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Attesa in settimana la pronuncia della Corte Costituzionale:  Un referendum, due tesi errate

di Angelo Panebianco

Domani 9 gennaio la Corte costituzionale comincerà a discutere (la sentenza è attesa in settimana) sull’ammissibilità del referendum elettorale. È un referendum che ha lo scopo di abrogare l’attuale legge e di ripristinare quella precedentemente in vigore, vale a dire il sistema maggioritario, con collegi uninominali, corretto da una quota proporzionale, con cui abbiamo votato in tre elezioni generali: 1994, 1996, 2001.

In punto di diritto non sembrerebbero esserci ostacoli alla ammissibilità. Così sostiene il manifesto firmato pochi giorni fa da 111 costituzionalisti, che rappresentano la schiacciante maggioranza dei titolari di cattedra di diritto costituzionale e di diritto pubblico.

Cliccare qui per il testo del manifesto

Coloro che temono il referendum, e pertanto si augurano che la Corte dichiari la non ammissibilità del quesito, hanno messo in circolazione due argomenti di cui è facile constatare la fragilità.
Il primo è quello secondo cui, se la Corte si pronunciasse per l’ammissibilità e gli italiani votassero l’abrogazione della legge elettorale in vigore, ne verrebbe fuori un vuoto legislativo, ci troveremmo senza legge elettorale. È falso. Sarebbe come dire che se nel 1974 gli avversari del divorzio avessero vinto il referendum abrogativo, non avremmo più avuto un matrimonio regolato per legge, ci saremmo ritrovati nella Repubblica del libero amore. Naturalmente no (per fortuna o per sfortuna). Se fosse stata cancellata la legge istitutiva del divorzio ne sarebbe automaticamente seguito il ripristino della legge precedente. Punto e basta. E così accadrebbe anche se gli italiani scegliessero di abrogare l’attuale legge elettorale.

Il secondo argomento inconsistente riguarda la presunta destabilizzazione del quadro politico (del governo Monti) che si produrrebbe nel caso la Corte dichiarasse il referendum ammissibile: i partiti, così si dice, piuttosto che affrontare il referendum, manderebbero a gambe all’aria il governo e porterebbero subito il Paese alle elezioni anticipate. Neppure questa tesi sta in piedi e non importa se viene sostenuta da tanti: una sciocchezza non cessa di essere tale solo perché continuamente ripetuta.

La durata e la stabilità del governo Monti non hanno nulla a che fare con la questione del referendum. Si tratta di un governo del Presidente nato per fronteggiare l’emergenza euro. Durerà fin quando durerà l’emergenza: tre mesi, sei mesi, un anno, o quel che è. Difficilmente il governo Monti potrebbe arrivare alla scadenza naturale della legislatura nel caso in cui, per qualche miracolo, la crisi dei debiti sovrani fosse risolta con largo anticipo rispetto a quella data. È parimenti impossibile che esso cada con quella crisi ancora in corso.

Va anche aggiunto che se i partiti volessero abbattere il governo solo per evitare il referendum, con una emergenza-euro non ancora risolta, dovrebbero vedersela col capo dello Stato. Con ben poche chance di ottenere le elezioni anticipate. Insomma, è all’andamento delle aste dei nostri titoli di Stato, alle decisioni che prenderà o non prenderà l’Europa, e all’andamento dell’economia nazionale e internazionale nei prossimi mesi, non certo al referendum, che bisognerà guardare per capire quanto durerà il governo. Il referendum potrà incidere solo sulle regole del gioco con cui si andrà a votare, quando si andrà a votare. Se venisse ammesso, e se poi gli italiani si pronunciassero a maggioranza contro la vigente legge elettorale, voteremmo in elezioni generali con un sistema prevalentemente maggioritario. Se non venisse ammesso, i partiti troverebbero il modo di rivedere l’attuale legge in senso proporzionale.

Alla fin fine, la principale posta in gioco riguarderà il ripristino o meno dei collegi uninominali. Le dirigenze dei partiti non apprezzano il collegio uninominale. Pensano che renda i parlamentari così eletti poco docili e poco controllabili. Sarà questo il vero tema della riforma elettorale.

(da Il Corriere della sera - 8 gennaio 2012)

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