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Incontro agli Studios di via Tiburtina a Roma. La situazione e' complessa ma qualche motivo di speranza possiamo coglierlo.
"Nessuna maledizione ci condanna. Mettiamoci al lavoro"

di Paolo Razzuoli

Le figure di maggior rilievo: Andrea Riccardi; Luca di Montezemolo; Andrea Olivero; Raffaele Bonanni; Stefania Giannini, lucchese, rettore dell'Universita' per stranieri di Perugia.

Chi come chi scrive queste riflessioni ha seguito con attenzione i lavori della "convention" del gruppo che si riconosce nel Manifesto "Verso la terza repubblica", ha potuto cogliere - nei vari interventi - i motivi di forte consapevolezza della gravita' delle condizioni della societa' italiana e, nel contempo, il peso della responsabilita' di chi si candida ad un ruolo di primo piano nella ricostruzione del tessuto morale, civile ed economico del Paese.

Gli interventi che si sono succeduti dal palco, sono tutti stati pervasi da una grande capacita' di analisi dei mali che,da decenni stanno logorando la societa' italiana, ed hanno altresi' trovato la capacita' di indicare per lo meno alcune direttrici su cui incamminarsi per cercare di invertire la rotta del declino e riprendere la strada dello sviluppo.

Certo, di fronte a cio' a cui quotidianamente assistiamo, risulta difficile poter sperare.
Eppure occorre non arrendersi. Occorre non rassegnarsi. Occorre rifiutare populismi e tenersi distanti da un'antipolitica rassegnata, proprio oggi in cui la crisi del nostro Paese reclama forti e coraggiose scelte politiche.
E' infatti proprio nei momenti di crisi che la politica e' insostituibile per creare - mediante le scelte e la capacita' di sintesi fra i vari interessi "legittimi" che costituiscono il tessuto sociale, le condizioni affinche' si possa sperare di risalire lachina. Un processo che, ovviamente, richiede ansitutto la capacita' di saper distinguere gli interessi legittimi, da tutelare, da quelli illegittimi, da combattere.
Un problema che non riguarda solo l'Italia, ma che da noi si presenta con connotazioni molto diverse rispetto alle problematiche di societa' piu' coese, in cui profondamente diverso e' il rapporto fra Stato e cittadini, e che non sono state sfilacciate da decenni di scelte quanto meno non adeguatamente ponderate.

Un cammino che, ovviamente, va pensato attorno ad alcuni valori-guida su cui immaginare l'Italia che vogliamo costruire.
Non ci possiamo infatti nascondere il deficit di elaborazione ben visibile nel dibattito politico nostrano, molto chiassoso sulle questioni di schieramento, silente sulle questioni di contenuto.

Esaminando gli interventi ascoltati nell'Incontro di ieri, alcune linee sono emerse. Provo a riassumerle.
Cliccare qui per leggere i testi degli interventi

Un'Italia animata da un riscatto civile: in cui la retorica lasci spazio alla lealtà degli uomini e delle idee; in cui la laicità sia comune metodo di confronto e non bandiera di una parte; in cui la competenza sia un valore riconosciuto e in cui il coraggio non debba più ridursi a limite.

Un Paese in cui le persone perbene possano di nuovo sentire di avere autentica cittadinanza, e nel quale i vari "furbi e furbetti" non la facciano da padroni.

Un Paese in cui i processi innnovativi non partono necessariamente dalla tecnologia (che spesso ne è lo strumento) ma dalla cultura e dalla capacità ad adattarsi al cambiamento. Insomma un Paese che sappia misurarsi con un profondo rinnovamento che, partendo dalle intuizioni dei Padri fondatori della Repubblica, ne recuperi la grande visione di sintesi quale condizione atta a creare le condizioni per un nuovo patto fra Paese legale e Paese reale.

Un Paese con una Pubblica Amministrazione efficiente, autorevole e non autoritaria, al servizio del Paese e non arogante, che consideri i propri interlocutori come "cittadini" e non come "sudditi".
Una Pubblica Amministrazione che sappia essere strumento di uno Stato che svincoli la societa' civile dagli insopportabili lacci e lacciuoli tesi da una burocrazia soffocante ed autoreferenziale, senza pero' rinunciare al fondamentale compito di garantire il rispetto delle regole che necessariamente debbono governare i processi di relazione fra i vari sottosistemi della societa' civile.

