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Da  Tremonti  a Monti: quando i tagli erano già nei nomi.

Qualche ingenua riflessione di un cittadino qualunque.

Ma chi è in grado di spiegare a se stesso cos’è la Tobin tax può risparmiarsene la lettura

 

di  Luigi  Pinelli

 

“In democrazia, un partito dedica sempre il grosso delle proprie energie

a cercare di dimostrare che l'altro partito è inadatto a governare;

e in genere tutti e due ci riescono, e hanno ragione”

(Henry Louis Mencken, scrittore americano)

            Personalmente, riguardo ai partiti mi riconosco agevolmente nel pensiero del cantautore inglese.

            Dal primo comizio (dell’on. Fanfani), a cui mi capitò di assistere (appena maggiorenne) nel 1958, in poi, i migliori programmi elettorali sono sempre sembrati anche a me, a parole, quelli dei politici dell’opposizione.

            Peccato che, poi, quando l’opposizione è andata al potere i programmi migliori siano però diventati, a parole, ogni volta  patrimonio degli sconfitti.

            E’ così che, nonostante l’alternanza, il Paese si è ogni volta trovato da cinquant’anni con opposizioni - a parole -  tra le più illuminate d’Europa ma con i governanti peggiori.

            Come è possibile, è inevitabile chiederselo, andare avanti con governi in cui i vincitori di qualunque colore dimenticano regolarmente le promesse?

 

“La politica è una faccenda troppo seria per essere lasciata ai politici”

(Charles De Gaulle)

Nel dicembre del 1944, ad opera del commediografo Guglielmo Giannini vide la luce un settimanale (nel formato dei quotidiani) denominato “L'Uomo qualunque”, caratterizzato da un umorismo pungente e finalizzato  a dar voce alle opinioni dell'uomo della strada, contrario al regime dei partiti e ad ogni forma di statalizzazione.

Capace di far presa sugli scontenti appena usciti dalla guerra, il giornale raggiunse rapidamente un’ampia tiratura, che indusse il fondatore a convogliarne i consensi in un nuovo partito, “Il Fronte dell'Uomo qualunque”, in grado, il 2 giugno 1946, di entrare nell'Assemblea costituente con ben trenta deputati, ottenendo voti soprattutto dai proprietari terrieri del sud e da ex fascisti.

Il partito, dopo un altro successo alle amministrative, tentò di avvicinarsi al partito comunista, alla democrazia cristiana e infine al partito liberale ma finì per sciogliersi poco dopo le elezioni politiche del 1948, nelle quali ebbe solo diciannove deputati e dieci senatori.

Il programma portato avanti da Giannini può essere sintetizzato in due sole affermazioni: “per governare: basta un buon ragioniere che entri in carica il primo gennaio e se ne vada il 31 dicembre. E non sia rieleggibile per nessuna ragione" e “l'economia deve essere lasciata totalmente ai privati in un sistema totalmente liberista.”

Se oggi fosse ancora vivo, Guglielmo Giannini potrebbe chiedere i diritti d’autore al governo italiano attualmente in carica, per certi aspetti sorprendentemente conforme al modello da lui ipotizzato più di sessanta anni fa, anche se l’attuale ricorso alla tecnocrazia è dovuto soprattutto alla occupazione della politica da parte di troppi incompetenti ed alla corruzione dilagante a qualsiasi livello per il prevalere di interessi personali rispetto alla ricerca del bene comune.

 

“Chi rompe non paga e si siede al governo”

(Leo Longanesi)

            Nessuno si stupisce, in caso di fallimento di una azienda privata, che i titolari dell’impresa finiscano alla sbarra per il risarcimento dei danni e per le conseguenze penali.

A livello statuale, invece, l’uscita di scena anche dell’ultimo dei tanti governi che nei decenni hanno rinunciato progressivamente - in nome del "libero mercato" - alla tradizionale pianificazione dell'economia lasciata di fatto in mano alle banche, avviene senza che nei riguardi dei suoi ministri e dei parlamentari che negli anni ne hanno approvato le scelte scatti alcuna azione risarcitoria.

            Naturalmente si sa  bene che l’ordinamento non prevede, ahinoi, una soluzione del genere ma è giusto che a non soffrire per il pagamento dei danni siano soprattutto coloro che li hanno prodotti, tutelati dalla acquisizione di posizioni economiche personali in grado di non far loro avvertire il peso dei danni prodotti?

            Ed è ammissibile che agli autori dei fallimenti l’ordinamento riservi, anziché almeno l’interdizione perpetua dai pubblici uffici,  la possibilità  di sedersi anche nei futuri governi?

 

“Il problema è che il 90% dei politici rovina il buon nome di tutto l'altro 10%”
(Henry Kissinger)

Nelle condizioni in cui versa il Paese, non è deprimente ed estremamente sconcertante, al limite del cattivo gusto, il fatto che parlamentari di ogni estrazione non abbiano invece ritegno a sostenere giornalmente in televisione, manipolando certi dati e dimenticandone altri, di essere pagati meno dei colleghi del resto d’Europa, piuttosto che scusarsi per i debiti contratti e dichiarare semmai la disponibilità a concorrere al loro pagamento?

           Da parlamentari che, al di là dei loro giochi di parole, per il loro mantenimento costano annualmente ai cittadini 26 euro pro capite (pari a tremilacentoventi miliardi di vecchie lire), rispetto ai 13 euro dei francesi ed ai 5 euro degli americani, non sarebbe invece naturale attendersi che l’amor proprio suggerisse loro almeno l’immediata rinuncia a qualsiasi emolumento fino al termine del mandato, a partire dal momento in cui oggi hanno abdicato in favore di un governo di tecnici designato dal Presidente della Repubblica ed investito - di fatto - di ogni potere, visto che il Parlamento si limita a ratificarne gli atti praticamente senza opposizione?

            Al contrario, i parlamentari sembrano invece impegnati soprattutto a presentare ricorsi a salvaguardia dei loro vitalizi, a mantenere ed a riscuotere il contributo per il portaborse anche laddove il portaborse non sia stato assunto ed a rinviare alle calende greche qualsiasi ipotesi di tagli a loro danno.

Praticamente, sembra di assistere alla replica dell’affondamento del Titanic, in cui  “mentre i ricchi montarono sulle scialuppe e si salvarono, i poveri andarono a fondo con la nave”.

