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In un momento nel quale la mancanza di credito costituisce forse il maggior problema che impedisce la ripresa economica in Italia, e' vergognoso apprendere quanto e' accaduto al Monte dei Paschi di Siena.
Mentre le aziende trovano le porte chiuse di coloro che dovrebbero essere - se pur con le dovute garanzie - al servizio del territorio e del suo sviluppo, mentre le famiglie bussano in vano agli sportelli bancari per chiedere - pur avendo le garanzie da offrire - il mutuo per acquistare una casa, apprendiamo esterrefatti delle spericolate acrobazie finanziarie di una realta' bancaria che fu un tempo gloriosa.
Va detto senza peli sulla lingua che se si e' scoperchiato il pentolone del Monte dei Paschi, cio' non significa che la banca senese non sia in grande e buona compagnia.
La realta', non vi e' chi non lo sappia, e' che gli istituti di credito hanno radicalmente cambiato vocazione: si sono trasformati da motori dello sviluppo del territorio in meri attori del mercato finanziario, cercando da questo di ricavare i maggiori guadagni.
Cerano una volta le banche legate al territorio, impegnate nel sostegno delle idee di innovazione, al fianco di quegli imprenditori che, oltre a pensare al loro giusto guadagno, avevano il senso della funzione sociale del loro lavoro.
La crisi del 2008 sembra non aver insegnato nulla. Derivati e simili hanno ripreso a girare a pieno regime, nel risico di una finanza sempre piu' spericolata e intossicata dal virus del massimo guadagno a tutti i costi nel piu' breve tempo possibile.

Uscire da questa logica e' il primo passo per pensare alla ripresa.
Le banche non sono certo "istituzioni di beneficenza", ma non possono continuare ad agire come stanno facendo, ignorando la loro funzione primaria di "erogatori" del carburante per lo sviluppo.
Solo a condizione che riprendano questa funzione, si potra' comprendere il loro valore di strumenti utili per il pubblico bene, con tutte le implicazioni politiche che da un siffatto ruolo derivano.

In questa vicenda le responsabilita' sono sicuramente molteplici, e nessuno puo' chiamarsi fuori.
E' una vicenda che attesta quanto possa essere dirompente la commistione fra finanza e politica, in un quadro di coperture, favoritismi e/o clientelismi, che ci auguriamo innanzitutto che le istituzioni di controllo sappiano far emergere, e che comunque la magistratura possa portare alla luce del sole.
Ai cittadini comuni non resta ancora una volta che un sentimento di smarrimento, di rabbia e di impotenza, per una vicenda che allunga, con un nuovo anello, la catena dello sbandamento in cui la societa' italiana si dibatte.
La politica c'entra e come, anche se ovviamente vanno respinte certe strumentalizzazioni elettorali.
Riportare la politica al suo vero ruolo e' sicuramente una delle grandi emergenze nazionali. Fugando ogni facile ottimismo, so benissimo che e' un obiettivo titanico, ma so con chiarezza che al di fuori di questo c'e' il declino del Paese. Occorre una riflessione seria, sapendo che la cattiva politica si combatte con la buona politica, e non con le scorciatoie o stando a casa quando siamo chiamati a recarci alle urne.
Ma soprattutto so che la democrazia si alimenta con la partecipazione, una partecipazione continua, incalzante, che non consenta a nessuno l'esercizio di deleghe in bianco, e che dia il segno di una societa' attiva e vigile.
Solo cosi' la societa' italiana potra' riprendersi cio' di cui e' stata espropriata.

Paolo Razzuoli

 

Montepaschi: le colpe non viste

di Sergio Rizzo

Nessuno può chiamarsi fuori dalla vicenda che coinvolge il Monte dei Paschi di Siena. Non il governo, e ciò vale tanto per quello passato quanto per quello ancora in carica: se nonostante la crisi devastante del 2008-2009 la bomba dei derivati rimane innescata, come sanno bene anche i tanti enti locali che hanno rischiato di rimetterci l’osso del collo, è perché non si sono prese le contromisure necessarie.

Non la Consob: che dovrebbe sorvegliare i mercati tutelando i risparmiatori, ma spesso si addormenta. Non la Banca d’Italia: alla quale spetta il compito di vigilare sulle banche e non vede sempre tutto, anche se va precisato che l’istituto di via Nazionale non ha poteri di polizia giudiziaria.

