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Commento introduttivo

Credo di non dire una sciocchezza affermando che Matteo Renzi è un "ragazzo" fortunato.
Sicuramente lo e' sul versante interno. Si e' trovato al posto giusto al momento giusto. Ha fatto una carriera politica fulminea, bruciando le tappe come mai era sinora riuscito a nessuno nella nostra storia repubblicana.
Anche sul versante esterno, se pur nel difficilissimo scenario in cui viviamo, la "dea bendata" lo assiste, sicuramente piu' di quanto abbia assistito altri.
Mi riferisco alle misure di politica monetaria messe concretamente in campo da Mario Draghi che sono il massimo che ci si potesse aspettare: anzi, vanno al di là delle aspettative della gran parte degli economisti.
Tramite opzioni convenzionali e non convenzionali - cioè ordinarie e straordinarie - e anche dividendosi al proprio interno, la Banca centrale europea ha ridotto al minimo possibile i tassi d’interesse; si prepara a comprare debiti degli operatori economici (raccolti in pacchetti) per liberarne i bilanci e spingerli a chiedere credito; fornirà denaro alle banche a costi che più bassi non potranno mai essere in modo che li prestino a imprese e famiglie. È lo stimolo monetario più poderoso che i Paesi dell’Eurozona abbiano mai avuto: quel Quantitative Easing (allentamento monetario) teso a spingere la crescita, a creare inflazione e a indebolire il cambio dell’euro.

Draghi ha dato il massimo che poteva dare: non sara' quindi possibile chiedergli altro, salvo un difficile e altamente improbabile, programma di acquisto di titoli di Stato.

La palla e' ora interamente nelle mani dei governi. Mario Draghi e' stato chiarissimo nell'esprimere il suo pensiero: senza le necessarie riforme nessuna manovra monetaria potra' rimettere in marcia la macchina arenata dell'economia europea.
Un messaggio sicuramente rivolto in particolare al nostro Paese. E' quindi sul versante delle riforme, in particolare del fisco, del mercato del lavoro, della burocrazia, che si giochera' la nostra vera partita della ripresa: nessuno puo' dire ora se questa partita sara' vinta o persa.

Naturalmente tutti ci auguriamo che possa essere vinta, ma per questo occorre creare le necessarie condizioni.
Mentre auguro che l'azione di governo possa andare in questa direzione, con tutta sincerita' mi sento di esprimere piu' di un dubbio sul buon esito di una strategia fatta di tante buone intenzioni, che purtroppo non sembrano essere sostenute dagli indispensabili presupposti politici.

Sul significato delle scelte della Bce, propongo ai lettori di Fucinaidee una riflessione di Donato Masciandaro, uno degli esperti italiani piu' acuti.

Paolo Razzuoli

L'ossigeno non basterà senza riforme

di Donato Masciandaro

La Banca centrale europea (Bce) ha dato ulteriore ossigeno all'Unione: una ulteriore espansione monetaria, che però potrà dare risultati solo se i governi nazionali - a partire da quello italiano - non metteranno in campo gli unici due bazooka che possono davvero funzionare: da un lato politiche fiscali disciplinate ma orientate alla crescita; dall'altro politiche strutturali che rendano tutti i mercati più competitivi ed integrati, a partire da quello del lavoro.

La Bce, di fronte al peggiorare delle prospettive congiunturali, ha annunziato una ulteriore espansione monetaria, mettendo in campo uno strumento tradizionale - l'abbassamento di fatto a zero dei tassi di interesse sui prestiti alle banche - ed uno non tradizionale - l'acquisto di titoli privati cartolarizzati. Una scelta che si pone di fatto in mezzo al guado rispetto ai due diversi orientamenti che si possono individuare sulla strategia ottima che la nostra banca centrale dovrebbe adottare: l'orientamento attendista e quello interventista.

