluppa.
Ma per far cio' serve una classe politica che sappia guardare in avanti, portando lo sguardo oltre l'orizzonte dell'egoismo degli interessi di breve respiro.
Serve una classe dirigente capace di pensare in grande: una classe dirigente che sappia leggere i grandi fenomeni della contemporaneita', risvegliandosi da quella specie di sonnambulismo in cui sembra essere caduta: un sonnambulismo in cui sembra essere apparentemente vigile ma non in grado di vedere.

Paolo Razzuoli

Renzi, i migranti e l’UE. Il balbettio degli egoisti d’Europa

di Ernesto Galli della Loggia

Si può immaginare una prova di egoismo e di miope inettitudine più clamorosa di quella mostrata dall’Unione europea riunita giovedì a Bruxelles per discutere il da farsi rispetto all’ondata migratoria che sta rovesciandosi sulle coste meridionali del nostro continente? Posta davanti a una sfida geopolitica di carattere epocale, davanti alle sciagure e ai problemi di ogni tipo che questa produce, la sola cosa, infatti, che l’Unione si è saputa inventare è stata quella di mandare qualche altra nave nel Mediterraneo e di destinare una manciata in più di quattrini all’operazione Triton. Cioè di far finta di fare qualcosa allo scopo di non fare nulla.

Nel suo balbettio e nel suo riuscire a mancare regolarmente tutti gli appuntamenti decisivi che potrebbero farle fare un salto di qualità verso un’esistenza di soggetto politico, l’Europa è ormai diventata qualcosa d’imbarazzante. La mancanza di leadership e di visione minaccia di renderla un organismo sempre più ingombrante per le cose facili e sempre più inutile per quelle difficili. Un vuoto ammasso di egoismi nazionali che dura finché questi non vengono disturbati.

Del resto è apparso non meno insufficiente nei giorni scorsi anche il comportamento del governo italiano. Il presidente Renzi, recatosi a Bruxelles sperando verosimilmente grandi cose (anche se non si sa di preciso che cosa), ha dovuto accontentarsi di quasi nulla. Il fatto è che per ottenere seppure in parte da un sinedrio come quello di Bruxelles ciò che si desiderava, bisognava battere i pugni sul tavolo. Tutto il Paese avrebbe seguito un presidente del Consiglio che avesse tenuto un discorso del tipo: «Cari signori, l’Italia non intende vedere annegare centinaia di persone in mare senza muovere un dito. Noi quindi faremo di tutto per cercare di salvare il maggior numero possibile di migranti. Ma tutto questo costa, costa molto. Siccome però non siamo il Paese di Bengodi, e le nostre risorse sono limitate, sappiate che se voi non fate nulla di più del quasi niente che vi proponete di fare, allora alle prossime scadenze l’Italia si vedrà costretta con molto rammarico a sospendere qualsiasi tipo di finanziamento, anche quello ordinario, all’Unione e alle sue attività». E invece, ahimè, nulla di simile si è sentito. Evidentemente un conto è bacchettare Civati o tirare le orecchie alla Camusso, un altro affrontare a brutto muso Cameron o la Merkel (oltre, immagino, il mugugno sussiegoso della Farnesina). E così abbiamo dovuto accontentarci di una mancia accompagnata da un’amichevole pacca sulla spalla.

Giorni molto difficili si annunciano dunque nell’immediato per l’Italia. Ma per l’intera Europa si avvicina a più o meno lunga scadenza l’appuntamento con una catastrofe annunciata, quella di un’insostenibile pressione demografica del Sud del mondo la quale, proprio in quanto continua ad essere pervicacemente rimossa, tanto più minaccia inevitabilmente di assumere i tratti di un vero e proprio collasso geopolitico.

Non è vero che non ci sia nulla da fare. Se l’Europa esistesse, se avesse una vera guida politica dotata di autorità e di visione, potrebbe fare molto, specie per le migrazioni mosse da ragioni economiche. Previo un accordo quadro con l’Organizzazione dell’Unione africana, ogni Paese europeo (da solo o insieme a un altro) potrebbe ad esempio stabilire con uno Stato di quel continente una sorta di vero e proprio gemellaggio: rapporti speciali di aiuto e cooperazione per favorirne lo sviluppo; essere autorizzato a destinarvi investimenti privilegiati in campo economico e turistico; stabilire con esso accordi doganali speciali per favorirne le produzioni e le esportazioni; aprirvi centri culturali, inviarvi «missioni» di ogni tipo specie per migliorarne gli apparati scolastici, sanitari, giudiziari e di polizia; accoglierne gli studenti migliori con borse di studio; e anche, magari, aprirvi dei «campi di addestramento» lavorativo, linguistico e «antropologico-culturale», destinati a coloro che comunque intendessero abbandonare il loro Paese.

Costerebbe e non sarebbe facile, certo. Avrebbe anche dei rischi, forse. Ma sono per l’appunto queste le cose che fa la politica, che solo la politica sa fare. Perlomeno la politica che non gioca a scaricabarile, ma quella che immagina, che osa, che agisce.

(dal Corriere della Sera - 26 aprile 2015)

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