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27 gennaio 2015 - Giorno della memoria

 

a cura di Paolo Razzuoli

 

  Come è noto, il 27 gennaio si celebra il “Giorno della Memoria”, istituito, in Italia, con la legge 211 del 20 luglio 2000.

La Repubblica italiana, infatti, riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", per ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati (art.1).

   Anche quest'anno, in occasione del "Giorno della Memoria" sono organizzati - in ogni parte d'Italia - cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere (art.2) .     

    Ai lettori di Fucinaidee propongo una breve ma interessante sintesi della storia della Shoah, scritta da Michele Sarfatti, Direttore Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC.  

 

Sintesi della storia della Shoah

 

     Shoah è una parola ebraica, che significa catastrofe, disastro, distruzione.La Shoah che colpì gli ebrei, in Europa, a metà del secolo scorso, tra gli anni Trenta e Quaranta, è divenuta in ebraico la Catastrofe con la C maiuscola, la catastrofe per eccellenza. Il vocabolo quindi ha assunto il significato di denominazione di un’intera vicenda storica, similmente a ciò che è avvenuto in lingua italiana ai termini Risorgimento o Resistenza.

  Il vocabolo Shoah oggi identifica innanzitutto lo sterminio sistematico degli ebrei, attuato dal 1941 al 1945; ma esso viene talora utilizzato anche per la fase persecutoria precedente, quella che dal 1933 introdusse la negazione dei diritti giuridici e sociali degli ebrei.Comprendere la Shoah vuol dire conoscerla. E la conoscenza storica è basata sulla ricostruzione dei fatti e sulla comparazione con vicende aventi qualche affinità. Questo lavoro di raffronto ha portato molti studiosi a parlare di unicità della Shoah, con riferimento specifico al suo nucleo centrale: lo sterminio sistematico.   Non era, ad esempio, ancora accaduto che si arrestasse ogni singolo ebreo dell’isola di Rodi per trasferirlo in un luogo di uccisione centralizzato (Auschwitz), dopo un trasferimento forzato (deportazione) di centinaia di miglia marittime e terrestri. Questa operazione richiese una particolare mistura di odio, indifferenza, esaltazione, banalizzazione, tecnologia, burocrazia, ideologia, capacità manageriali, disponibilità di risorse proprie, brama delle risorse ebraiche, attribuzione di valore alle persone (il lungo trasporto) peraltro radicalmente negato (lo sterminio all’arrivo), che lascia quasi stupiti prima ancora che esterrefatti e feriti nel profondo. Niente del genere era stato ancora concepito dall’uomo.Neanche le intermittenti vicende antiebraiche dei secoli precedenti, talora violentissime, reggono il confronto con quella che oggi ricordiamo. Qualcuno mette a paragone il lager nazista e il gulag sovietico. Ma appunto quel paragone evidenzia che nei gulag non erano previste camere a gas, non era previsto l’arrivo e lo sterminio di bambini di due mesi o di vecchi che a malapena riuscivano a porre un piede dopo l’altro. La definizione di unicità della Shoah è quindi figlia della comparazione storica e non un ostacolo precostituito che si frappone alla comparazione.

   La Shoah ebbe caratteristiche differenti da Paese a Paese, da regione a regione. Quando ad esempio l’esercito tedesco di occupazione della Serbia dichiarava, nel giugno 1942, che in quel territorio non vi era più un ebreo vivo, nella vicina Salonicco lo stesso occupante tedesco aveva appena iniziato la lunga trafila persecutoria che solo l’anno seguente si sarebbe conclusa con la deportazione. La Shoah fu quindi un evento unitario con uno sviluppo articolato.

   Questa moderna persecuzione europea degli ebrei europei era iniziata nel 1933, in Germania, con l’ascesa al governo del nazismo. Berlino avviò immediatamente una nuovissima legislazione antiebraica, rafforzandola nel 1935 con le “leggi di Norimberga”. Nel 1938-1939 nuove legislazioni antiebraiche furono introdotte da Romania, Ungheria, Italia, Slovacchia e nell’Austria annessa. Quando nel settembre 1939 iniziò la seconda guerra mondiale, l’antisemitismo di Stato era ormai divenuto una delle caratteristiche del continente (non la caratteristica di tutto il continente, ovviamente).

Il Terzo Reich fu il primo Stato a stabilire che gli ebrei erano una “razza”, con caratteristiche biologiche specifiche, diverse da quelle degli europei cristiani. Si trattava di un’assurdità colossale. Essa stessa costituì già una prima Catastrofe, anche per la coscienza europea.

L’Italia si aggiunse nel 1938. Nella penisola, alle persone classificate e marchiate “appartenenti alla razza ebraica” fu vietato di essere impiegati dello Stato, di studiare con i giovani “ariani”, di allevare piccioni viaggiatori, di essere saltimbanco, di scrivere sui giornali, di detenere apparecchi radio, di far parte di società di canottaggio, di possedere proprietà oltre certi limiti, di essere veterinario, pompiere, autista di tram, dirigente ministeriale, scaricatore di porto ecc. Si trattò di un insieme di norme che gli storici denominano “persecuzione dei diritti”. Al dunque, essa costituì una fondamentale premessa tecnica della “persecuzione delle vite”, sviluppatasi cinque anni dopo e caratterizzata appunto dalla deportazione e dallo sterminio.

