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Commento introduttivo

Ieri (12 aprile) ero in San Francesco a Lucca per ascoltare Matteo Renzi, intervenuto in occasione del Festival del Volontariato, importante iniziativa che si inserisce nella tradizione che fa di Lucca una vera "capitale del volontariato".

Per gli aspetti di cronaca dell'evento Cliccare qui.
A me premono invece alcune sottolineature di indole politica.

In San Francesco - ad accogliere ed ascoltare Renzi - c'erano ovviamente molti rappresentanti politici e del mondo del volontariato, a cui l'iniziativa primariamente si rivolgeva. C'era pero' anche un folto pubblico di cittadini, formato da persone che normalmente non si incontrano alle manifestazioni politiche.
Non credo che, riduttivamente, possa essere considerato un mero frutto di curiosita'. Credo al contrario che sia un segnale di quanto Renzi riesca a suscitare attese e speranze, in un contesto sociale ormai stufo della vecchia politica, ma desideroso di rialzare la testa, consapevole che l'Italia e' un meraviglioso Paese ricco di potenzialita', purche' riesca a liberarsi del perverso groviglio di "vizzi pubblici" che lo sta soffocando.

MI pare evidente che Renzi e' percepito ormai come una sorta di "ultima spiaggia", posto che sono cadute tutte le illusioni di cambiamento proposte nell'ultimo ventennio.
Nel 1994 gli elettori premiarono Berlusconi, proprio perche' si poneva in alternativa alla vecchia politica. Berlusconi non era certo nuovo nel mondo economico, ma lo era rispetto all'impegno politico diretto, nel quale mai si era affacciato.
Poi c'e' stato l'ingresso in politica di Grillo: personaggio a meta' fra il pittoresco ed il tribuno populista, comunque anch'esso in una posizione di totale frattura con il mondo della politica.

Ora Renzi, certo proveniente da una esperienza politica nel partito piu' strutturato del panorama politico italiano, ma anch'esso portatore di una proposta fortemente "rottamante" rispetto ai metodi ed ai rappresentanti della politica.
Un profilo, quello di Renzi, che proprio in quanto sostenuto da una seria e qualificata esperienza politico-amministrativa, ha tutte le migliori credenziali per dare uno sbocco vero alle richieste di cambiamento del Paese, necessarie per creare le condizioni per riprendere un cammino di crescita e per dare speranza soprattutto alle nuove generazioni.

In questi giorni abbiamo sentito da Renzi affermazioni estremamente impegnative: A Milano ha parlato di "lotta violenta alla burocrazia". Ieri a Torino ha ribadito il suo impegno per le riforme, e a Lucca ha ipotizzato di rendere accessibili a tutti la conoscenza di ogni centesimo speso dalla Pubblica Amministrazione, dai partiti e dai sindacati.

Mentre Renzi a Torino e a Lucca diceva queste cose, a Roma altri si riunivano per tentare di riorganizzare le fila per contrastarlo.
Un paio di giorni fa, sempre nell'ambito del festival del volontariato a Lucca, e' stato presentato il bel libro di Alan Friedmann dal titolo "Ammazziamo il gattopardo".
L'autore, fra l'altro, ha sottolineato come i "gattopardi" siano duri a morire. Ebbene, ieri se ne e' avuta una eloquente conferma.

Renzi si e' caricato di una terribile e pesantissima responsabilita' rispetto al Paese ed al suo immediato futuro. Sicuramente ha con se' la grande maggioranza degli italiani, prescindendo dal suo partito di provenienza dal quale, primariamente, dovra' coprirsi le spalle.

Sul controcanto a Renzi messo in scena ieri pomeriggio a Roma, propongo ai lettori di Fucinaidee questa ottima analisi di Federico Geremicca.

Paolo Razzuoli

Il ritorno della doppia sinistra

di Federico Geremicca

A Torino, Renzi, ad aprire la campagna elettorale europea con le sue cinque capolista; a Roma, gli ultimi due segretari, Bersani ed Epifani (più D’Alema e altri dirigenti di prima fila) che riaprono le ostilità nei confronti del premier-segretario. Facile parlare dell’esistenza di «due Pd»: e non c’è nulla di scandaloso, in democrazia, che una maggioranza debba fare i conti con una minoranza che si oppone. Più sorprendenti, invece - e per certi versi preoccupanti - tempi e contenuti del riesplodere della polemica.