Un paese nel quale la classe politica venga profondamente rinnovata secondo criteri di onesta', serieta', capacita', spirito di servizio verso i cittadini. Una classe politica che venga spogliata degli assurdi privilegi di cui oggi gode. Una classe politica fatta con criteri che consentano ai migliori di emergere per merito e non per cooptazione, servilismo o altre strade deltutto estranee agli interessi della societa' civile e a criteri di legittimazione democratica.
Un paese governato con equilibrio, senza i condizionamenti delle componenti estreme, nel quale i ministri non vadano in piazza a contestare i provvedimenti adottati dal governo di cui essi stessi fanno parte.
Un paese nel quale gli operatori politici sappiano progettare strategie di lungo respiro, mostrando un autentico spessore da statisti, sottraendosi da meri calcoli elettoralistici che oggi appaiono come l'unico parametro preso in considerazione (Alcide De Gasperi diceva che il politico e' colui che pensa alle prossime elezioni mentre lo statista e' colui che pensa alle prossime generazioni).

Un paese nel quale le esigense della crescita si fondano con il mantenimento di un efficiente welfare che sappia sostenere i piu' deboli, consentendogli una vita decorosa e dando loro la possibilita' di godere a pieno dei diritti di cittadinanza.
Un paese che sappia essere accogliente con gli immigrati, garantendo adeguati diritti e tutele a coloro che vivono e lavorano sul nostro territorio, nel rispetto delle nostre regole del vivere civile.

Un'Italia che metta al centro il lavoro e la crescita, abbassando il cuneo fiscale e completando la riforma del mercato del lavoro che riveda i vecchi contratti, rimuovendo obsoleti e eccessivi privilegi frutto di impostazioni ideologiche ormai fuori dei tempi, e conferisca diritti a chi non ne ha affatto. Cio' per sanare la frattura fra le generazioni e per dare ai giovani un futuro di speranza.

Si potrebbe andare ancora avanti ma, in sintesi, mi sembrano queste le principali costanti degli interventi della convention.

A questo punto mi pare che il focus della riflessione debba spostarsi sugli strumenti politici con cui si pensa di dare concreto spessore ai contenuti ideali.
Problema non certo facile, lasciato ancora in ombra.

Su molte cose dette nell'incontro, la condivisione supera certamente il recinto di un ipotetico schieramento centrista.
Ad esempio nel Pd e' presente una componente "montiana" che ha forti margini di convergenza con quanto si e' sentito ieri agli Studios di via Tiburtina. Certamente anche nel PdL vi e' una componente vicina a questi valori anche se oscurata dalla virata populista dell'ultima stagione.
Fondamentale e' quindi l'esito delle primarie del Pd della prossima settimana.
Una vittoria di Renzi penso che chiuderebbe fortemente i margini di manovra e di successo per laggregazione a cui si pensa di dar vita.
La vittoria di Bersani, con il conseguente consolidamento dell'asse con Vendola, creerebbe invece spazi politici praticabili e opportunita' di successo elettorale prevedibilmente interessanti.
Vi e' poi il tema della legge elettorale: questione di non poco conto, destinata a pesare su ruoli e spazi politici delle varie forze che si presenteranno al responso delle urne.

In questo confuso scenario, la figura di Mario Monti avra' ovviamente un ruolo decisivo.
Un Monti da molti indicato come la migliore risorsa al momento disponibile per cercare di arrestare il declino del Paese e tentare di risalire la china, un Monti da altri additato come una delle cause di aggravamento della situazione recessiva in cui si e' avvitata la societa' italiana.

Dalla convention e' venuta chiara l'indicazione di una scommessa sulla figura di Mario Monti come guida del prossimo governo: un governo che ovviamente dovra' essere un esecutivo politico, guidato da un Monti che assumera' una veste politica, peraltro gia' sancita dalla sua nomina a Senatore a vita.

Le cose non sono pero' cosi' semplici.
Su questo versante condivido l'esame che Stefano Folli ha affidato al Sole 24 Ore di sabato 16 novembre u.s., che riporto integralmente.