L'orientamento attendista è convinto che ogni intervento di politica monetaria sia oramai inefficace, anzi l'attivismo della banca sarebbe addirittura controproducente. Gli attendisti si basano sull'idea che l'economia europea sia in una situazione di perfetta trappola della liquidità. Per uscire dalla trappola della liquidità ci sono due strade. Da un lato, ci sono le politiche strutturali che aumentano la competitività e l'integrazione in tutti i mercati di beni, servizi e fattori produttivi, inclusi i mercati del lavoro. Le politiche strutturali irrobustiscono l'offerta aggregata, ed hanno effetti benefici sulla produttività, quindi sulla crescita, ed in più creano la disinflazione "buona", cioè le cadute dei prezzi che nascono dalla maggiore concorrenza e vanno a favore dei consumatori.
Dall'altro lato ci sono le politiche fiscali che possono aumentare la domanda aggregata, a patto che non peggiorino i conti pubblici di un Paese, creando così un effetto moltiplicativo sulla crescita economica. Quindi la ripresa economica è esclusivamente nelle mani dei governi nazionali e di Bruxelles.
In questa visione la Bce non può far nulla. Essendo la trappola della liquidità perfetta, ogni intervento della banca centrale, tradizionale e non, è inutile. Il sistema economico - a partire da quello bancario - è come una spugna: data l'avversione al rischio, assorbe tutta l'offerta di liquidità. I tassi si schiacciano a zero, ma senza effetti né sulla crescita né sui prezzi al consumo. Non solo: le politiche non convenzionali, attraverso i massicci acquisti di titoli pubblici e privati, aumentano la propensione al rischio sia degli Stati che dei privati. Il risultato finale? Maggiore indisciplina fiscale e finanziaria, che inibisce ulteriormente le capacità di crescita. Le decisioni di ieri della Bce hanno sicuramente indispettito gli attendisti.

L'orientamento interventista è all'opposto, convinto che la politica monetaria possa essere ancora efficace, soprattutto attraverso gli interventi non convenzionali, mentre è l'attendismo della banca che è la vera tossina. Gli interventisti si basano sul presupposto che la banca centrale possa eludere la trappola della liquidità, attraverso operazioni di mercato aperto in titoli pubblici e privati. Le operazioni di mercato aperto, a differenza di quelle bilaterali con le banche commerciali, aumentano le possibilità che la liquidità primaria creata dalla Bce cresca. La crescita della liquidità primaria può avere ha effetti moltiplicativi sugli aggregati monetari e creditizi. Di riflesso anche le aspettative inflazionistiche si possono nutrire di segnali inequivocabili di crescita della liquidità. Non basta: le operazioni di mercato aperto aumentano le possibilità di indebitamento sia degli Stati che dei privati. La politica monetaria ha effetti fiscali e finanziari positivi, quindi effetti espansivi sulla crescita economica e sui prezzi, scongiurando il rischio deflazione.
Se cosi è, le decisioni di ieri della Bce hanno sicuramente contrariato anche gli interventisti: la politica monetaria continua ad essere troppo timida, non usando il bazooka delle operazioni di mercato aperto.

Perché Draghi è rimasto nel mezzo, annunziando decisioni prese - guarda caso - non all'unanimità? La ragione è in una visione dell'economia europea che si colloca a metà tra gli opposti: la nostra Unione può uscire dalla trappola della liquidità, e la banca centrale può dare un contributo, ma solo se le altre politiche economiche faranno la loro parte, e non per un tempo indefinito. L'ulteriore espansione monetaria può contribuire a sbloccare il meccanismo della moneta e del credito, rassicurare le aspettative, rafforzare i mercati finanziari, contribuire ad una stabilizzazione del tasso di cambio. Ma da sola la politica monetaria non va lontana.
Draghi non poteva essere più chiaro: tanto più le necessarie politiche fiscali e strutturali tarderanno, tanto minore sarà l'efficacia della politica monetaria, a partire dalla capacità di rispettare lo stesso mandato di tutelare la stabilità dell'euro. Una affermazione così decisa dovrebbe far riflettere tutti.

l'Unione è come una macchina impantanata; ha almeno quattro ruote motrici - moneta, fisco, concorrenza e lavoro - ma solo una sta girando. In simili situazioni, la macchina rischia di affondare. Anche in meno di mille giorni.

(dal Sole 24 Ore - 5 agosto 2014)

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