  

Il nuovo scontro, che naturalmente ha motivazioni «ufficiose» assai concrete - e che riguardano il potere che Matteo Renzi sta via via accumulando fuori e dentro il Pd - ieri si è ufficialmente giocato sulla dicotomia destra/sinistra, categorie politiche che vanno perdendo - e ce ne si può perfino rammaricare - senso e importanza per un numero crescente di cittadini. «Le norme sbagliate della destra non diventano giuste se a proporle siamo noi», ha accusato da Roma Cuperlo; «La sinistra che non cambia, diventa destra», ha replicato Renzi da Torino.

  

E a metterla così, è chiaro che si tratta di una discussione che difficilmente farà fare un solo passo avanti tanto al Pd quanto al Paese: che di rimettersi in moto, invece, ha un disperato bisogno.

 

Ma tale discussione, per quanto ammantata da richiami ideologici, in realtà conferma il perdurare (e anzi il crescere) di un vero e proprio rigetto del fenomeno-Renzi da parte dei settori più tradizionali - appunto - della sinistra italiana. Infatti, non sono stati solo i suoi amici di partito, ieri, a mettere nel mirino il presidente del Consiglio, sul cui capo è caduto di tutto: dalle ironie di Susanna Camusso («Ci sono giovani che rappresentano abbastanza poco, anche se sono in posti chiave») alla definitiva scomunica comminata da Stefano Rodotà: «Il nostro sistema politico è segnato da tre populismi diversi tra loro: quello di Berlusconi, quello di Grillo e il nuovo populismo di Renzi».

  

Il segretario-premier, insomma, sembra esser considerato sempre più un «corpo estraneo» rispetto alle tradizioni (recenti) del Pd, e più ancora a quelle dei partiti che lo hanno incubato: il suo modo di fare, una evidente insofferenza al confronto ed una sorta di indifferenza rispetto a quanto è stato fino ad oggi solitamente considerato «di sinistra» (e, al contrario, «di destra») non vanno giù, e questo è comprensibile. Ciò che appare meno condivisibile, però, è la contestazione di concreti elementi di verità, la cui sottovalutazione si fatica a intendere, se non alla luce - appunto - della forte polemica politica in corso.

  

In questo senso si può citare l’intervento svolto ieri da Massimo D’Alema - solitamente freddo nell’analisi - tornato a parlare di cose italiane all’assemblea della minoranza democratica. «Il Pd - ha spiegato - vive un processo di impoverimento che può prendere una piega drammatica. Questo partito non lo possiamo lasciar morire, lo dobbiamo far funzionare noi, dobbiamo aprire i circoli e fare il tesseramento...». Si tratta di una fotografia catastrofica dello stato di salute del Pd, accompagnata da un richiamo all’antico, alla tradizione. Ma è una fotografia che non corrisponde alla realtà delle cose, se è vero che ogni sondaggio - in vista delle europee - attribuisce al Partito di D’Alema percentuali superiori a ogni più recente tornata elettorale, e vicine ai consensi-record raccolti da Veltroni nelle elezioni politiche del 2008.

  

Il punto, dunque, sarebbe forse interrogarsi sul come e sul perché è stato ed è possibile che un «giovane populista» (per mettere assieme le accuse di Epifani e Rodotà) abbia nel giro di due mesi - dicembre 2013, febbraio 2014 - conquistato il più importante partito italiano, prima, e addirittura la guida del governo, poi. C’è qualcuno che ha sbagliato qualcosa? C’è qualcun altro che non ha inteso l’altissimo livello di insofferenza diffuso tra i cittadini-elettori del Paese?

  

La riflessione della minoranza Pd dovrebbe dunque partire da qui, piuttosto che adagiarsi su schemi di comodo. E dovrebbe esser avviata - per il Bene Superiore del Partito, che pure viene così invocato - forse non giusto a ridosso di una importante (forse decisiva) sfida elettorale come quella di maggio. A meno che, naturalmente, non si intenda con tali polemiche segnalare a iscritti e simpatizzanti che nulla è cambiato, e che il Pd è pronto - appena ne avrà l’occasione - a divorare il suo quinto segretario in sei anni. Faccenda con la quale, lo si riconoscerà, la dicotomia destra/sinistra non c’entra un bel niente...

 

(da La Stampa - 13 aprile 2014)

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