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Il demone che agita la politica europea

di Guido Rossi

Il futuro dell'Europa, in questo momento, dipende soprattutto da tre eventi imminenti e ognuno, a modo suo, determinante.
Il primo e di maggior rilievo sarà il risultato odierno delle votazioni in Grecia. Il secondo, il salvataggio delle banche spagnole per l'ammontare di 100 miliardi di euro. Il terzo, certamente quello di maggior rilievo sotto il profilo politico, sarà il risultato delle decisioni del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno.
I tre avvenimenti sembrano fra loro slegati e dovuti a cause che paiono radicate in situazioni economiche e politiche diverse fra loro. E ciò nonostante tutto è vero, anche perché l'agenda del vertice europeo sembra ancora confusa e dedicata più all'inseguimento scomposto di soluzioni contabili che a visioni politiche precise.

La ragione di tutto ciò sta nell'esplosione, soprattutto tra i leader europei, di una fallace e pericolosa tendenza, che già John Locke nel Saggio sull'intelligenza umana del 1690 aveva chiaramente identificato nel considerare le parole al posto della realtà.
E gli scriveva che «gli uomini, poiché non amerebbero che si pensasse che essi parlano unicamente di ciò che è nell'immaginazione loro, bensì anche di cose quali sono realmente, spesso suppongono che le parole stiano altresì per la realtà delle cose» e proseguiva poi «che si perverte l'uso della parola, e si porta inevitabile oscurità e confusione nei loro significati, ogni volta che pretendiamo esse rappresentino cosa alcuna, che non siano quelle idee che noi stessi abbiamo nella mente». È così che l'intera politica europea è rimasta pervasa da questo demone e da un continuo affermare principi, promesse e slogan, che tutto hanno dell'apparenza e delle buone intenzioni, ma poco della realtà. Imperano le contraddizioni, quando la stessa apparenza, che deriva da false impressioni o idee, diventa un credo della realtà. Ed è capitato in primo luogo con la politica di austerità e di ostinato rigore, che ha fatto sì che una falsa opinione si trasformasse quasi naturalmente in un falso rimedio: se il debito del bilancio pubblico era un problema, il pareggio di bilancio e l'austerità diventano la soluzione. Ma ridurre l'economia a moralità con la punizione dei peccati non ha funzionato, se non peggiorando una situazione che proprio con la Grecia si è presentata in tutta la sua gravità, al di là e al di fuori dei suoi confini.

La teorizzazione dell'apparenza al posto della realtà, anche a proposito degli atti di governo, è stata trattata in modo esemplare da Adam M. Samaha in Regulation for the Sake of Appearance, sul numero di maggio della Harvard Law Review. Ci si può chiedere se tutto ciò che è successo e continua a succedere in Grecia sia dovuto all'apparenza di idee sbagliate o alla realtà dei fatti. Basta tener conto che la Grecia, che sembra contagiare l'intera Europa, ha una piccola economia il cui Pil è meno del 3% dell'intero Pil di Eurolandia. Ma ciò non toglie che la fallacia dell'apparenza imponga che almeno fino a oggi la troika dei più forti governi europei, della Bce e dell'Fmi, oltre che dei leader europei, più preoccupati di salvare i loro sistemi bancari piuttosto che l'Europa, siano pronti a "ellenizzare" i paesi della stessa Europa in difficoltà con il debito pubblico, con una politica di molte parole e pochissimi fatti, che certamente avrebbe profondamente irritato Locke.
Il recente salvataggio per cento miliardi delle banche spagnole presenta le stesse contraddizioni che ho appena rilevato. In verità la crisi spagnola è diversa dalle altre perché ha coinvolto all'interno un sistema bancario vittima di una bolla immobiliare senza precedenti. Eppure, allo scoppio della crisi del 2008, l'allora primo ministro Zapatero con presunzione dichiarava che la Spagna aveva «forse il più solido sistema finanziario del mondo».

Inutile riprendere il discorso sul binomio apparenza-realtà, con le più recenti dichiarazioni che il salvataggio spagnolo non procurerà alcuna intrusione della troika dei prestatori sulla politica economica spagnola e che quindi i cosiddetti "uomini in nero", così chiamati dal ministro del Bilancio Cristobal Montoro, non visiteranno la Spagna per sottoporla a scrutinio e a continua revisione. Ma gli uomini in nero si sono già espressi in modo diverso.
E dopo la Spagna, i mercati stanno puntando sull'Italia? È pur vero che al vertice europeo verranno discusse misure per un più efficace governo economico, snodato in vari punti, per ridurre i debiti sovrani, dare maggiori poteri alla Bce e garantire la sopravvivenza dell'euro in un mercato unico bancario; misure tutte che avrebbero già dovuto essere prese, per allontanare l'ellenizzazione dell'Europa e la speculazione sulla quale si alimenta.
Tali misure, per essere effettive ed efficaci, abbisognano non di apparenti soluzioni contabili ma di reali visioni politiche. Recentemente si sono con vigore, su questa unica possibile soluzione per l'Europa, levate le voci proprio sulle colonne di questo giornale di due grandi europeisti, che sembrano così lontani dalle limitate visioni degli attuali leader politici europei: Helmut Schmidt e Carlo Azeglio Ciampi, i quali hanno invocato lo spirito dei fondatori e la necessità di una maggiore unità politica degli stati europei. Se l'alternativa di uno stato federale sul modello americano può ancora essere lontana, per le diverse tradizioni istituzionali dei singoli Paesi dell'Unione, non v'è dubbio tuttavia che rimane pur aperta l'opportunità di una Costituzione europea di diritto internazionale, attraverso Trattati, con istituzioni europee, politicamente responsabili, che garantiscano in una comunità di Stati, i quali abbiano ceduto parti della loro sovranità, la sopravvivenza del popolo europeo e della sua grande civiltà, che non può essere distrutta da fallaci apparenze di egoismi nazionali.

(dal Sole 24 ore - 17 giugno 2012)

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