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Decisione della Consulta sul referendum elettorale: una scelta che profuma di politica

di Paolo Razzuoli

Sono fra coloro che con l'ex PM ed attuale Parlamentare Antonio Di Pietro, non hanno niente in comune.
Nulla ho mai condiviso nella sua storia, ne' quando era il magistrato al centro dell'attenzione del Paese, coccolato da giornali e tv, ne' da quando ha inserito nell'agone politico nazionale una buona dose di gretto e a volte volgare populismo.

Nel prendere le distanze dalle volgari insinuazioni a cui si e' lasciato andare dopo la decisione della Corte Costituzionale con cui ha dichiarato inammissibili i referendum elettorali, non posso tuttavianon condividere l'impressione che la pronuncia della Consulta sia stata fortemente condizionata da valutazioni di ordine politico.

Intendiamoci bene. Non penso a nessun regime, ad altre derive antidemocratiche, o a favori ad alte cariche dello Stato: esternazioni da cui prendo le distanze nella maniera piu' netta.
Penso tuttavia che alla decisione della Consulta non sia rimasta estranea la carica di potenziale destabilizzazione dell'attuale scenario politico, presente in referendum dagli esiti sostanzialmente scontati.

L'ondivago atteggiamento della Corte Costituzionale rispetto ai referendum, offre una giustificazione tecnica alla decisione: meglio lo capiremo leggendo le motivazioni.
E' comunque un dato di fatto che moltissimi illustri costituzionalisti, firmatari di un appello in favore del referendum, hanno motivato la loro posizione adducendo argomentazioni tecniche, nonche' illustri precedenti, quale ad esempio il referendum del 1993.

Un contesto nel quale ci stanno valutazioni politiche, valutazioni nobili, ma pur sempre valutazioni politiche estranee ad un organismo di garanzia costituzionale, che deve agire solo sulla base di motivazioni tecnico-giuridiche.
Il Governo Monti si trova ad affrontare la situazione particolarmente complessa che tutti conosciamo, cosi' come conosciamo la delicatezza del quadro politico-parlamentare che lo sostiene. Importanti prove lo attendono: i provvedimenti all'orizzonte non saranno facili da far accettare al Paese e ad una classe politica fortemente condizionata dalle lobbyes e dalle corporazioni. Un equilibrio sottile che potrebbe rompersi ad ogni momento, e che sarebbe messo sicuramente a dura prova dalla necessita' di trovare una sintesi politica su un tema tanto rilevante qual e' la legge elettorale: legge che tutti, o quasi, dicono di voler cambiare, ma che ciascuno vuole poi piegare ai suoi interessi strategici ed alla sua visione, non sacrificabili a quella degli altri. Lo attesta la profonda divergenza fra coloro che auspicano il ritorno al proporzionale e coloro che invece auspicano un sistema a forte tinteggiatura maggioritaria.

La caduta del referendum consente di prendere tempo e, ove necessario, di accantonare per il momento il problema.
Naturalmente ora le principali forze in campo dichiarano che e' comunque necessaria la revisione della legge elettorale: nessuno - o quasi - ha ormai piu' il coraggio di sostenere la bonta' di una norma che ha prodotto un parlamento di nominati.
Ma quando dalle buone intenzioni si passera' a qualche prova concreta, quando i contrasti si faranno sentire, quando sara' chiara la fatica della sintesi, quando alle forze che sostengono il Governo Monti sara' chiara la consapevolezza della forza devastante di un contrasto su un tema tanto delicato, quando i ricatti di settori del Parlamento faranno sentire la loro voce, si accantonera' il problema, magari in nome delle emergenze del Paese. Insomma altro sara' l'ordine del giorno dell'agenda politica e, con ogni probabilita', si tornera' alle urne con l'attuale normativa.

Un'altra occasione persa dalla politica per risalire la china e per tentare di ricucire quello iato che oggi la separa dal Paese.

La Consulta, mentre ha disinnescato una mina vagante, ha consentito di fatto alla politica di derubricare un tema di vitale importanza per la democrazia del Paese.

Naturalmente molti dicono oggi di voler proseguire la battaglia. E' certo che la vicenda non si chiude con la pronuncia della Corte Costituzionale del 12 gennaio 2012.
E' pero' altrettanto certo, a mio modo di vedere, che la nuova legge elettorale, una delle emergenze del Paese, non vedra' la luce in tempi brevi.

Propongo, ad utile integrazione ed argomentazione delle mie riflessioni, uno stralcio di un contributo apparso sul Corriere della Sera.

» I firmatari dell'appello dei 115, I costituzionalisti a favore dei quesiti: «Non ci fermiamo"

«Persa una battaglia non ci arrendiamo». È questo l'atteggiamento dei principali firmatari dell'appello che 115 costituzionalisti hanno fatto all'inizio di gennaio perché la Consulta ammettesse i quesiti referendari. Non solo tutti rifirmerebbero l'appello, ma se fossero stati loro a decidere avrebbero dato il via libera ai quesiti.

Andrea Marrone dell'Università di Bologna si accalora: «Leggerò la motivazione, naturalmente, ma come ho documentato in un libro del Mulino scritto assieme ad Augusto Barbera («La Repubblica dei referendum») non c'è niente di più ondivago della giurisprudenza della Consulta in materia di referendum: quindi non ci si può riparare dietro il precedente. Lo stesso identico quesito nel '91 venne bocciato, e, cambiato il clima politico, nel '93 venne ammesso, quindi... Dal punto di vista scientifico entrambe le soluzioni erano possibili».
L'ex presidente della Corte, Valerio Onida (anche lui tra i firmatari), se fosse ancora un giudice costituzionale, con sicurezza avrebbe votato per l'ammissibilità dei referendum («Certamente», dice). Anche perché proprio in base al principio stabilito dalla Consulta (cioè che si deve evitare il vuoto legislativo) giudica «irragionevole ritenere impossibile la reviviscenza della legge precedente a quella che viene abrogata». Cioè, secondo Onida, «è irragionevole che l'assenza del vuoto legislativo sia possibile solo a seguito dell'esito casuale del gioco di ritaglio operato dal quesito sulla legge in vigore».
Anche Luca Antonini, ordinario a Padova, non è affatto pentito. Anzi, introduce un altro elemento importante di valutazione: «Deve essere chiaro anche alla Corte, soprattutto in un momento di crisi come questo, che vale ancora di più il principio invocato dai coloni americani "No taxation without representation". Oggi con il Porcellum invece abbiamo molta taxation senza representation».
Giovanni Guzzetta, docente a Tor Vergata, afferma: «La sentenza non mi scandalizza ma mi delude, anche se naturalmente i toni del nostro dibattito accademico sono ben diversi da quelli che i leader dei partiti esprimono sul piano politico».
Anche per Edoardo Tommaso Frosini, docente al Suor Orsola Benincasa, «non si possono invocare i precedenti e la dottrina, perché non siamo in un sistema di common lavo».

M.Antonìetta Calabro'
(da Il Corriere della Sera - 13 gennaio 2012)

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