"A Roma Andrea Riccardi, Luca di Montezemolo, Andrea Olivero e Raffaele Bonanni hanno messo il loro tassello nel mosaico di un'ambiziosa ricostruzione politica. La cosiddetta area moderata non è mai stata così disorientata e bisognosa di un leader. Tanto più ora che si delinea il 10 marzo come giorno delle elezioni: vale a dire che mancano meno di quattro mesi (ma resta aperto il problema della riforma elettorale). Dunque il mosaico aspetta di essere ricomposto e il tempo è breve.

Di certo il fortilizio rappresentato dall'Udc di Casini, sopravvissuto con tenacia agli anni del berlusconismo imperante, non è riuscito o non ha voluto porsi come fattore di aggregazione dinamica di questo mondo variegato dalle radici laico-cattoliche. Ora siamo all'anno zero e la confusione è ancora notevole.
Quando si parla di "area moderata" s'intende grosso modo quella che in Europa si riconosce nei contorni del Partito Popolare. C'è qualcuno in Italia in grado di federare tutte le forze, le associazioni e le sigle che fanno riferimento anche solo ideale all'area del Ppe? E di farlo prima del 10 marzo?

Un anno di esperienza governativa indica che sulla carta l'unica figura capace di incarnare il ruolo di tessitore e federatore è il premier Mario Monti. Che poi questo avvenga nella realtà è tutto da dimostrare. È vero peraltro che oggi lo squilibrio politico è evidente proprio perché il mondo moderato è privo di una forte rappresentanza: quel mondo incarnato per decenni dalla Dc e dai partiti laici e al quale dal '94 cercò di dare voce il primo Berlusconi.
Viceversa il Berlusconi odierno, ormai fuori dal palcoscenico principale, tradisce la sua stessa storia pronunciandosi contro l'Europa e contro il premier che il Pdl sostiene con il voto in Parlamento.

Il quesito è comunque se Monti si metterà alla testa di questa potenziale federazione moderata ovvero se lascerà che la coalizione dei volonterosi lo «indichi» come il continuatore di se stesso alla guida di un esecutivo ovviamente fondato su un patto politico. La differenza non è trascurabile. Sappiamo quali sono i punti di forza di Monti: essere l'interlocutore privilegiato dei leader occidentali; rappresentare la credibilità italiana nel mondo; impersonare un'idea di serietà delle istituzioni e della politica. Se interpellati, gli italiani si lamentano delle tasse, ma continuano a vedere nel premier una garanzia.
Basta questo per dare sostanza a una prospettiva politica, nel momento in cui ci si presenta al corpo elettorale? Potrebbe non bastare e spetta ai sostenitori di Monti fugare le perplessità.

In primo luogo il "partito di Monti" non potrà essere il vaso dove si raccolgono i segmenti alla deriva di un sistema semi-fallito, i reduci della disastrosa Seconda Repubblica. Il rischio esiste proprio perché l'area moderata è frantumata. Monti e i suoi dovranno essere molto attenti: guai a disperdere il senso di una novità che dovrà riflettersi anche nelle persone, oltre che nello stile di governo. Sotto tale profilo sarebbe più logico che Monti tenesse saldi nelle sue mani i fili dell'operazione, pur sapendo che le insidie saranno rilevanti. Allo stesso modo lo schieramento pro-Monti dovrà assomigliare a un «rassemblement» di tipo francese piuttosto che a una sommatoria di partiti vecchi e nuovi. La domanda è: chi sarà il regista operativo del progetto? Chi ad esempio deciderà sulle candidature?

Altro punto. La maggioranza che sostiene il premier è trasversale. Uno schieramento pro-Monti in chiave europea non potrà disperdere questa caratteristica, specie se prenderà la forma di un quasi-partito. Dovrà riunire personalità provenienti dal centro e dal centrodestra, ma anche dal centrosinistra. Quanto più Monti riuscirà ad apparire un leader "nazionale" e a scompaginare gli attuali assetti, tanto più il suo gruppo condizionerà il Parlamento. Anche senza la maggioranza relativa."

Lucca, 18 novembre 2012

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