Non il sistema bancario, cui il terremoto finanziario sembra non aver insegnato niente: i rubinetti del credito verso le imprese sono ben chiusi mentre la macchina della finanza creativa ha ripreso a girare a pieno ritmo. Meno che mai i politici, soprattutto quelli senesi, possono dire: io non c’entro.

Ma il fatto che siano tutti in una certa misura responsabili, e in un sistema finanziario sempre più integrato vanno chiamate in causa probabilmente anche le carenze europee, non può significare che nessuno è responsabile. Tutt’altro.

Questa vicenda non può essere archiviata come uno dei tanti incidenti di percorso del nostro sgangherato sistema finanziario. Né le dimissioni di Mussari dall’Abi possono essere considerate una sanzione sufficiente.

Non fosse che per un motivo. Dev’essere ricordato come, ancor prima che saltasse fuori lo scandalo dei derivati, per tirare fuori la banca dai guai causati da una serie di errori della sua precedente gestione, il contribuente ha versato nelle casse del Monte 3,9 miliardi. Per quanto le polemiche elettorali sollevate da chi ha accusato il governo di aver introdotto l’Imu per salvare «la banca del Pd» siano del tutto prive di fondamento, considerando che su quel prestito l’istituto paga al Tesoro un interesse del 9 per cento, e non c’è investimento sicuro che renda una simile cifra, si tratta pur sempre di soldi pubblici.

E non può assolutamente passare il messaggio che con i soldi dei contribuenti, sia pure pagati a caro prezzo, le banche possono tappare i buchi di speculazioni finanziarie sbagliate. Se poi si scoprisse che mentre il Monte era allo stremo alcuni soggetti avessero continuato a godere di un trattamento di favore, con conti correnti a reddito elevato e garantito, sarebbe gravissimo.

Ecco perché siamo convinti che il governo non si possa limitare a gettare la palla nel campo di qualcun altro, come ha fatto ieri il ministro del Tesoro Vittorio Grilli puntando il dito contro la Banca d’Italia. Mario Monti, che si candida a rimanere a palazzo Chigi, non può ignorare che questa storia coincide con il debutto della vigilanza europea sulle grandi banche, e per l’Italia non è davvero un bel viatico. Da lui ci aspettiamo una presa di posizione risoluta, come premier ancora in carica.

Certo fa sorridere che il primo fra i suoi sostenitori a sollecitare «chiarezza» sulla vicenda chiedendo a ognuno «di assumersi le proprie responsabilità politiche» sia stato Alfredo Monaci. Ovvero, un tipico esponente della classe politica locale che per anni ha retto Mussari e che ora è candidato della lista Monti in Toscana. Presidente della Mps immobiliare e dirigente del Monte, è il fratello minore di Alberto Monaci: a sua volta ex dipendente della banca, ex deputato dc, oggi presidente (democratico) del Consiglio regionale toscano.

Monaci senior già vedeva come il fumo negli occhi lo sbarco a Siena di Alessandro Profumo. Ma dopo che è sfumata la vicepresidenza per suo fratello Alfredo è scoppiata una guerra interna al Pd che ha fatto saltare per aria la giunta comunale. Questa poco edificante lotta di potere contribuisce a far capire perché siamo arrivati qui. Il fatto è che il Monte è un formidabile strumento di welfare cittadino. Finanzia il Comune, la squadra di calcio, quella di basket, gli stessi cittadini. A Siena dà lavoro a circa 5 mila persone: quasi il 10 per cento dell’intera popolazione. Per non parlare delle decine di poltrone nei consigli di amministrazione. Nonché del fiume di denaro che attraverso la fondazione si è riversato, anno dopo anno, nel territorio circostante.

Intendiamoci, questo non è un problema limitato alla sola Siena: sono le scorie della vecchia riforma che ha fatto nascere in tutta Italia le fondazioni bancarie dalle ceneri delle vecchie banche pubbliche. Sarebbe anche ingiusto negare che i contributi del Monte abbiano messo in moto iniziative di pregio, come la realizzazione di strutture sanitarie d’eccellenza e di centri di ricerca all’avanguardia. Ma è chiaro che adesso Siena e la sua banca sono a un bivio. Paradossalmente, dunque, questo scandalo dei derivati offre un’occasione da non perdere per cambiare registro. A tutti: al Monte, al sistema bancario, agli organi di vigilanza. E alla politica. Sempre che la sappiano (e la vogliano) cogliere.

(dal Corriere della Sera - 25 gennaio 2013)

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