Davanti a comportamenti siffatti, c’è ancora qualcuno che ritenga che un Parlamento composto, tra deputati e senatori, soltanto da trecento o quattrocento unità non sarebbe più che sufficiente a rappresentare la volontà popolare, a costi più tollerabili?

 

“Ogni nazione ha il governo che si merita”

(Joseph de Maistre - filosofo )

Negli Stati ove vige la democrazia la scelta della forma di governo spetta al popolo, chiamato a provvedervi attraverso gli strumenti del voto elettorale o del referendum e della sua codificazione nella Costituzione.

L’art. 92 della Costituzione italiana stabilisce che “il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.” e che “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”.

Formalmente, pertanto, non può attribuirsi alcun pregio ai dubbi avanzati da alcuni sulla costituzionalità del governo tecnico presieduto dal prof. Monti, subentrato al precedente gabinetto dissoltosi per immobilismo.

Nella sostanza, al contrario, è innegabile che il risultato dell’avvicendamento, discostandosi dalla prassi più recente, di fatto disattende l’indicazione - anche se, va ribadito, assolutamente non vincolante - del nome del premier emersa  dalla consultazione elettorale e rappresenta quindi - in linea di principio - un vulnus nei riguardi della opzione espressa dall’elettorato.

Non sarebbe il caso, piuttosto che dover far finta di niente, cercare di adeguare quanto prima la nostra Costituzione alle nuove esigenze imposte dalla adesione ad una comunità sovranazionale, come previsto in qualcuno dei programmi elettorali presentati nell’ultima campagna elettorale ma accantonati subito dopo la chiusura delle urne?

 

“La base del nostro sistema politico è il diritto della gente

di fare e di cambiare la costituzione del loro governo
(George Washington)

 L’iniziativa del Presidente della Repubblica, oltreché legittima, è dunque ampiamente giustificata dall’imperdonabile immobilismo del Governo precedente e dalla ristrettezza dei tempi imposti a livello comunitario per  fronteggiare una situazione di assoluta emergenza.

Tanto premesso, però, va rilevato come la gestione della crisi e la soluzione derivatane lascino intravedere – nei fatti - un cauto slittamento della forma di Repubblica parlamentare prevista dalla nostra Costituzione verso il modello di Repubblica semipresidenziale alla francese..

Formalmente, beninteso, i due ordinamenti mantengono intatte le loro differenze, la prima delle quali consiste nel fatto che in Francia il Presidente della Repubblica è eletto direttamente dal corpo elettorale anziché dal Parlamento.

In secondo luogo, la Costituzione di oltralpe riserva al Presidente non solo la scelta del Primo Ministro (che deve riscuotere poi anche la fiducia del Parlamento) ma anche di condividerne il potere esecutivo e addirittura di revocarlo.

Con tale impostazione, non meraviglia che all’estero, a livello popolare, tutti conoscano il nome del  Presidente della Repubblica francese ed ignorino invece quasi del tutto il nome del suo Presidente del Consiglio, contrariamente a quanto avviene per la Germania, retta da un sistema federale parlamentare, di cui tutti sanno che il Presidente del Consiglio è la Signora Merkel mentre il nome del Capo dello Stato non è conosciuto neppure da molti degli addetti ai lavori.

Fino a ieri, la situazione italiana era praticamente identica a quella tedesca, con Berlusconi alla ribalta mediatica sia in Italia che in Europa e con un Presidente della Repubblica investito di una funzione eminentemente di rappresentanza e notevolmente più in ombra.

Oggi, la molteplicità delle iniziative, la messe di sollecitazioni operative, le molte prese di posizione sia di natura politica che economica, gli appelli e le specifiche indicazioni rivolte quasi giornalmente all’esecutivo accanto alle rassicurazioni ed agli incitamenti inviati direttamente al popolo, nonché, infine, la scelta dell’esecutivo con una autonomia non rintracciabile nel passato recente e remoto hanno indubbiamente capovolto - in termini di visibilità ma non solo - il rapporto tra Presidente del Consiglio e Presidente della nostra Repubblica, con un indubbio e meritato incremento della figura e della visibilità di quest’ultimo sia all’interno che a livello europeo.

Negli anni cinquanta l’allora  Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, solo per aver detto “il mio Governo” in un discorso del 1956 a Ottawa, stanti anche le incertezze del Governo Segni, finì sotto il tiro del settimanale “Candido” che gli dedicò un articolo intitolato “La Repubblica presidenziale è fatta”. Siccome a Gronchi accadde poi, in occasione di un incontro con il Presidente francese De Gaulle, di finire per terra quando si mise a sedere al termine dell’inno nazionale perché qualcuno gli aveva inopinatamente spostato la sedia, l’episodio venne utilizzato dal duo Vianello-Tognazzi in uno sketch in cui, a Tognazzi che finiva per terra, il collega Vianello ammiccava: “Ma chi ti credi di essere?”.

Evidentemente, a quei tempi, l’ipotesi di una repubblica presidenziale non riscuoteva molte simpatie in una nazione uscita da poco da un regime in cui la concentrazione di troppi poteri in un’unica figura aveva portato alla rovina.

A tanti anni di distanza, di fronte al disastro conseguente ad un immobilismo imputabile sicuramente alle persone ma ancor di più ad una forma di governo che oggettivamente penalizza le possibilità operative di qualsiasi esecutivo di fronte alle mutate urgenze attuali ed alla conflittualità interna anche ai gruppi che dovrebbero appoggiarlo, chi può dire che l’indirizzo rintracciabile nel percorso correttamente intrapreso con trasparente consapevolezza dall’attuale Presidente della Repubblica non possa essere integrato da una rilettura ed una modifica della Costituzione a favore di una Repubblica presidenziale a tutti gli effetti?

Perché non ricordare che già all’epoca della Costituente don Giuseppe Dossetti sostenne la necessità della repubblica presidenziale e che anche Piero Gobetti ebbe a suo tempo ad affermare che «domani le nostre condizioni possono essere più favorevoli a una Repubblica parlamentare o presidenziale»?

“La teoria è quando si sa tutto e niente funziona.

La pratica è quando tutto funziona e nessuno sa il perché.

Noi abbiamo messo assieme la teoria e la pratica: non c'è niente che funzioni... e nessuno sa il perché!”

 (Albert Einstein)

                Di fronte all’insorgere della crisi attuale, dal Governo era naturale attenderci almeno la capacità di individuarne esattamente e sollecitamente le cause.

Vero è che è dal 2007 che gli esperti mettevano in guardia i governanti riguardo a ciò che è poi esploso clamorosamente soprattutto negli ultimi mesi del 2011.

