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La sentenza del processo Mills ha provocato, come era facilmente prevedibile, polemiche che hanno dato l'impressione di riportare indietro di qualche mese le lancette della storia di questo Paese.
Ovviamente l'argomento ha trovato ampio spazio sulle prime pagine di tutti i giornali. Fra i molti contributi che ho avuto modo di leggere, particolarmente interessante - e per quanto mi riguarda deltutto condivisibile - mi pare quello scritto da Stefano Folli che propongo ai lettori di Fucinaidee.

Paolo Razzuoli

Una sconfitta per tutti

di Stefano Folli

Sabato 25 febbraio la città di Milano ci ha offerto una fotografia singolare ma molto pertinente della realtà italiana. Da un lato, l'istantanea inquadrava il presente: il premier Mario Monti alla Bocconi, gli applausi dei colleghi di università all'uomo che ha restaurato la credibilità del Paese. Dall'altro, l'obiettivo catturava un segmento di passato. Sono trascorsi meno di quattro mesi da quando Silvio Berlusconi ha lasciato Palazzo Chigi, ma sembra un tempo remoto.

All'improvviso le polemiche sulla sentenza Mills, la sentenza che ha chiuso con la prescrizione uno dei processi più lenti, farraginosi e controversi tra quelli che interessano l'ex premier, hanno ripiombato il paese nel tempo che fu.
Per un attimo tutti si sono ricordati qual era il tono e il contenuto del dibattito pubblico ancora sul finire dell'anno scorso, mentre la speculazione finanziaria si accaniva sull'Italia. E per qualche ora siamo tutti tornati all'antico. L'epilogo del processo Mills ha riproposto tutti gli stereotipi e i pregiudizi dei due partiti pro e contro Berlusconi. Una contesa lunare con il sapore ormai fastidioso del «déjà vu». Tutti aggrappati alla propria porzione di verità.

Perchè è vero che questa vicenda giudiziaria ha autorizzato nel tempo i sospetti di accanimento, visto che la prescrizione era ormai assodata, e può darsi che le prove dell'accusa non fossero di granito. Ma è altrettanto vero che intorno al processo Mills si sono esercitati negli ultimi anni i migliori cervelli del «diritto creativo». È stato un braccio di ferro estenuante fra le leggi "ad personam" varate dalla maggioranza berlusconiana e i tentativi di eluderle a opera di alcuni magistrati.
«La folle corsa dei pm» la definisce Alfano. Ma la corsa aveva diversi competitori: correvano il presidente del Consiglio, il ministro della Giustizia, una parte del Parlamento. Avessero ragione o torto, non restava loro il tempo per fare altro, magari per governare.

Alla fine la stanchezza è diventata generale, così come il desiderio di non ripiombare in quell'atmosfera plumbea e sfibrata. Il duello rusticano aveva sfiancato il paese e nell'autunno dell'anno scorso tutti se ne sono resi conto con angoscia. E' bene che la pagina sia stata voltata e la fotografia di sabato 25 febbraio, scattata fra la Bocconi e il palazzo di Giustizia, dice più di mille parole.

Certo, questa prescrizione è una sconfitta per tutti. Perde la giustizia italiana, che non è riuscita a cavare un ragno dal buco. Perde Berlusconi, perchè non c'è stata alcuna assoluzione e oggi è più chiaro che la sua stagione si avvia comunque al tramonto. Soprattutto perdono gli italiani che avrebbero diritto a disporre di una macchina giudiziaria efficiente e rapida, dedita ai problemi della comunità nazionale oltre che a regolare i conti con il berlusconismo.

In ogni caso, è giusto guardare avanti. Se il governo e le forze politiche pensano davvero di riformare qualcosa nel sistema giudiziario, forse questo è il momento di farlo. Senza addurre altri alibi per mascherare le difficoltà.

Quanto a Berlusconi e ai suoi collaboratori, è un po' strano il «rammarico» espresso per la sentenza. In un primo tempo erano prevalsi i toni soddisfatti, ma quando è apparso chiaro che l'equazione prescrizione uguale assoluzione non reggeva, allora è emerso il rammarico. Eppure, se volesse, Berlusconi avrebbe una possibilità: rinunciare alla prescrizione e cercare un nuovo processo per essere assolto. Glielo ha suggerito, con malizia, Bersani e l'idea in sé è ragionevole. Ma ovviamente non accadrà. Ci vorrebbe ben altro coraggio morale e magari anche un'altra magistratura.

(da Il Sole 24 Ore, ediz. del 26 febbraio 2012)

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