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Brevi note introduttive

Allorche' attorno alla meta' dello scorso mese di gennaio la Corte Costituzionale dichiaro' la non proponibilita' del referendum abrogativo riguardante l'attuale legge elettorale (il Porcellum), scrissi alcune brevi note di commento sostenendo che, al di la' delle chiacchiere, nessuna intesa sarebbe stata trovata in Parlamento sulla riforma della legge elettorale.
Da allora, quindi in piu' di 10 mesi, abbiamo assistito a sceneggiate piu' o meno tragicomiche dei partiti, tutte con un finale gia' scritto: quello di impedire una riforma su cui (era di tutta evidenza) non c'era ne' accordo sui contenuti, e nemmeno la necessaria volonta'.

E' sconcertante che, in un clima di sempre piu' accentuata sfiducia nella politica (vedi la dimensione dell'astensionismo nelle recenti elezioni siciliane), le posizioni dei partiti non riescano a distaccarsi da meri calcoli elettoralistici: si imbocca una posizione in ragione dei sondaggi o comunque di quanto una determinata scelta tecnica potra' rendere in termini di bottino elettorale.
In questo senso e' emblematico che Berlusconi, campione del bipolarismo e del maggioritario, voglia ridurre il premio di maggioranza, visto che basta avere un o' di buon senso per ipotizzare una verticale caduta di consensi del PdL.
Bersani, che obiettivamente e' il favorito, e' ora il mentore del premio di maggioranza.

C'e' ancora qualcuno fra i politici che contano in Italia che e' in grado di pensare in senso oggettivo, avendo in mente una strategia generale per cercare di riannodare i fili interrotti fra politica e societa' civile, mettendo per un attimo da parte gli interessi di bottega?
Se c'e' batta un colpo!

L'unico che in questi mesi ha espresso una linea coerente con i bisogni del Paese, e' il Capo dello Stato che in piu' occasioni - con grande passione e usando gli strumenti in suo possesso - si e' fatto interprete della consapevolezza che andare alle elezioni con la legge vigente potrebbe produrre effetti drammatici per la tenuta delle istituzioni democratiche.
Sono certo che Giorgio Napolitano continuera' sino in fondo il suo pressing sul Parlamento, ma ormai siamo al novantesimo minuto ed il tempo sta per scadere.

Con amarezza, mi pare proprio che ne' la tormentata vicenda politica degli ultimi venti anni della nostra storia, ne' gli eloquenti segnali che chiaramente provengono dalla gente, insegnino qualcosa ad una classe politica imbalsamata, protesa sostanzialmente alla difesa dei propri privilegi, ovviamente disarmata nel contrastare la montante antipolitica che essa stessa ha generato, partorito ed allevata con ogni cura.

IL quadro della situazione e' ben tratteggiato nel brano di Francesco Verderami che integralmente fucinaidee propone ai suoi lettori.

Paolo Razzuoli

L'intesa (di fatto) sul Porcellum

di Francesco Verderami

Prima si dovrà consumare il rito, e quando sarà certificato ciò che oggi è già evidente, quando verrà formalmente sancito il fallimento della trattativa, solo allora - a un passo dalle urne - si aprirà la vera trattativa per tentare di modificare il Porcellum. Ma su un unico articolo: quello che riguarda il premio di maggioranza. Lo stralcio della riforma della legge elettorale sarà l'epilogo di una inconcludente mediazione che si è protratta per mesi tra incontri riservati e pubblici dibattiti, proclami di imminenti accordi e minacciosi richiami istituzionali.

Per salvare la riforma bisognerà dunque cancellarla e concentrarsi sul nodo attorno al quale fin dall'inizio si è ingarbugliata tutta la faccenda. È il premio di maggioranza, è quello il sancta sanctorum del Porcellum, che il capo dello Stato chiede venga modificato per uniformarlo alle indicazioni della Corte Costituzionale.
È vero che la disputa accademica e politica in questi anni si è incentrata sulle deprecate liste bloccate, che hanno partorito parlamenti di nominati. Ma il cuore del sistema elettorale è l'altro, che garantisce a una coalizione vincente con qualsiasi risultato di ottenere la maggioranza assoluta alla Camera. Va introdotta una soglia minima per accedere al premio, ecco il punto. E lo stralcio della riforma serve per impedire l'agguato delle votazioni a scrutinio segreto che si prepara a Montecitorio, e che affosserebbe definitivamente un provvedimento già delegittimato.