Purtroppo, però, va anche detto che molti di costoro ne attribuivano la colpa quasi esclusivamente a speculatori disonesti ed a banchieri senza etica e che, secondo molti di loro, sarebbe stata sufficiente qualche piccola aggiustatura ad un sistema che “tutto sommato funziona” per cavarcela senza danni.

Peccato che, oggi, siano ancora molti degli stessi esperti, corresponsabili - in concorso con i politici - dell’immobilismo che ha portato al disastro attuale, ad indicarci a posteriori anche i rimedi per venire a capo di una situazione evidentemente sottovalutata e non preventivata.

                Ora, gli elettori che fino ad oggi si siano forzatamente fidati di costoro non capendo niente di bce, spread, bund, euribor, eurirs, mib, advisorasset allocation, capital gain, dow jones, nasdaq, warrant, tobin tax e altri ameni termini del genere, così estranei al linguaggio dei non addetti ai lavori, quale possibilità hanno di farsi una attendibile idea sulle reali cause della crisi in modo da sapersi orientare consapevolmente su quale schieramento garantisca le soluzioni migliori per porvi rimedio?

            Dalla astrusa terminologia suddetta al cittadino comune è dato solo di intuire che purtroppo siamo in mano alle banche, vale a dire a soggetti non eletti da nessuno, e che una situazione del genere svuota di gran parte del suo significato anche lo strumento del ricorso alle urne.

            E, francamente, non è per niente piacevole apprendere che il nostro futuro è in mano a chi ti offre l’ombrello quando c’è il sole e te lo richiede appena piove.          

 

“Dare alle banche la possibilità di creare la moneta è come darsi in schiavitù e pagarsela pure”
(Sir Josiah Stamp, vecchio governatore della banca d'Inghilterra)

Sono ormai trascorsi trent’anni da quando iniziai a passare almeno un paio di volte al giorno sul viale Castracani, dalla circonvallazione a San Vito di Lucca.

            All’epoca, non credo di sbagliarmi di molto, mi pare che sul viale si trovassero solo due, o forse tre, banche.

            Oggi, gli sportelli bancari aperti sul viale risultano saliti ad otto e addirittura a sessantanove nell’intero territorio comunale.

            Di fronte a un fenomeno del genere, è giocoforza chiedersi se l’incremento di tanti sportelli risponda realmente alle esigenze della popolazione, posto che sia la zona che l’intero comune, in termini di industrializzazione e di numero di abitanti, non sembrano aver mutato di molto le caratteristiche di trent’anni fa.

            Abbiamo dunque troppi soldi da custodire, nonostante la crisi, o qualcuno può spiegare in altro modo le ragioni di una tale proliferazione del numero di istituti di credito, proprio nel momento in cui l’avvento del computer - facilitandone il lavoro ed i collegamenti - faceva presumerne piuttosto la contrazione di sedi e di personale, come avvenuto in altri ambiti lavorativi?

 

Le agenzie di rating

(Quello che fino a ieri era un potere “occulto” che agiva “dietro le quinte” oggi è uscito allo scoperto)

Quanti di noi fino a ieri avevano sentito parlare delle “agenzie di rating”, assurte oggi alla ribalta?

            L’impressione che si ha è che la quasi totalità dei cittadini apprenda solo oggi che al mondo, sistemate in faraonici palazzi, vi sono decine di “agenzie di rating”, che al di fuori di qualsiasi mandato, tra molti conflitti di interessi e con il benestare delle lobby economiche mondiali, si arrogano il compito di valutare quanto un Paese sia o meno in regola con i conti, dando voti,  stilando classifiche e procedendo a declassamenti che costringono i governi, ad esempio, ad offrire titoli di Stato a rendimenti più elevati per renderli più appetibili per gli acquirenti, con la sola conseguenza di accrescere in tal modo il loro debito. pubblico.

            Solo ora che anche la Francia strilla per essersi vista declassata da AAA ad AA molti sembrano convinti che le “agenzie di rating” vadano eliminate perché prive di qualsiasi autorizzazione ad emettere giudizi sui bilanci dei vari paesi.

            Tutto bene, dunque, almeno all’apparenza, se due domande non esigessero delle attendibili risposte: chi ha finora dato credito, e perché, a tali agenzie? E, soprattutto, chi è in grado di garantire che l’obiettivo della eliminazione di soggetti così in grado di condizionare senza controlli l’economia dei paesi più deboli possa essere lealmente perseguito dai paesi o dai privati che più se ne avvantaggiano?

            Se non dovesse riuscirvi neppure chi ha la “fortuna” di avere un Governo tecnico, zeppo di competenti in materia, a quale altro santo dovrebbe votarsi il povero elettore?

 

“Una volta deciso che la cosa può e deve essere fatta, bisogna solo trovare il modo”
(Abraham Lincoln)        

        La posizione più conveniente nei riguardi del Governo tecnico pare dunque quella di attenderne con interesse i fatti senza facili entusiasmi ma anche senza riserve, dato che sarebbe tragico se un governo investito di poteri da gabinetto di guerra, come quello voluto dal Presidente della Repubblica, tradisse le aspettative del Paese.

           

“O non tentare neppure, o vai fino in fondo”

(Publio Ovidio Nasone)

In particolare, la speranza di coloro che ne seguono le iniziative senza prevenzioni è che il governo dei professori abbia la forza di adottare i provvedimenti che ritenga più opportuni per la Nazione senza farsi condizionare minimamente dalle solite remore di coloro, troppi, che hanno condotto all’impantanamento opponendo riserve e resistenze di ogni genere esclusivamente a difesa dei piccoli orticelli personali.

 

“Come si può governare un paese che ha duecentoquarantasei varietà di formaggio?”

(Charles De Gaulle)

                La situazione che ha segnato l’avvento del Governo tecnico per certi aspetti ricorda, mutatis mutandis, l’esperienza vissuta dalla Francia con l’avvento al potere del Generale De Gaulle.

            Benché osteggiato da chi pretestuosamente temeva per la democrazia, il Generale si valse della fiducia accordatagli per far approvare una nuova Costituzione in grado di arginare la "dittatura parlamentare" che, con il potere di veto di minoranze frazionate e rissose, fino ad allora aveva finito per paralizzare l’esecutivo in una politica caotica  e senza costrutto.

            Riuscì così ad imporre l’elezione a suffragio universale del Presidente della Repubblica ed a prevedere una notevole concentrazione di poteri nelle mani dell'esecutivo (costituito dallo stesso Presidente della Repubblica e dal governo da lui nominato), reputando altrimenti impossibile la governabilità di un paese caratterizzato da fazioni politiche così numerose come per le qualità di formaggio.

            Tutto ciò senza lesioni per la democrazia, come paventavano quelli che all’interesse nazionale anteponevano la coltivazione degli orticelli personali.

            Ovviamente, con l’ordinamento attualmente vigente in Italia, è difficile ipotizzare che un Governo di economisti, per quanto qualificati, possa pervenire anche da noi a risultati siffatti, per i quali il Generale mise in gioco un prestigio di soldato che lo aveva fatto sedere al tavolo dei vincitori dell’ultima guerra mondiale nonostante le disfatte subite dalla Francia e che gli consentì di imporsi anche a livello politico.

            Che però, almeno sul piano economico, anche il Governo tecnico vada avanti senza guardare in faccia a nessuno ed anche a costo di qualche errore è il minimo che ci possiamo attendere, essendo abbastanza chiaro dove debbano essere messe le mani.

           

“E' primo canone dell'arte politica essere franco e fuggire dall'infingimento;

promettere poco e mantenere quel che si è promesso”

(Don Luigi Sturzo)

                Il nuovo Governo ha assicurato che le liberalizzazioni avranno i seguenti effetti:

- Aumento del PIL oltre il 10%;

- Aumento dei consumi oltre l’8%;

- Aumento dei salari reali quasi fino al 12%;

- Aumento degli investimenti del 16%.

Sarà cosi? Auguriamocelo, senza porre limiti alla Provvidenza.

E come farà a raggiungere gli obiettivi? Faccia come crede, purché vi riesca, dato che “meno le persone sanno di come vengono fatte le salsicce e le leggi e meglio dormono la notte”. (Otto von Bismarck).

 

“A che serve arrotare un coltello tutti i giorni, se non lo si usa mai per tagliare?
(Jean Paul Sartre)

                Ovviamente, i severi giudizi che molti riservano alla classe politica della nazione non riguardano i pochi che correttamente interpretano la funzione in termini di servizio ai cittadini.

            Il fatto, però, che l’insofferenza nei loro riguardi registri giornalmente un crescente aumento, fino a fare di ogni erba un fascio, meriterebbe almeno qualche mea culpa in più a qualsiasi livello.

L’insofferenza per la politica, infatti, non riguarda solo i parlamentari ma si estende anche a  presidenti e consiglieri regionali e provinciali, a sindaci, assessori e consiglieri comunali, a presidenti e consiglieri circoscrizionali, ai portaborse dei parlamentari e delle segreterie varie, ai sindacalisti a tempo pieno, ai presidenti e alle assemblee delle comunità montane (anche al livello del mare!), degli innumerevoli consorzi, delle società miste e delle ASL, ai grandi manager delle società controllate dallo Stato retribuiti a milioni di euro e naturalmente pronti a cercare di evitare il paventato tetto dei trecentocinquemila euro all’anno, ai parlamentari europei ed ai loro entourages e alla miriade di altre istituzioni sbocciate come funghi dagli anni ottanta in poi in seguito al progressivo venir meno dei vincoli del centralismo antecedente e dei controlli sulle spese.

Cosa si aspetta a tagliare due terzi di Camera e Senato, la metà dei consiglieri regionali e comunali, ad eliminare le province, ad accorpare i comuni fino a ridurne il numero almeno di un terzo, a  dimezzarne il numero degli assessori ed a mettere fine alle circoscrizioni almeno nei comuni al di sotto del milione di abitanti?

E cosa impedisce di eliminare Consorzi, comunità montane, aziende autonome varie e tanti altri enti minori che esauriscono i loro bilanci per pagare affitti, gettoni, personale, luce e telefono, praticamente senza erogare prestazioni apprezzabili?

E perché legittimare l’assunzione di dirigenti per chiamata anziché per concorso e consentire in pari tempo il ricorso a costosi consulenti privati di cui solo venti anni fa non si avvertiva alcun bisogno?

Tagliare, tagliare ovunque necessario, visto che ormai si è di fronte ad un esercito (anche se il nostro esercito di una volta era molto più piccolo) di politici, o pseudo tali, impegnato in gran parte non a difendere la Patria ma a banchettarvi senza ritegno, se è vero che la politica annovererebbe (secondo confindustria) circa settecentomila unità, tra l’altro assunte quasi sempre senza concorsi, molte “nullafacenti o meglio nullaproducenti” ma tutte lautamente retribuite rispetto a quello che fanno ed alcune addirittura con emolumenti più vicini a una vincita al Superenalotto che a uno stipendio, per quanto elevato.

E la categoria, come sembra, continuerebbe ad ingrossarsi e ad ingrassarsi, detenendo uno dei  rari record  ancora riconosciuti al nostro paese a livello europeo.

Ma l'Italia è davvero così ricca da potersi permettere un simile sperpero?

 

“A proposito di politica... ci sarebbe qualcosa da mangiare?”

(Totò)

Nello scorso mese di agosto, è apparso su internet un menu - trafugato materialmente da qualcuno - con i prezzi praticati nei ristoranti dei senatori e dei deputati:

- pasta al ragù: un euro e 50;

- riso all'inglese: un euro e 60;

- risotto con rombo e fiori di zucca: tre euro e 34 centesimi;

- spaghetti alle alici: un euro e 16 centesimi;

- roast beef: due euro;

- bistecca di manzo o petto di pollo: entrambi due euro e 68 centesimi;

- caffè: 42 centesimi;

- spremuta: 92 centesimi

- filetto di bue o lombata di vitella: 5 euro e 23 centesimi.

Per un pranzo leggero, invece, il ristorante dei deputati offre anche altro:

- verdure al vapore: 2 euro e 62 centesimi;

- crudo di Parma: 2 euro e 17 centesimi;

- ovolina di bufala: 1 euro e 74 centesimi;

- insalate: un euro e 43 centesimi.        

Siccome il prezzo pagato non basta a pagare le spese, è il Senato a doversi fare carico non solo di raddoppiare la cifra corrisposta dai commensali con un esborso di circa 1.200.000 euro all'anno ma anche del periodico rinnovo delle attrezzature e della sostituzione delle stoviglie e delle posate, con stemma senatoriale, sottratte come souvenir.