  A partire dal 1933 gli ebrei tedeschi furono progressivamente separati dai non ebrei tedeschi, privati di innumerevoli diritti, allontanati dal Paese. Quando irruppe la guerra e divenne impossibile il raggiungimento dell’obiettivo governativo dell’emigrazione/espulsione, e soprattutto quando l’avanzata tedesca a nord e a est aumentò a dismisura il numero degli israeliti sotto il controllo di Berlino, Adolf Hitler e i suoi collaboratori maturarono il progetto dello sterminio generalizzato. Si ebbe così il passaggio progressivo dall’eliminazione degli ebrei dall’Europa all’eliminazione degli ebrei dell’Europa; ove la piccola modifica di una vocale segna un salto di qualità, una svolta enorme, pur all’interno di una complessa continuità.

 

  In Italia, la prima fase della persecuzione – dal 1938 al 1943 – fu voluta fortemente da Benito Mussolini, fu approvata dal re, fu messa in atto innanzitutto dal Ministero dell’interno, attraverso la neocostituita Direzione generale per la demografia e la razza e la Direzione generale della pubblica sicurezza. Va tenuto presente che all’epoca Mussolini era anche ministro dell’interno, oltre che di altri dicasteri. Molto attivi furono poi il Ministero dell’educazione nazionale e quello della cultura popolare. Ma possiamo dire che ognuno fece con diligenza la propria parte.

  La grande maggioranza degli intellettuali del fascismo approvò. Molti giovani, educati dalla scuola fascista, sostennero con entusiasmo.La novità della distinzione tra “razza ariana” e “razza ebraica”, e la novità della differenziazione tra cittadino italiano e cittadino italiano, interruppero violentemente il processo unitario iniziato col Risorgimento. Tra le tante espulsioni dalle attività lavorative o istituzioni, quella degli ufficiali superiori, dei graduati e dei coscritti di leva fu particolarmente grave: a quei tempi si era educati a servire la patria anche e soprattutto con le armi. Ci furono ufficiali che si suicidarono. Così come ci furono ebrei stranieri che si suicidarono; poiché la persecuzione in Italia, come altrove in Europa, colpì innanzitutto gli ebrei stranieri. Mentre ciascun ebreo nazionale diveniva straniero nella propria patria, chi lo era già – spesso profugo, in fuga da altri governi antisemiti – si trovò doppiamente fragile, ancor più isolato.

La svolta verso lo sterminio fu ideata da Hitler e dal Terzo Reich. Nei primi due anni di guerra, gli ebrei della Polonia invasa furono progressivamente ristretti nei ghetti. Strappati alla loro vita usuale e soprattutto alle loro normali attività lavorative, centinaia di migliaia di reclusi vennero trasformati in “problema” dalle autorità naziste. E nei ghetti si moriva frequentemente per fame.

  Quando, nel giugno 1941, le forze dell’Asse ripresero l’avanzata verso est, reparti tedeschi attuarono eccidi progressivamente più vasti. Il 29-30 settembre 1941, a Babi Jar, uccisero oltre 30.000 ebrei di Kiev. Oltre 30.000 in un giorno e mezzo!

  E’ in quelle settimane che a Berlino si decise di procedere allo sterminio programmato e definitivo. Gli storici stanno dibattendo vari aspetti del processo decisionale e della sua cronologia. Alcuni passaggi sono tuttora poco chiari. Ma non vi è dubbio che la decisione venne adottata, in piena consapevolezza. Gli altri governi reazionari non ruppero il patto di alleanza e, in tempi e in modi sempre diversi, la cogestirono o ne facilitarono l’attuazione.

Gli sterminatori dovettero risolvere un problema di ordine orribilmente tecnico. Quello della duplice creazione di strutture capaci di dare la morte di massa celermente e di strutture capaci di eliminare masse di cadaveri celermente. Tutto ciò fu risolto con l’ideazione delle camere a gas e dei forni crematori annessi. La tecnologia al servizio dell’assassinio!Mentre nella fascia più orientale d’Europa proseguivano le fucilazioni di massa, in alcune località della Polonia occupata i nazisti allestirono i centri di sterminio. Tra essi, quello di Auschwitz-Birkenau (il campo fu liberato dall’esercito sovietico il 27 gennaio 1945, ed è questo evento che è stato simbolicamente scelto per il “Giorno della memoria”).

  Ad Auschwitz furono destinati anche quasi tutti gli ebrei deportati dall’Italia. In complesso, vi vennero uccisi quasi un milione di ebrei, rendendolo pertanto il più grande cimitero ebraico (e umano in genere) della storia.

