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La Corte Costituzionale accoglie il Ricorso del Capo dello Stato. Le intercettazioni vanno distrutte.

di Paolo Razzuoli

Non spettava alla Procura di Palermo "valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica", e "omettere di chiedere al giudice l'immediata distruzione" di tali atti.

E' questa la decisione della Corte Costituzionale, che ha accolto il conflitto sollevato dal Quirinale contro i pm di Palermo, relativo alle intercettazioni indirette di quattro conversazioni tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, coinvolto nell'inchiesta sulla presunta trattativa tra Stato e mafia.
Nel dispositivo diffuso nella serata del 4 dicembre u.s., al termine della camera di consiglio, durata circa 4 ore, i giudici costituzionali rilevano che la distruzione delle intercettazioni casuali del presidente deve avvenire "con modalita' idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti". La Consulta sembra cosi' aver condiviso l'intera sostanza del ricorso del Quirinale.
Gli avvocati dello Stato, nel corso dell'udienza, avevano rilevato che e' stato arrecato un "vulnus" alla riservatezza delle conversazioni del presidente della Repubblica, che si sarebbe aggravato se vi fosse stata "una divulgazione" delle intercettazioni. La Procura di Palermo, rappresentata davanti alla Corte dal Prof. Alessandro Pace, aveva indicato invece quale soluzione "lineare" il ricorso al "segreto di Stato".
Nessun commento dal Colle. Anche la Procura di Palermo si e' di fatto astenuta da qualsiasi commento, pur ribadendo di ritenere di aver agito nel rispetto delle leggi.

I commenti

E' pleonastico affermare che in uno Stato democratico qualsiasi cittadino ha il sacrosanto diritto di commentare le sentenze.
A chi ricopre importanti cariche istituzionali e' tuttavia richiesta una grande prudenza ed un profondo senso di equilibrio.
In questi anni, di fronte a sentenze della Magistratura ordinaria e/o della Corte Costituzionale, alti rappresentanti del mondo politico e delle istituzioni si sono profusi in commenti, pro o contro, sulla base dei riflessi che le decisioni avevano sui singoli interessi di parte. Atteggiamenti non certo lusinghieri, cartina di tornasole, assieme a tanti altri, della confusione che regna sotto il cielo italico.

Antonio Ingroia

L'ex Procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, attualmente in Guatemala per un incarico conferitogli dalle Nazioni Unite, Magistrato solitamente prolifico di esternazioni, vede nella sentenza la "longa mano" della politica.
Riporto quanto scrive il sito www.agi.it. "La sentenza della Corte Costituzionale che ha accolto il ricorso del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, "rappresenta un brusco arretramento rispetto al principio di uguaglianza e all'equilibrio fra i poteri dello Stato". L'ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, dal Guatemala, in due interviste a 'Repubblica' e al 'Corriere della Sera', si dice "profondamente amareggiato" e accusa: "le ragioni della politica hanno prevalso su quelle del diritto". E ancora: "per ragioni politiche prima ancora che giuridiche non c'era altra via d'uscita che dare ragione al presidente della Repubblica".Per Ingroia "la scelta del presidente della Repubblica di sollevare il conflitto di attribuzioni e' stata dannosa per l'immagine delle istituzioni italiane nel suo complesso". E insiste: "Ma io non voglio essere visto come un pm sovversivo. Io e i miei colleghi della procura di Palermo vogliamo essere ricordati come quelli che hanno tenuto la schiena dritta per accertare la verita' sulla stagione delle stragi". Ingroia non ha dubbi: "Il comunicato emesso da' la sensazione di una sentenza che risente anche del condizionamento del clima politico. Del resto non penso che esistano sentenze che non risentono del clima generale che si respira in un Paese". E osserva: "Forse abbiamo sbagliato a sottovalutare l'impatto mediatico delle strumentalizzazioni, ci siamo preoccupati piu' di mantenere la segretezza che degli attacchi che sarebbero arrivati al nostro ufficio".

Una semplice domanda all'illustre magistrato: "Su quale presupposto Ella dichiara che e' stata la scelta del presidente della Repubblica di sollevare il conflitto di attribuzioni dannosa per l'immagine delle istituzioni italiane nel suo complesso, e non l'atteggiamento della Procura di Palermo che tale scelta ha provocato?

Rodolfo Sabelli

Di altro tono le dichiarazioni del presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Rodolfo Sabelli, che getta acqua sul fuoco delle polemiche.
"Non si commentano le sentenze soprattutto quando ancora non sono note le disposizioni", ha sottolineato Sabelli intervenuto al programma di Radio1 'Prima di tutto', "ancora un caso di conflitto di poteri, di conflitto in termini tecnico- processuali. Bisogna smorzare il possibile valore politico, ma del resto anche in passato ho detto che il ricorso del capo dello Stato non era un ricorso in contrasto o contro la Procura di Palermo".
"Del resto - continua Sabelli - tutta la materia della gestione dei risultati dell'attivita' di intercettazione e' materia estremamente complessa. Si discuteva delle forme e dei modi attraverso i quali si doveva arrivare alla discussione di queste intercettazioni".

Lucca, 5 dicembre 2012

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