Così almeno fino alla pubblicazione del menu, quando il Presidente del Senato ha promesso l’adeguamento dei prezzi ai costi effettivi. Ma non avrebbe potuto pensarci prima, come padrone di casa, senza aspettare che fossero altri a segnalargli l’obbrobrio? 

Quasi in contemporanea, altri mezzi di informazione hanno invece fatto sapere che.le Camere Basse di Germania, Francia, Spagna e Inghilterra costano, tutte assieme, meno della nostra Camera dei deputati e che, complessivamente, le nostre spese parlamentari sono le più alte d’Europa.

Come potrebbe essere altrimenti, se l’indennità dei parlamentari italiani è di circa undicimila euro mensili, più diarie e spese varie, mentre nel resto d’Europa si aggirerebbe all’incirca solo su cinquemila euro?

E’ singolare, o no?, se, in un paese in cui molti debbono vivere con pensioni di seicento euro mensili, quelli che li governano, oltre che di indennità del genere, fruiscono gratuitamente anche di saune, barbieri, pedaggi autostradali, libera circolazione su treni e traghetti o su voli nazionali, nonché di rimborsi per i trasferimenti all’aeroporto e per i viaggi all’estero, di assistenza sanitaria integrativa, di libero ingresso nei cinema e nei teatri, di agevolazioni assicurative e bancarie, e così via.

Girando gli occhi da un’altra parte, invece, ci tocca di apprendere che noi abbiamo, come neanche nel paese di Bengodi, parlamentari con pensioni di 5.800 euro (Pecoraro Scanio) o di 5.305 Euro (Diliberto) a cinquantacinque anni di età, stenodattilografi della Camera con stipendi annuali superiori a quello del Presidente della Repubblica, barbieri che arrivano a quattordicimila euro al mese perché - ci viene detto - debbono essere a disposizione dei parlamentari fin dalle sette del mattino, nonché altri dipendenti mediamente con oltre 130.000 euro all’anno.

A proposito di uscieri, invece, qualche anno fa un telegiornale mostrò un giovane laureato che aveva appena vinto due concorsi, uno per addetto di ambasciata e l’altro per usciere della Camera. Naturalmente optò per il posto di usciere, in base allo stipendio.

Se non ricordo male, fu in quell’occasione che Pertini, allora Presidente della Camera, dette le dimissioni a seguito della polemica sollevata da Ugo La Malfa contro gli sprechi dell’amministrazione di quel ramo del parlamento, salvo poi ritirarle giustificando di fatto le cose come stavano. Al Presidente Pertini replicò però Indro Montanelli, ricordandogli rispettosamente ma senza mezzi termini che”gli usci sono sempre usci, sia alla camera come in comune” e ribadendo con ciò la scandalosità del trattamento evidenziata da La Malfa.

Di fronte ad elargizioni del genere, evidentemente, non può meravigliare che il  Governatore di Banca d'Italia percepisca uno stipendio doppio o triplo rispetto a quelli di tutti gli altri governatori europei e addirittura  quadruplo rispetto al Governatore della FED americana, anche se è impossibile capirne le ragioni.

 

Liberalizzazioni: avanti a tutta!

“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”

(Winston Churchill)

                E’ bastato l’annuncio da parte del Governo tecnico del proposito di ricorrere alla  liberalizzazione di talune attività  per  scatenare l’inferno.

                I primi provvedimenti che il Governo tecnico sta adottando a getto continuo, da cui non solo il Governo ma anche i lavoratori dipendenti e i meno abbienti si attendono molto, meritano almeno che se ne verifichino gli effetti, non prestandosi in generale a rilievi di fondo pur senza escludere che tutto possa essere comunque migliorabile.

            Pur comprendendo, per certi aspetti, le resistenze di chi le “liberalizzazioni” le avversa “a priori”, è impossibile negare come lo sfruttamento da padre in figlio di determinate professioni, di certi servizi o di beni pubblici sottratti alla fruizione della generalità dei cittadini abbiano superato ogni misura ormai da gran tempo, limitando la libertà di iniziativa e la concorrenza indispensabili per qualsiasi progresso.

            Con tutta la benevolenza possibile, se è già difficile concepire che i posti di notaio vadano in genere ai figli di notai anche in forza dei particolari requisiti richiesti, come si fa ad essere d’accordo sul fatto che lo sfruttamento di un bene demaniale come la spiaggia del mare o una licenza di taxi possano essere trasmessi in eredità o addirittura venduti a terzi?  E come si fa a non rendersi conto che concessioni rilasciate per la durata di novanta anni tagliano fuori da certe attività intere generazioni, almeno fino a quando la durata della vita dell’uomo resti quella attuale?

            I taxisti, invece, rivendicherebbero il diritto di ricavare dalla commerciabilità o dalla trasmissibilità del titolo la liquidazione di fine lavoro alla stregua dei lavoratori dipendenti, dimenticando però che la  liquidazione riconosciuta a questi ultimi è costituita semplicemente dalle trattenute sugli stipendi patite fino alla pensione. Vero è che non può essere stata né sarà la categoria dei taxisti a rovinare il paese ma è in linea di principio che la pretesa non regge.

            Se anche oggi il Presidente Napolitano si è lamentato delle troppe resistenze opposte alle modernizzazioni perseguite dal Governo, evidentemente è difficile far comprendere a tutti che certe impostazioni non possano aver più credito.

La lista delle liberalizzazioni ipotizzabili sarebbe talmente lunga da imporre che se ne lasci l’individuazione al Governo tecnico, con la speranza che riesca ad avere la meglio su tutti i bastoni che  amici e nemici non mancheranno di mettergli tra le ruote.

            E, quindi, “una volta deciso che la cosa può e deve essere fatta, bisogna solo trovare il modo (Abraham Lincoln).

 

“Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti”

(Ettore Petrolini)

“Molto spesso, col cambiare del governo, per i poveri cambia solo il nome del padrone”

(Fedro)

Riguardo ai primi provvedimenti adottati dal nuovo governo, mi spiace di non poter condividere in alcun modo la reintroduzione dell’ICI (ora IMU) sulla prima casa, per ragioni di principio.

.              Anche se probabilmente non sarà l’IMU a mettere alla fame la popolazione, tassare la prima casa è come ammettere che si possa tassare l’aria, trattandosi di beni ugualmente indispensabili per la sussistenza in vita.