Secondo uno degli ultimi studi, circa 438.000 ebrei uccisi ad Auschwitz-Birkenau venivano dall’Ungheria, 300.000 dalla Polonia, 69.000 dalla Francia, 60.000 dall’Olanda, 55.00 dalla Grecia, 46.000 da Boemia e Moravia, 27.000 dalla Slovacchia, 25.000 dal Belgio, 23.000 dalla Germania, 10.000 dalla Croazia, 6.000 dall’Italia, 6.000 dalla Bielorussia, 1.600 dall’Austria, 700 dalla Norvegia. Fu l’Europa unita nelle camere a gas. Per questo è giusto ricordare Auschwitz quando parliamo dell’Europa positiva che stiamo costruendo oggi.E ciascuno di questi numeri è composto da tante identità umane: nomi, cognomi, età, idee, sentimenti, speranze, giochi, letture ...

 

   Il complicato calcolo delle vittime della Shoah porta all’imponente cifra di sei milioni, corrispondente a due terzi dell’ebraismo europeo negli anni Trenta.

 La persecuzione delle vite degli ebrei italiani iniziò con gli avvenimenti dell’8 settembre 1943. L’Italia si trovò rapidamente divisa in due parti, separate dalla linea mobile del fronte. Agli inizi di ottobre 1943, la zona controllata dagli Alleati e dal Regno d’Italia comprendeva sostanzialmente le regioni meridionali e insulari. In esse nazisti e fascisti non ebbero modo di introdurre nuove misure antiebraiche. Da un documento tedesco, intercettato e decrittato dagli Alleati, risulta che il primo rastrellamento di ebrei nella penisola era programmato a Napoli, ma che la polizia tedesca aveva dovuto rinunziarvi a causa della “situazione” della città. Quindi le “giornate di Napoli”, ricordate come parte della storia della liberazione nazionale, furono anche parte importantissima della storia della Shoah. Nelle estreme regioni italiane nordorientali (ora controllate direttamente da Berlino con il nome di Prealpi e di Litorale adriatico) la persecuzione delle vite degli ebrei italiani fu sempre gestita solo dall’occupante tedesco; nel restante territorio centrosettentrionale essa fu gestita inizialmente dalle autorità naziste e poi anche da quelle fasciste. La principale azione antiebraica fu attuata dalla polizia germanica sabato 16 ottobre 1943 a Roma: si trattò del rastrellamento più grave dell’intero periodo. La Repubblica Sociale Italiana si impegnò nella persecuzione antisemita in particolare con l’ordine del 30 novembre 1943 del ministro dell’interno, che dispose l’arresto e l’internamento di “tutti gli ebrei, a qualunque nazionalità appartengano” e il loro internamento “in campi di concentramento provinciali in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati”, oltreché il prelievo dei loro beni. Dal 1° dicembre i capi delle province cominciarono ad allestire i campi di internamento provinciali (talora adibendo allo scopo carceri o edifici delle comunità ebraiche) e i questori iniziarono a effettuare gli arresti.In un primo tempo la polizia tedesca deportò subito gli ebrei arrestati. Ben presto la RSI allestì un campo nazionale di raccolta e transito, inizialmente a Fossoli (comune di Carpi, nel modenese) e poi a Gries (comune di Bolzano). Il meccanismo della persecuzione funzionava nel seguente modo: dai campi provinciali le autorità provinciali italiane facevano affluire gli arrestati a Fossoli, da lì periodicamente la polizia tedesca organizzava convogli verso Auschwitz; quando il campo era vuoto, le autorità italiane vi facevano affluire altri ebrei nel frattempo arrestati, quando era nuovamente pieno, quelle tedesche allestivano un nuovo convoglio di deportazione. Nell’area di Trieste il concentramento era attuato dalla polizia tedesca nella Risiera di San Sabba. Degli ebrei arrestati nella penisola, oltre 300 vennero uccisi in Italia e circa 7.500 vennero deportati. Di questi ultimi, i sopravvissuti furono poco più di 800 (in gran parte ebrei originari della Libia con passaporto inglese). Circa 500 perseguitati riuscirono a passare la linea del fronte e a raggiungere le regioni liberate; circa 6.000 riuscirono a rifugiarsi in Svizzera. Circa un migliaio partecipò alla lotta partigiana. Le altre circa 27.000 persone classificate “di razza ebraica” vissero in clandestinità fino alla Liberazione, protette da italiani non ebrei. In termini schematici e imprecisi ma sostanzialmente appropriati, è possibile affermare che dietro ad ogni ebreo salvato in Italia vi fu almeno un italiano non ebreo che lo aiutò, e che dietro a ogni ebreo deportato dall’Italia vi fu almeno un italiano non ebreo che lo arrestò o chiuse gli occhi. Non è quindi lecita alcuna generalizzazione.

   Tutto questo fu la Shoah in Italia e in Europa, in estrema sintesi.

 

Michele Sarfatti, Direttore Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC

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