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Giorgio Napolitano contro la procura di Palermo. Il presidente della Repubblica firma il decreto per la mancata distruzione delle intercettazioni delle telefonate con Nicola Mancino.

di Paolo Razzuoli

Che in Italia ci siano problemi nel rapporto fra parti del potere giudiziario e potere politico, non e' certo una novita'.
Il fatto che di sovente questo problema sia stato malamente sollevato da Berlusconi e dal suo schieramento, lo ha riduttivamente fatto apparire a gran parte della pubblica opinione come frutto dei problemi personali del leader del centrodestra, e non come grave deriva istituzionale da correggere.
Tutto cio' in un contesto di montante sfiducia nella politica, pericolosa anche se giustificata dai molti deragliamenti dei politici, che ha conferito una straordinaria sovraesposizione a coloro che si sono distinti nella caccia ai reati della classe politica, anche quando le tesi accusatorie apparivano sinceramente deboli e qualche volta anche un po' fantasiose, ed i reati contestati si sono poi rivelati inconsistenti nelle fasi del giudizio.

Il tema dei rapporti fra poteri dello Stato, anzitutto quello del rapporto fra magistratura e politica, e' stato vissuto come terreno di scontro pregiudiziale fra gli schieramenti, quindi e' mancata quella serenita' e quell'oggettivita' di giudizio che avrebbero consentito di valutare cio' che stava accadendo con obiettivita', e avrebbero consigliato i necessari rimedi.
Ora si e' coinvolta addirittura la presidenza della Repubblica che, giustamente, si ribella e mette incampo gli strumenti idonei a fronteggiare la situazione.

Se non sbaglio, e' la prima volta che si verifica un caso della fattispecie nella storia della Repubblica.
E' da augurarsi che l'episodio possa innescare qualche ripensamento virtuoso, quindi aiutare a rendere il dibattito piu' oggettivo e di alto profilo istituzionale, su un tema delicatissimo, sicuramente all'ordine del giorno dell'agenda del Paese.

Il Capo dello Stato ha firmato il decreto con cui affida all'Avvocatura dello Stato l'incarico di sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Il Quirinale, in altri termini, va all'attacco della procura di Palermo, in relazione alla vicenda delle telefonate intercettate tra il consigliere del presidente per gli Affari giuridici Loris D'Ambrosio e l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino a proposito della presunta trattativa tra Stato e mafia negli anni 90.
Durante l'attività d'intercettazione ci sarebbero state anche un paio di telefonate fra Mancino e Napolitano, telefonate che avrebbero dovuto essere distrutte, provvedimento che il procuratore del capoluogo siciliano Francesco Messineo non ha ancora disposto.
A giudicare sul conflitto sarà la Corte costituzionale.

Per i lettori di fucinaidee riporto il testo integrale del Decreto del presidente della Repubblica.

Testo integrale del Decreto del Presidente della Repubblica

Cliccare qui per leggere/scaricare il Decreto in versione stampabile (formato pdf)

"PREMESSO che, nell'ambito di procedimento penale pendente dinanzi alla procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, sono state captate conversazioni del Presidente della Repubblica nel corso di intercettazioni telefoniche effettuate su utenza di altra persona;

PRESO ATTO che il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, in risposta a richiesta di notizie formulata il 27 giugno 2012 dall'Avvocato Generale dello Stato, ha riferito, il successivo 6 luglio, che, "questa procura, avendo già valutato come irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia eventuale comunicazione telefonica in atti diretta al Capo dello Stato non ne prevede alcuna utilizzazione investigativa o processuale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare con l'osservanza delle formalità di legge";

PRESO ATTO altresì che, con nota diffusa il 9 luglio 2012 e con lettera al quotidiano "la Repubblica" pubblicata l'11 luglio 2012, il procuratore della Repubblica ha ulteriormente affermato tra l'altro, sempre con riferimento alle indicate intercettazioni, che "in tali casi alla successiva distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata si procede esclusivamente previa valutazione della irrilevanza della conversazione stessa ai fini del procedimento e con la autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, sentite le parti";

CONSIDERATO che la procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, dopo aver preso cognizione delle conversazioni, le ha preliminarmente valutate sotto il profilo della rilevanza e intende ora mantenerle agli atti del procedimento perché esse siano dapprima sottoposte ai difensori delle parti ai fini del loro ascolto e successivamente, nel contraddittorio tra le parti stesse, sottoposte all'esame del giudice ai fini della loro acquisizione ove non manifestamente irrilevanti;

RITENUTO che, a norma dell'articolo 90 della Costituzione e dell'articolo 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219 - salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo il regime previsto dalle norme che disciplinano il procedimento di accusa - le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorché indirette od occasionali, sono invece da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione;

OSSERVATO che comportano lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, quantomeno sotto il profilo della loro menomazione, l'avvenuta valutazione sulla rilevanza delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione (investigativa o processuale), la permanenza delle intercettazioni agli atti del procedimento e l'intento di attivare una procedura camerale che - anche a ragione della instaurazione di un contraddittorio sul punto - aggrava gli effetti lesivi delle precedenti condotte;

RILEVATO che "E' dovere del Presidente della Repubblica di evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell'occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce" (Luigi Einaudi);

ASSUNTA, conseguentemente, la determinazione di sollevare formale conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale, ai sensi dell'articolo 134 della Costituzione, avverso la decisione della procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza di conversazioni del Presidente della Repubblica e di mantenerle agli atti del procedimento penale perché, nel contraddittorio tra le parti, siano successivamente sottoposte alle determinazioni del giudice ai fini della loro eventuale acquisizione,

DECRETA

la rappresentanza del Presidente della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione indicato nelle premesse è affidata all'Avvocato Generale dello Stato.

Roma, 16 luglio 2012"

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