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Breve commento introduttivo

Nel breve commento con cui ho introdotto, ieri 21 marzo, l'articolo intitolato "Due pesi, due misure, un leader", ho fatto anche riferimento alla giungla con cui vengono trattate in Italia le intercettazioni telefoniche. Tema certamente delicato, ma che ha visto ormai da decenni prevalere posizioni piu' dettate da interessi di parte, piu' o meno condizionate dagli umori della piazza, anziche' posizioni di equilibrio, frutto della cultura e della civilta' di uno stato di diritto.
Purtroppo - diciamocelo senza veli - non e' questo l'unico ambito in cui cio' succede. Anzi. Da noi, e' spesso la necessita' di rispondere ad una emergenza o la volonta' di accontentare gli umori del momento, il propellente di provvedimenti, anche di grande importanza che, proprio perche' nati da spinte contingenti, mancano di quell'equilibrio che e' invece il requisito fondamentale di una buona legislazione.
MI ha fatto piacere leggere su "La Stampa" di oggi 22 marzo un testo che sviluppa lo spunto che io ho fugacemente accennato. Lo sottopongo quindi ai lettori di Fucinaidee.

Paolo Razzuoli

Intercettazioni, abbiamo bisogno di più equilibrio

di giovanni orsina

Non c’è molto da dire sulle dimissioni del ministro Lupi. A leggere quel che è stato diffuso su di lui nell’ambito dell’inchiesta sulle grandi opere; considerando come quelle rivelazioni sono state accolte dall’opinione pubblica; e tenuto infine conto del quadro complessivo - la forza di Renzi e la fragilità del Nuovo centrodestra, le cui opzioni politiche vanno restringendosi sempre di più -, sarebbe stato sorprendente se le cose fossero andate diversamente. Non c’è molto da dire nemmeno sull’inchiesta in se stessa: la giustizia farà il suo corso, com’è sacrosanto che sia.

Su come si è arrivati alle dimissioni del ministro e su come è stata avviata l’inchiesta, invece, c’è molto, anzi moltissimo da dire. Moltissimo di tutt’altro che nuovo, visto che è da più di vent’anni che continuiamo a ripercorrere le stesse strade. Ma proprio perché il nostro è il Paese della fibrillazione statica, dell’agitazione immobile, dell’isterismo sterile – proprio perché dopo vent’anni siamo comunque rimasti sempre allo stesso punto –, la ripetizione forse può giovare.

Com’è già avvenuto non so più quante volte nell’ultimo decennio, quest’inchiesta ha generato un’imponente ondata di intercettazioni che sono state rese di dominio pubblico. Com’è già avvenuto non so più quante volte nell’ultimo decennio, sui giornali abbiamo potuto leggere lunghi brani di conversazioni prive di qualsiasi valore giudiziario immediato, ma utilissime a generare una - per così dire - «indignazione indiziaria».

Un esempio? Uno solo fra i tanti: la telefonata fra la moglie e il figlio d’un indagato, nella quale si parla dei beni di famiglia. Il lettore legge, e mentre legge già scrive la sentenza di condanna: così tanti soldi altro non possono che essere il frutto d’un illecito. A me invece, se mi è consentita una nota personale, mentre leggo monta la nausea: a vedere le vite di persone a tutt’oggi innocenti (ma non lo meriterebbero nemmeno se fossero dimostrate colpevoli) esposte senza pudore né misericordia al disprezzo universale. E, come mi è capitato di fare non so più quante volte nell’ultimo decennio, mi viene da chiedermi che cosa ci sia di civile in tutto questo.

Ma la «casa di vetro» della democrazia, si dirà, non appartiene anch’essa alla nostra civiltà? Non abbiamo noi elettori e cittadini il diritto di essere informati su chi ci governa e gestisce i soldi pubblici? Certo che lo abbiamo - ma non è un diritto illimitato. Nell’era delle grandi semplificazioni e della demagogia rampante, a quel che sembra, abbiamo dimenticato che la democrazia liberale non è una costruzione solida, coerente, immutabile. È un campo di tensione attraversato da conflitti e contraddizioni, in movimento perenne da un equilibrio storico, fragile e provvisorio, a un altro.

In questo campo di tensione, al nostro diritto a guardar dentro le istituzioni si contrappone non soltanto il diritto alla privacy - che dei «quarti di nobiltà» liberali, in definitiva, ce li avrebbe pure lui -, ma anche l’opportunità che nella sfera del potere sia lasciata qualche zona d’ombra. Il conflitto fra il politico che cerca di nascondere e il giornalista che vuole scoprire è un elemento essenziale della democrazia - è una battaglia che non deve mai concludersi. La democrazia è finita se vince il politico. Ma è in pericolo anche se lo Stato, tramite un suo potere, mette a disposizione del giornalista, in misura eccessiva, uno strumento potente come le intercettazioni. In un’autentica casa di vetro, infatti, non sopravvive nessun essere umano. Un’autentica casa di vetro - che sia davvero, completamente trasparente - brucerà chiunque cerchi di occuparla. Lasciando entrare a ogni giro una nuova processione di aspiranti al governo: salmodianti i loro bravi inni di novità e purezza, inferiori per qualità ai loro predecessori, e destinati comunque anch’essi a essere inceneriti in breve tempo.

Dopo anni nei quali è stata «invasa» prima dagli imprenditori, poi dai tecnici, poi dai cittadini qualunque, la politica sta adesso recuperando un po’ di autonomia e di fiducia in se stessa - lo dimostra il fatto che, da qualche tempo, sono tornati di moda i politici di professione. È una buona notizia, a mio avviso. Perfino la decisione di Renzi di abbandonare al suo destino il non inquisito Lupi e di tenersi al governo dei sottosegretari inquisiti potrebbe esser considerato una dimostrazione di questo «ritorno della politica» – oltre che, ovviamente, dell’acclarato opportunismo del Presidente del consiglio. Si sogna però la politica di recuperare pienamente la propria autonomia e dignità se non ricostruisce l’equilibrio democratico sottoponendo a una disciplina più rigorosa le intercettazioni, e soprattutto i tempi e modi della loro diffusione pubblica.

(da La Stampa - 22 marzo 2015)

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