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Il duello delle due sinistre

di federico geremicca

Non aveva sbagliato, Matteo Renzi, quando si era detto certo del fatto che «la manifestazione della Cgil è contro di me». Ma forse nemmeno il premier avrebbe potuto immaginare quanto - e con che intensità - la giornata di protesta voluta da Susanna Camusso avrebbe appunto assunto questo profilo - questo carattere, diciamo - così personale. Ai leader della minoranza Pd che ieri hanno sfilato in corteo a Roma, è infatti toccato ascoltare slogan di una durezza forse inaspettata: «Un sogno nel cuore, Renzi a San Vittore».

Immaginabile l’imbarazzo, considerato che il premier è pur sempre il segretario del partito in cui continuano a militare...

La giornata di lotta contro le politiche del lavoro messe in campo dall’esecutivo è stata un successo (e non era scontato): un milione di persone - giunte per di più da ogni angolo d’Italia - non si muovono da casa per obiettivi sbagliati o poco sentiti. Ma il quinto raduno della Leopolda - per le presenze, i temi trattati e la vivacità del confronto - non è stato da meno. E questo, in tutta evidenza, costituisce un problema.

Il doppio successo, infatti, non facilita lo scioglimento del grumo polemico che ormai avvelena il Partito democratico: né i renziani né gli antirenziani - lo diciamo così per semplificare - appaiono in crisi di credibilità o a corto di argomenti. Il che, a prima vista, potrebbe sembrare un paradosso, ma invece non lo è: in maniera sempre più evidente, infatti, i primi ed i secondi parlano ormai a pezzi di società, a «pubblici», si potrebbe dire, del tutto diversi. Anzi: così diversi che è sempre più difficile immaginarne la coesistenza (e la rappresentanza) sotto una stessa insegna.

Questa diversità, questa distanza, ha avuto ieri - come sempre accade quando ci sono manifestazioni pubbliche - una rappresentazione addirittura plastica: in corteo a Roma con la Cgil, Cuperlo, Epifani, Bindi, Fassina, Cofferati e molti parlamentari Pd; alla tribuna o ai «tavoli tematici» della Leopolda, invece, imprenditori come Cucinelli, Bertelli e Farinetti, finanzieri come Davide Serra, e sei ministri del governo in carica. E per dirla ancor più chiaramente: mentre da piazza San Giovanni si preannunciava un possibile sciopero generale, dal «garage italiano» della Leopolda, si chiedeva la limitazione del diritto a scioperare (almeno nel settore pubblico...).

In che modo - e sulla base di quali compromessi - questa distanza, questa diversità, possano trovare un punto di sintesi è sempre più difficile da immaginare. Che una mediazione possa esser raggiunta affrontando il cosiddetto «merito delle questioni», sembra esser smentito - o quanto meno reso assai arduo - dalla cronaca recente, che ha visto «i due Pd» scontrarsi vivacemente proprio sul terreno delle cose da fare (dalla riforma del Senato fino al più recente Jobs Act, lo scontro è stato continuo). Né pare più semplice siglare una tregua alla vecchia (e spesso oscura) maniera: qualche poltrona in cambio della fine delle ostilità...

E’ per questo che l’ipotesi di una separazione rimane in campo, e sarebbe sbagliato metterla frettolosamente da un canto come una pura «fantasia». C’è chi sostiene, anzi, che l’eventualità acquisterebbe rapidamente maggior concretezza se il campo degli oppositori di Renzi avesse (trovasse) un leader capace di unire il fronte e competere (anche sul piano mediatico: paradosso dei paradossi...) con la forza d’impatto del premier-segretario. In presenza della perdurante indisponibilità di Maurizio Landini a cambiare mestiere, il problema - però - resta irrisolto: con il carico di confusione e incertezza che ciò comporta.

Confusione, incertezza e un muro contro muro di fronte al quale anche i comportamenti personali - in questo o in quell’altro fronte - si fanno oscillanti, difficili. Tra la piazza e la Leopolda, qualcuno (D’Alema e Veltroni, per dire) ha preferito restare a casa e qualcun altro (come i governatori Chiamparino e Rossi) ha deciso di rifugiarsi in questo o quel convegno. Scelte in fondo comprensibili considerato che da domani, voltata pagina, tutto tornerà come prima. Le manifestazioni e i convegni, è vero, non creano lavoro: e spesso, purtroppo, non risolvono nemmeno i problemi...

(dal La Stampa - 26 ottobre 2014)

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