Così i testi, su cui ancora per settimane si cimenteranno la Commissione e l'Aula del Senato, le norme e gli emendamenti che verranno presentati, discussi e poi votati, diventeranno politicamente carta straccia, resoconti di defatiganti lavori parlamentari destinati all'oblio. Ma siccome è chiaro che l'intesa è di non trovar l'intesa, siccome il tempo è usato per far passare il tempo, siccome è impensabile procedere per decreto, anche al Quirinale si sono ormai convinti che ci sia un unico modo per eliminare l'alibi dei veti incrociati, dietro cui si cela il patto per il mantenimento dello status quo.

Non è chiaro se l'operazione dello stralcio sarà l'effetto dirompente di un messaggio alle Camere di Napolitano, o se i partiti si adopereranno anzitempo per evitare un conflitto istituzionale senza precedenti. È certo che la soluzione è stata discussa dai vertici istituzionali, e rappresenta l'extrema ratio per uscire dallo stallo di una riforma che - prima ancora di essere esaminata dal Senato - è stata di fatto disconosciuta da Berlusconi. È vero che il Cavaliere - sconfessando i suoi stessi sherpa - si è scagliato solo contro le preferenze. Ma ha posto una pietra tombale sulla legge. E non c'è dubbio che l'ex premier sia ostile verso quel meccanismo di selezione, ma era e resta un altro il suo obiettivo: «Bisogna abolire per intero il premio di maggioranza», ha chiesto agli sbigottiti dirigenti del Pdl che si occupano del provvedimento. Il leader che ha incarnato in Italia il bipolarismo, vorrebbe insomma un ritorno al proporzionale puro, che con le liste bloccate avrebbe però un sapore sovietico. Dall'altra parte è Bersani che, senza esporsi, difende ora il premio di maggioranza del Porcellum. E muro contro muro non se ne esce.

Schifani, consapevole di dover gestire l'iter di una riforma su cui non c'è passione e non c'è intesa, farà quanto è in suo dovere da presidente del Senato, «mi assumerò - ha detto ai suoi interlocutori - la responsabilità di portare il testo in Aula, con o senza relatore». Il problema politico verrà dopo, quando cioè verrà formalizzata l'impossibilità di andare avanti. A quel punto chi si assumerà il compito di proporre lo stralcio? Sarà una richiesta dei partiti tramite i gruppi parlamentari o un'iniziativa di stampo istituzionale?
È ancora presto per capirlo, visto che il rito deve ancora consumarsi. Di sicuro, fallita la maxi-trattativa, è già in corso la mini-trattativa che muove dall'idea del senatore centrista D'Alia: assegnare il premio di maggioranza a una coalizione che ha superato il 40%, e se ciò non dovesse verificarsi, garantire un mini-bonus di seggi al partito che ha ottenuto il maggior numero di voti. Bersani nicchia per ora, ma sa che si prepara la tagliola dello stralcio, e che Napolitano è pronto a dire in pubblico quanto gli ha già detto in privato.

Certo, non mancano argomenti ai difensori del Porcellum per sottolineare quali siano le controindicazioni. Dato il quadro politico frammentato, sarà difficile oltrepassare la soglia del 40% per ottenere il premio di maggioranza. E un modello elettorale che predetermina il risultato elettorale rischia di produrre un aumento dell'astensionismo e del voto di protesta. Traduzione: con questo tipo di modifica sarebbe pressoché scontato un Monti-bis nella prossima legislatura.
Con la schiettezza che tutti gli riconoscono, l'altro giorno il segretario dell'Udc Cesa non ha usato perifrasi con un dirigente del Pd per confutare questo ragionamento: «Lo volete capire o no che dopo il voto, con Grillo al 20%, ci saranno i numeri solo per fare un governo di larghe intese?».

Lo stralcio si avvicina, a passi lenti. Dato che senza una riforma, per quanto mini, il capo dello Stato non indirà le elezioni nazionali, i partiti si prenderanno ancora un po' di tempo. Vorranno vedere prima i risultati delle elezioni regionali. Incrociando le dita.

(dal Corriere della Sera - 3 novembre 2012)

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