            E dunque, se cosi è, come è pensabile andare a chiedere a chi abbia redditi da mille euro al mese anche un solo euro per il possesso di una casa fino a cento metri quadrati anziché chiederne centomila a chi ne guadagni trecentomila all’anno?

            Quali responsabilità possono avere i cittadini con redditi fino a mille euro al mese per il disastro economico in cui ci stiamo dibattendo? Quali cariche politiche possono aver mai ricoperto per essere considerati corresponsabili del fallimento? E quali speculazioni in borsa possono avere fatto? Quando una fabbrica fallisce, si chiamano forse i dipendenti a risarcire i creditori?

            Dagli anni sessanta ad oggi sono o non sono stati i politici e gli esperti, gente di certo non da mille euro al mese, a divulgare l’idea che il perseguimento del pareggio di bilancio dello Stato era non solo sbagliata ma addirittura reazionaria e che il disavanzo programmato garantiva lo sviluppo?

            Cosa quindi c’entra. nel disastro chi ha la sola colpa di essersi levato il pane di bocca per dotarsi di una modesta abitazione senza pretenderla dallo Stato come fanno alcune categorie che da generazioni non si pongono neppure il problema  di farsela da sé?

 

Il Paese degli sprechi: l’Italia

“Vedere ciò che è giusto e non farlo è mancanza di coraggio”

  (Confucio)

Se la televisione ha un merito è sicuramente quello di mostrare quasi ogni sera, nei servizi di “Striscia la notizia”, gli sperperi di denaro pubblico rintracciabili in ogni parte del territorio.

Come si fa a non inorridire davanti allo spettacolo di ospedali, palazzetti dello sport, parcheggi sotterranei da migliaia di posti, carceri, scuole,  porti, chilometri di strade, campi da tennis, caserme dei carabinieri, fabbricati di edilizia popolare ed altre simili opere, tutte realizzate con denaro pubblico, lasciate da anni in balia dei vandali poco prima della loro ultimazione o addirittura anche a lavori finiti, per esaurimento dei fondi o per beghe di altra natura o, cose da pazzi, per una diversa visione delle cose da parte dell’amministrazione locale subentrata a chi aveva iniziato le opere?

E che dire di quel comune che ha dirottato settecentocinquantamila euro, ricevuti ad altro fine dall’UE, per pagare il concerto di un cantante straniero, ad ingresso libero!

La storia, poi, che la Campania, sebbene da anni la regione figuri tra le ultime posizioni nella graduatoria nazionale per la produzione pro capite di rifiuti con circa 450 kg/anno a fronte di una media nazionale di 521 kg., si riduca a dover trasportare la spazzatura in nave in Spagna, in Svezia e in Olanda, è una cosa normale?

Chi è nato negli anni quaranta del secolo scorso ricorderà come nel dopoguerra il fenomeno dell’immondizia domestica fosse pressoché inesistente.

Ancora di là da venire la plastica ed il polistirolo, praticamente assenti i detersivi e gli elettrodomestici, i residui dei magri consumi di allora erano costituiti praticamente solo da carta gialla, carta oleata,  vetro e celluloide e da qualche  avanzo della cucina e dei pasti.

Al di fuori del vetro, che a differenza di oggi veniva generalmente conservato e riutilizzato, e della poca celluloide utilizzata per qualche “bambolotto”, lo smaltimento dei restanti rifiuti non presentava problemi, dato che carta e cartone erano destinati a degradarsi spontaneamente in brevissimo tempo e che parte dei residui alimentari erano dati in pasto a polli e maiali (crusca e bucce di cocomero e melone) o ai cani (ossi)  e che i restanti venivano spesso semplicemente interrati per la concimazione dei piccoli orti familiari.

La tragedia della spazzatura napoletana, che non può essere liquidata attribuendone la colpa ai soliti Borboni, fuori gioco ormai da un secolo e mezzo, è dunque una vicenda interamente dei nostri giorni.

Possibile, allora, che nessuno abbia la colpa di una tale vergogna e che nessuno trovi almeno i rimedi per  evitare che i suoi costi debbano essere pagati anche da chi non c’entra niente?

E che dire dell’acquisto di centinaia di autovetture estere (perché estere?), attrezzate con le insegne dei carabinieri e lasciate ad arrugginire in un deposito all’aperto?

E’ vero che anche Guglielmo Marconi, per brevettare il suo telegrafo, dovette andarsene in Inghilterra non avendo trovato in patria nessuno disponibile a finanziarlo.

Ma che uno Stato compri all’estero automobili già disponibili nelle sue fabbriche è una cosa che potrebbe essere comprensibile solo il giorno in cui i taxi di Londra fossero forniti dalla Fiat. Diversamente, chiunque è autorizzato almeno a chiedersi: ma cosa c’è sotto?

Siccome basta girare gli occhi da qualunque parte per trovarvi degli sprechi, lascio a chi legge di individuare da sé quanti ve ne siano, da anni.

Un cenno va però dedicato ai contributi statali erogati a pioggia a favore di film realizzati da registi che non sono registi (vedi Marina Ripa di Meana) e che non hanno avuto nemmeno la ventura di essere proiettati in una sala di terz’ordine o quelli per rappresentazioni teatrali regolarmente bocciate dal pubblico.

Vittorio Gassman, ai suoi tempi, si dichiarava apertamente contrario a tali contributi, sostenendo che per chi meritava era sufficiente il pubblico pagante.

Ovviamente, restò una voce nel deserto.

 

“Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile.

E all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile”

(San Francesco d'Assisi - patrono d'Italia)

E anche la Chiesa cattolica non dovrebbe pagare qualche tassa in più per le attività economiche che svolge?

Qualcuno parla di quattro miliardi di evasione. Io non so quanto il dato sia fondato.

So, però, che basta andare in qualche santuario per constatare come il commercio vi sia svolto.

 

La RAI

“C'è di tutto: mantenute, raccomandati, epurati, miracolati.

 È come l'annuario del Censis: ci si possono leggere tutti i fenomeni sociali.

Alcuni da baraccone”

(Enrico Mentana)

                Anche quest’anno ho pagato il canone RAI ma solo nell’ultimo giorno indicato per provvedervi, il trentuno di gennaio, riuscendo a superare la voglia di evaderlo solo per non valorizzare gli evasori. Ma è stato un sacrificio, e non per l’importo.

            Se fosse consentito, mi “staccherei” subito dalla TV di Stato di cui, oggi, praticamente guardo solo l’ultima mezz’ora del giochino condotto da Carlo Conti dalla diciannove alle venti sul primo canale ed i cinque minuti di Radio Londra di Giuliano Ferrara (alle venti e trenta), che mi costano l’intero canone.

