logo Fucinaidee

La politica dell’azzardo in quattro atti

di Mario Deaglio

Con il suo programma di governo, la sua recente conferenza stampa e i suoi interventi televisivi, il presidente del Consiglio ha reintrodotto, dopo molti anni, nella politica - e in particolare nella politica economica italiana - la dimensione dell’azzardo, della scommessa che si fa senza conoscere bene le probabilità di vittoria.

  

Il che è proprio il contrario dell’impostazione tradizionale, consistente nel non fare un passo senza aver minuziosamente soppesato tutte le possibilità e le alternative. Salvo poi, come è successo più di una volta al Pd, di sbagliare, per troppo calcolo, i rigori a porta vuota, secondo l’espressione dello stesso presidente del Consiglio.

 

Le scommesse di Renzi, delle quali bisogna oggi prendere atto, senza che questo implichi uno schierarsi ma piuttosto un tentativo di capire, sono sostanzialmente quattro.

  

La prima è di riuscire a cambiare subito qualcosa di importante nel processo di decisione politico-amministrativa del Paese: approvare una legge elettorale in poche settimane, mettere a punto progetti legislativi importanti in pochi giorni, rendere operative decisioni sempre rinviate nei fatti, come quella della vendita delle auto blu, passare da un eterno dire a un rapidissimo fare.

 

Così Renzi si scontra con la burocrazia centrale dello Stato, che ha oggettivamente – e spesso con obiezioni sensate – esercitato una funzione di rallentamento, gelando le premesse delle azioni di cambiamento.

 

Si scontra anche con procedure parlamentari ossificate che contemplano l’eterno rimpallo dei disegni di legge tra commissioni e Camere, sovente snaturati dall’inserimento di piccole modifiche di interesse particolare, secondo una norma non scritta per cui deve fare il possibile per dare almeno un «contentino» a tutti. Si scontra infine con procedimenti consolidati di contrattazione sociale, per cui gran parte del mondo sindacale e una parte importante del mondo imprenditoriale anela solo ad avere un «tavolo» su cui discutere e contrattare, se possibile in maniera permanente.

  

Si tratta di una scommessa molto ardita perché prevede il rovesciamento del gattopardismo che ha governato a lungo la politica e l’economia italiana, secondo il quale bisogna cambiare (superficialmente) tutto perché tutto resti (sostanzialmente) com’è. Sembra di capire che, per Renzi, invece tutto possa restare superficialmente com’è (i patti con l’Europa devono essere rispettati, le procedure parlamentari seguite) a condizione che tutto nella sostanza subisca un radicale rinnovamento.

 

La seconda scommessa, senza la quale l’introduzione delle novità procedurali sarebbe di poco conto, è di riuscire a cambiare i comportamenti economici degli italiani. Quando non possono promettere nuove spese, i politici devono esser capaci di suscitare nuovi modi di agire. Il programma del governo ha un senso se gli italiani che ne hanno le possibilità superano la paura di spendere, e recuperano una parte dei consumi non fatti negli ultimi anni; se le imprese italiane scacciano la paura di investire e le banche italiane la paura di finanziare quegli investimenti. Il tutto darebbe una sostanziale copertura economica ai programmi di riduzione delle imposte, mentre la copertura puramente contabile oggi potrebbe essere carente.

  

La terza scommessa, che si è venuta delineando solo negli ultimi giorni è quella di modificare, oltre ai comportamenti degli italiani anche gli atteggiamenti delle istituzioni europee, a lungo ingessate in un disperante burocratismo. Non è chiaro in che direzione Renzi voglia spingere l’Europa, ma di certo ha mostrato di volerla allontanare da un atteggiamento puramente ragionieristico per cui a un Paese delle dimensioni dell’Italia, con un movimento di cassa dell’amministrazione pubblica di 700-800 miliardi di euro si contestano sforamenti minimi, pari a 2-3 miliardi. Con la Francia, la Commissione europea non si è comportata e non si comporta così.

 

La quarta scommessa di Renzi è quella su se stesso. E’ difficile dire se la sua promessa di ritirarsi in caso di non realizzazione degli obiettivi sia solo un artificio retorico ma è sicuramente legittimo prenderla per buona. Anche in questo caso si è di fronte a una rottura di comportamenti garantisti per i quali il ritiro dalla politica non è contemplato, la condizione di «uomo politico» viene considerata irreversibile, separata dalla normale realtà del Paese.

  

Non è affatto detto che Renzi abbia successo. Il primo Berlusconi fece anche lui le sue scommesse, sperò che le piccole imprese e i lavoratori autonomi, sgravati con i condoni da una parte del peso del fisco, avrebbero proiettato il Paese in un esaltante futuro di crescita. E’ andata decisamente male, e la conseguenza è stata un ventennio di stagnazione. La scommessa di Renzi è diversa perché, oltre che socialmente trasversale, è basata, come si è detto sopra, sull’ipotesi di un profondo mutamento dei comportamenti; può essere sfavorevolmente influenzata, oltre che da un rifiuto viscerale di una gran parte degli italiani a uscire da un clima di contrattazione permanente, anche da un’evoluzione internazionale che sta facendo soffiare sull’Europa nuovi venti di guerra fredda e scoraggia i grandi cambiamenti. Se la perde, Renzi farebbe certo bene ad andare a casa. Il pericolo potrebbe essere che con lui ci vada tutto il Paese.

(da La Stampa - 15 marzo 2014)

 

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina