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I nervi scoperti di Berlino

di Adriana Cerretelli

Di questi tempi sono davvero troppi i nervi scoperti in Europa. Né potrebbe essere altrimenti dopo due anni e mezzo di una brutta crisi che non passa, l'euro sempre in bilico sul vuoto, sfiducia e incomunicabilità crescenti tra gli Stati. In quel clima di «dissoluzione psicologica» europea denunciato da Mario Monti nell'intervista a “Der Spiegel”.

Un'intervista-verità. Politicamente coraggiosa perché parla a un pubblico tedesco non solo del disagio e dei sacrifici mediterranei, del preoccupante scontro Nord-Sud sul quale l'Europa rischia di schiantarsi ma anche di una Germania non priva di zone d'ombra, comunque perfettibile e ben lontana dal rappresentare quella Città del Sole europea che troppo spesso ha la pretesa di essere. Paradossalmente il presidente del Consiglio non dice niente di nuovo sugli attuali tormenti della politica europea (che non c'è) o sui sentimenti anti-tedeschi che da molti mesi covano non solo in Italia ma in tutta l'Unione, anche nei Paesi nordici più virtuosi.

Però li sintetizza in modo conciso ed efficace. Al punto da promuovere di fatto l'Italia a graffiante portavoce delle istanze euro-sud, ora che la Francia di François Hollande ha fatto una scelta di campo decisamente mitteleuropea, prendendo le distanze dalla sua vocazione mediterranea nonostante i tanti spunti emersi in una campagna elettorale ormai dimenticata. Monti però non cerca né vuole creare divisioni. Cerca l'Europa che si sta dissolvendo, tenta di recuperarla per i capelli a forza di coesione, fiducia, solidarietà. Di semplici verità invece di pregiudizi e propaganda: come il fatto che l'Italia ha bisogno di sostegno morale e non finanziario, che finora di aiuti ne ha dati all'Unione e non ne ha mai incassati. Che il debito italiano sarebbe al 120,3% e non al 123,4% se quei soldi non fossero stati versati. Che le banche francesi e tedesche hanno beneficiato degli aiuti dati alla Grecia, quelle italiane no, con il risultato che di fatto Roma ha dato di più di Parigi e Berlino. Che con gli alti tassi che oggi paga sui titoli di Stato l'Italia di fatto sovvenziona i bassi tassi tedeschi. La Germania, si sa, ama impartire lezioni agli altri. Non riceverne.

Soprattutto quando sono puntuali e inattaccabili. La levata di scudi contro Monti è stata dunque immediata, travolgente e by-partisan. Quasi tutta concentrata però sul presunto attentato alla democrazia parlamentare tedesca compiuto dal nostro quando dice l'ovvio e cioè che «se i governi hanno le mani completamente legate dai rispettivi parlamenti, senza nessuno spazio negoziale, sarà più probabile il collasso dell'Europa di una sua maggiore integrazione». Bundestag strapotente e intoccabile: una sentenza della Corte di Karlsruhe oblige.

La stessa Corte che, tra l'altro, di fatto terrà in ostaggio fino a metà settembre euro ed Europa insieme alla nascita dell'Esm, il fondo salva-Stati permanente che dovrebbe intervenire con la Bce per calmierare gli spread italiani e spagnoli. Per nessun europeo, come per nessun tedesco, esiste una causa giusta su cui immolare la sovranità parlamentare. Ma dove era e dove è l'attuale esercito di indignati tedeschi quando con il 6-pack e il fiscal compact si sancisce il diritto europeo di intrusione nelle decisioni parlamentari di bilancio o quando, come propone Angela Merkel, si promuove con l'unione fiscale l'esproprio subito delle sovranità nazionali sulle leve della spesa pubblica in cambio, forse domani, della mutualizzazione del debito dell'eurozona?

Se il sacrificio della normale dinamica democratica è ritenuto uno fondamentale rimedio anti-crisi, perché fa scandalo auspicare qualche spazio di manovra per il Governo di Berlino per rispondere con tempestività alla crisi evitando inutili e spesso astronomici costi aggiuntivi? Forse in Germania vige una legge sul doppiopesismo che consente di fare agli altri quello che non si vuole sia fatto a sé. Dalla Grecia, alla Spagna, all'Italia il sentiero dell'austerità si inerpica sempre più stretto e faticoso. Per salvare l'euro tutti devono fare la loro parte. Se a dirlo è un italiano, si chiami Monti o Draghi, magari sorprende ma rientra nel normale gioco di squadra europeo. O dovrebbe. Sempre che l'Europa non sia diventato un arnese da buttare.

(dal Sole 24 ore - 7 agosto 2012)

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