            Sulla Rai Enrico Vaime una volta ha dichiarato: “sono entrato in Rai 46 anni fa, con un concorso pubblico. Entrarono con me Liliana Cavani, Giuliana Berlinguer, Francesca Sanvitale, Carlo Fuscagni, Giovanni Mariotti, Leardo Castellani. A quel punto hanno capito che era rischioso e non ne hanno fatti più”.

            Concorsi non ne sono stati fatti più ma, se la TV di Stato oggi annovera ugualmente mille e trecento dipendenti, qualcuno dovrebbe avvertire almeno il dovere di farci sapere con quali criteri siano stati assunti, anche se temo di intuirli, e  con quali parametri vengano retribuiti.

Apprendere che un telecronista sportivo, tra l’altro anche uggioso, percepisce qualcosa in più di seicentomila euro all’anno, cioè il canone pagato da più di cinquemila utenti, non basterebbe per arrivare finalmente alla soppressione del canone, di cui tra l’altro in una intera regione del sud si dice che l’introito complessivo sia inferiore a quello della sola provincia di Siena?

            Come si fa a chiamare in una televisione di Stato - ad insegnarci a tutte le ore come si deve stare al mondo - personaggi come quelli citati da Mentana o ad erogare da anni denaro pubblico ad un individuo che pretenderebbe di poterci svelare giornalmente cosa accadrà tra tre mesi a tutti quelli nati in gennaio sulla sola base del fatto che gli oroscopi  sarebbero credibili perché presenti su tutti i giornali?

            Facendo a meno di  mantenute, raccomandati. epurati o miracolati, tra i quali c’è anche chi non ha avuto ritegno a dichiarare di vivere con i soldi della RAI in un attico con vista sul Colosseo, davvero non si potrebbe sopprimere l’odioso canone?

            E se così non fosse, per evitare che il canone sia eluso dai soliti noti e pagato dai soliti fessi, non sarebbe il caso - per esigenze di equità – di pretenderlo indistintamente da tutti i titolari di contratti ENEL?

Sui conduttori, poi, salvo quei soliti pochi che francamente sanno fare il loro mestiere in alcune trasmissioni discutibili - semmai - solo per la scelta dei temi, la cosa migliore è quella di stendere un velo pietoso, se non altro per gli stravolgimenti della lingua italiana a cui fanno assistere.

Nanni Loy, il grande regista che nel programma “Specchio segreto” del 1965 ebbe un grande successo con una scenetta, intitolata “La zuppetta”, in cui, fingendosi un ingenuo cliente di un bar di Bologna, inzuppava il proprio cornetto nei cappuccini altrui suscitandone reazioni di straordinaria comicità riprese da una telecamera nascosta, oggi dovrebbe cambiare il titolo del suo sketch, dato che in RAI il verbo “inzuppare” sembra che non esista più, sostituito dal verbo “pucciare” forse conosciuto in qualche regione del nord ma che nel “bel paese là dove 'l sì suona" potrebbe far pensare a qualcosa di assai meno innocente dell’inzuppare.

            La stessa sorte, chissà perché,  sembra debba toccare al verbo “cuocere”. In RAI il cuoco che ha preparato un piatto lo mette in forno non a cuocere ma “a cucinare”. E’ vero che “cucinare” vuol dire “preparare il cibo e cuocerlo” ma nel “bel paese” di cui sopra la preparazione è sempre consistita finora nel “cucinare” e la cottura nel “cuocere”. O no?

            Che dire, infine, dei settecentocinquantamila euro promessi a scatola chiusa ad un cantante (bravissimo, come tale) non per cantare ma per una esternazione (con sgradevoli precedenti) di sconosciuta natura al festival di Sanremo o dei seicentotrentamilamila euro ipotizzati per ex calciatori palesemente negati per il ballo ingaggiati - guarda caso -  proprio per ballare in televisione e in un momento in cui l’approvazione del budget 2012, come annunciato in una nota di viale Mazzini, “prevede una perdita consolidata di 16 milioni di euro”?

            Alla faccia della sobrietà!

 

“Lo Stato non è la soluzione ai nostri problemi. Lo Stato è il problema”

(Ronald Reagan)

A forza di compromessi sotterranei tra schieramenti  solo in apparenza inconciliabili, l’Italia è arrivata ad avere la classe politica non solo più numerosa e più costosa d'Europa ma anche la meno efficiente, costretta a cedere le leve del comando ad un gruppo di tecnici probabilmente capaci ma non eletti da nessuno.

Di fatto, la politica lascia in eredità un paese con l’industria costretta a trasferire all’estero molti centri di produzione per salvaguardare la competitività, senza innovazioni in tema di energia (centrali nucleari), ridotta ad abbattere le proprie mucche e ad importare il latte dall’Olanda o a disfarsi degli agrumi del sud per farli venire dalla Spagna, a spostare nei paesi dell’Est la produzione delle nostre automobili, a far inondare i mercati rionali da prodotti cinesi, a dover traghettare la spazzatura in Svezia e in Olanda e addirittura a far venire dall’Olanda i tecnici occorrenti per rimuovere la carcassa della nave incagliatasi di fronte all’isola del Giglio, senza neppure il minimo scatto di orgoglio.

Una volta, la fuga dalle responsabilità comportava per qualcuno conseguenze tragiche, che nessuno per fortuna pretende più.

Ma che nessuno, proprio nessuno al di fuori della compagine governativa, si sia neppure posta la eventualità di lasciare spontaneamente la poltrona occupata e di rinunciare ai suoi privilegi la dice lunga sulla qualità della politica attuale, come se niente sia successo.

"C'è un problema di moralizzazione della vita pubblica che deve essere affrontato con serietà e con rigore, senza infingimenti, ipocrisie, ingiustizie, processi sommari e grida spagnolesche. E' tornato alla ribalta, in modo devastante, il problema del finanziamento dei Partiti, meglio del finanziamento del sistema politico nel suo complesso, delle sue degenerazioni, degli abusi che si compiono in suo nome, delle illegalità che si verificano da tempo, forse da tempo immemorabile. Bisogna innanzitutto dire la verità delle cose e non nascondersi dietro nobili e altisonanti parole di circostanza che molto spesso e in certi casi hanno tutto il sapore della menzogna.

