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Fucinaidee propone ai suoi lettori alcune interessanti riflessioni di Giuseppe de Rita, uno dei piu' acuti ed intelligenti sociologi italiani. Riflessioni da cui emerge lo spessore politico e culturale dell'autore, e che "suonano" un po' fuori dal coro rispetto alle consuete analisi a cui ci hanno oggi abituato economisti e politici.
De Rita, che oggi compie ottant'anni e a cui vanno i nostri piu' sentiti auguri, e' uno dei fondatori e attualmente presidente del Censis.
E' grazie al suo impulso che ogni anno il Censis elabora e pubblica il rapporto sulla situazione della societa' italiana: sicuramente il piu' completo ed approfondito studio che, annualmente, fotografa in profondita' ed in dettaglio il nostro Paese.
Su questo sito sono disponibili le sintesi di questi piu' recenti documenti.

Paolo Razzuoli

Un po’ di flemma, siamo italiani. Una nazione e la crisi: non solo difetti

di Giuseppe De Rita

La finanza internazionale ci opprime, con lo spettro dello spread. L’Unione Europea ci impoverisce, con lo spettro di un teutonico rigore. E ce lo mandano regolarmente a dire, per il tramite dei nostri governanti di turno, nei cui messaggi ritroviamo le ormai classiche frasi «ce lo chiedono i mercati» e «ce l’impone l’Europa».

E come reagiscono gli italiani, oppressi da tali scoraggianti attenzioni? Certo si avvertono sintomi di insicurezza e al limite di paura in quel tam-tam orale che è dominante nella nostra comunicazione collettiva. Ma nel fondo non si sfugge all’impressione che gli italiani, come sempre di fronte ad un dramma annunciato, stiano reagendo con un atteggiamento che è un mix di flemma ben visibile e d’orgoglio ben nascosto.

La flemma ci viene da antiche propensioni: alla sdrammatizzazione dei toni; all’adattamento come scelta strategica; alla permanenza di uno scheletro contadino che sa come vivere le avversità; ed anche al fatalistico «non fasciarsi la testa prima di cadere ». Ma è anche una flemma che riposa sul fatto che dal ’45 in poi questo sistema ha superato prove di enorme gravità; ha sempre mostrato una eccezionale tenuta sia alle crisi interne sia a quelle esterne; ha coltivato il primato dell’economia reale nei comportamenti dei suoi tanti soggetti di sviluppo; ha potuto contare per decenni su una grande coesione (nella dinamica fra gruppi e classi sociali, nei territori, nel micro delle relazioni umane). E si capisce allora come la relativa sdrammatizzazione dell’attuale crisi non sia un eterno ritorno della rimozione da scetticismo, ma sia piuttosto un silenzioso orgoglio di non esser poi così male in arnese come altri amano descriverci.

Ma sta proprio qui il pericolo: cioè che agli altri europei la nostra flemmatica solidità non piaccia. I mercati e chi li manovra preferiscono l’immagine di noi italiani fatta da fannulloni, evasori fiscali, scialacquatori del pubblico denaro; immagine che piace tanto alla comunicazione di massa (anche nostra) ed alle cancellerie europee (anche alla nostra, qualche volta). Ed è forse per questo (è ipotesi avventata ma non inverosimile) che essi preferiscono il dramma alla continuità, il default all’adattamento continuato, il «sangue subito» alla tenuta nel tempo lungo.

Condizionati da tali preferenze ci auto-imponiamo costrizioni sempre più urgenti ma non sempre lucidamente motivate, non ultima quella che circola in questi giorni sull’anticipo delle elezioni al fine di «stabilizzare il quadro politico ». Così rischiamo di diventare sempre meno sovrani nella dinamica politica ma anche nella gestione della nostra immagine collettiva. Forse è allora tempo di contrattaccare sulle tre citate contrapposizioni di opinione: sarebbe cioè giusto sostenere la superiorità della tenuta di lungo periodo sul «sangue subito »; della capacità di adattamento continuato sull’angoscia da default; della continuità e coesione negli impegni collettivi sulla continua drammatizzazione delle cose. Avanzando l’ipotesi che è su queste implicite scelte di vita che vorremmo essere giudicati, senza paura di qualche sorrisetto beffardo dei fautori del «sangue subito».

(da Il Corriere della Sera, 27 luglio 2012)

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