Si è diffusa nel paese, nella vita delle istituzioni e della pubblica amministrazione, una rete di corruttele grandi e piccole che segnalano uno stato di crescente degrado della vita pubblica, uno stato di cose che suscita la più viva indignazione, legittimando un vero e proprio allarme sociale, ponendo l'urgenza di una rete di contrasto che riesca ad operare con rapidità e con efficacia”.

Non credo che ci sia nessuno in quest'aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo”.

Questo diceva Craxi nel 1992, vent’anni fa, quando egli era “il male assoluto”. Ma nessuno si alzò.

Evidentemente, “il male che gli uomini fanno sopravvive loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa e così sia di Cesare”. (Discorso di Marco Antonio dal "Giulio Cesare" - Atto III° Scena II° - Shakespeare).

Ma c’è ancora qualcuno che possa sostenere che Bettino, e solo lui, fosse davvero “il male assoluto”, di fronte a tredici milioni di euro di contributi elettorali scomparsi oggi dalle casse di un partito senza che nessuno - possibile ? - se ne sia accorto per anni?.

 

“Con cattive leggi e buoni funzionari si può pur sempre governare.

 Ma con cattivi funzionari le buone leggi non servono a niente”

(Otto von Bismarck)

Churchill sosteneva a suo tempo che “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”.

Oggi l’opinione del grande statista può essere estesa al “concorso”, che probabilmente è il peggior metodo di selezione del personale, eccezion fatta per tutti gli altri sistemi sperimentati finora.

Ciò nonostante, in Italia, il ricorso a tale forma di selezione è largamente disatteso, specialmente per la dirigenza,  anche se l’articolo 97 della Costituzione stabilisce che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

La ragione è agevolmente intuibile.

Il personale assunto tramite concorso, infatti, è naturalmente meno “manovrabile” del soggetto assunto per chiamata in quanto, non avendo obblighi di riconoscenza per nessuno e disponendo della preparazione occorrente per lo svolgimento delle mansioni richieste dal posto occupato, non è “ricattabile”.

Ai vincitori di concorso, perciò, certi amministratori preferiscono sempre più spesso “volti amici”, con nomine sul campo di chiara impronta politica e retribuzioni a piacimento assolutamente ingiustificate, dato che  la pubblica amministrazione non ha bisogno di geni ma semplicemente di persone per bene con i requisiti richiesti dai posti occupati.

 E così accade invece che segretari comunali vincitori di concorso, e come tali adeguatamente preparati, siano lasciati a casa a duemilaseicento euro al mese senza far niente, semplicemente per il “non gradimento” dei sindaci nei loro riguardi.

 

“Che mortificazione.. chiedere a chi ha il potere di riformare il potere! Che ingenuità!”
(Giordano Bruno)

Quando ho detto che i procedimenti usati dalla Chiesa non erano quelli degli Apostoli, poiché oggi si usa la forza e non l’amore… quando ho detto questo, non avevo torto.

 Ho sbagliato quando ho creduto di chiedere proprio a Voi, di condannare un sistema di arbitrio, di sopraffazione, di violenza…..che mortificazione.....chiedere a chi ha il potere di riformare il potere! Che ingenuità!”. (Giordano Bruno)

Che mortificazione anche per noi, oggi, dover chiedere ai membri di un Parlamento, che ha ridotto il paese nelle condizioni in cui si trova, di rinunciare con immediatezza ai privilegi da basso impero ed a pregarlo almeno di non mettere i bastoni tra le ruote ad un manipolo di non eletti chiamati a rimetterlo in carreggiata!

 

“Molti dei nostri uomini politici sono degli incapaci. I restanti sono capaci di tutto”
(Boris Makaresko, attore-autore russo- milanese )

Nello stato in cui.. la Nazione... si trova, quasi ovunque regna il disordine, non c'è posto per l'onestà, e le persone oneste ci vivono, per così dire, come in un paese straniero”. (Damien Mitton  - Scrittore francese)

Non abbiamo bisogno di chissà quali grandi cose o chissà quali grandi uomini. Abbiamo solo bisogno di più gente onesta”. (Benedetto Croce)

Non può essere veramente onesto ciò che non è anche giusto. (Marco Tullio Cicerone)

 

“Non chiedetevi cosa può fare il vostro paese per voi.

Chiedetevi che cosa potete fare voi per il vostro paese”

(John Fitzgerald Kennedy)

                Cosa può fare un cittadino qualsiasi di fronte alla crisi in atto, se non augurarsi che il Governo tecnico, ricordando che gli estremi rimedi sono i più appropriati per i mali estremi e che “se una libera società non può aiutare i molti che sono poveri, non dovrebbe salvare i pochi che sono ricchi”. (John Fitzgerald Kennedy),  riesca a fare quello che quasi mille parlamentari superpagati non sono riusciti neppure ad avviare?

 

“Molte lauree, molti diplomi, non fanno dell'Italia un paese di cultura”
(Corrado Alvaro)

            Secondo dati Cresme recenti, in Italia ci sono 146 mila architetti contro i 90 mila tedeschi, i 32 mila spagnoli, i 30 mila inglesi, i 27 mila francesi. In Europa, quasi un terzo degli architetti (29,3%) è italiano. In sostanza, da noi c' è un architetto ogni 500 abitanti mentre in Gran Bretagna ce n' è uno ogni 7400 abitanti; in Francia uno ogni 3200 e in Olanda uno ogni 2040. A Roma ogni anno se ne aggiungono 700 in più.

Da un’altra parte ci si dice che abbiamo “troppi laureati sottoccupati”, che “solo uno su tre riesce a trovare un lavoro adeguato al titolo di studio” e che “il 32% è impiegato in attività che richiedono solo il diploma”.

            Accade così che molti dottori si ritrovino con una scopa in mano a spazzare le strade, davanti al telefono di un call center, a distribuire multe su un autobus, a strappare biglietti davanti a un museo, a fare i metronotte con la laurea in sociologia  od a vendere panini al McDonald's.

                Intanto, mentre i pomodori marcirebbero nei campi senza gli extracomunitari, diventa sempre più difficile trovare un idraulico che costi meno di un architetto.

Evidentemente, qualcosa non va come dovrebbe nel rapporto tra scuola e lavoro.

Cosa fare per modificare una situazione così preoccupante?

Non saprei. Ma chi meglio dei Professori oggi al Governo può far sperare in qualcosa di più delle tante chiacchiere insulse sentite per anni?

                 

 

Lucca 15 febbraio 2012                     

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