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Alcune riflessioni attorno al Capodanno 2012.

di Paolo Razzuoli

Il nuovo anno si affaccia alla storia su uno scenario estremamente complesso e carico di incognite.
Se la storia dell'umanita' puo' essere raffigurata come una carovana in viaggio, il tempo che viviamo e' certamente un tratto molto insidioso di esso. La nostra carovana, metafora dell'umanita', si trova a viaggiare nella nebbia piu' fitta. Rischia quindi di smarrire la via maestra e di immettersi in percorsi pericolosi ed impervi, che possono condurre a destinazioni pericolose e deltutto diverse da quelle desiderate. Occorre quindi che i nostri carovanieri sappiano con grande precisione il percorso e che siano molto accorti a non perdersi nella nebbia.
Fuor di metafora, un percorso che richiede alla classe politica capacita' di analisi, lungimiranza, intelligenza nel saper costruire strategie e soluzioni all'altezza dell'epoca che viviamo.
Un'epoca certamente molto diversa da qualsiasi altra che la storia ha visto, un'epoca in cui e' in atto una vera e propria rivoluzione, che sta radicalmente trasformando la vita sul nostro pianeta.

L'abbattimento delle distanze, le nuove frontiere della comunicazione, il web, un'economia ormai globalizzata, la sempre maggior interdipendenza degli Stati, sono forse i piu' paradigmatici segni del tempo che viviamo, i tratti distintivi della rivoluzione antropica in cui siamo immersi.

Il 2012 si apre in uno scenario di crisi, ereditato dagli anni precedenti, che si presenta con particolare gravita' e che rende incerto il futuro di centinaia di milioni di persone.
Una crisi che, a mio modo di vedere (ma in cio' sono in consistente e qualificata compagnia), affonda le proprie radici in un modello di sviluppo che non ha saputo prevedere le conseguenze dei mezzi che esso stesso ha messo in campo, e non ha altresi' saputo governare i processi che da esso direttamente derivano.

Benedetto XVI, nel Messaggio per la Giornata della pace 2012 scrive:
"È vero che nell’anno che termina è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’economia; una crisi le cui radici sono anzitutto culturali e antropologiche. Sembra quasi che una coltre di oscurità sia scesa sul nostro tempo e non permetta di vedere con chiarezza la luce del giorno".

Riprendendo il discorso, penso in primo luogo alla necessita' di nuove regole nel governo della finanza. Non e' possibile che poche persone possano di fatto decidere i destini di centinaia di milioni di uomini e donne. Certo in un'economia liberale il ruolo dei mercati e' insostituibile. Ma oggi, nello scenario dell'economia globalizzata e in un contesto di assenza totale di qualsiasi etica negli affari, le regole sin qui adottate si sono rivelate sostanzialmente utili solo ai grandi flussi di speculazione finanziaria internazionale.
Molti sono gli apelli che da piu' parti si levano per denunciare questa situazione. Appelli che provengono sia da versanti religiosi che da parte laica. Appelli che sollecitano l'umanita' ad una revisione sostanziale dei modelli economici dominanti, recuperando a pieno valori quali la solidarieta', una maggior equita' nella distribuzione della ricchezza, una rinnovata attenzione alle tante sacche di poverta' e di sottosviluppo ancora presenti sulla terra, una dimensione etica nella gestione dei grandi flussi finanziari.

Sono fra coloro, e sono tanti, che ritengono che il superamento dell'attuale crisi non potra' avvenire se non con l'attivazione di un profondo ripensamento dei meccanismi che oggi governano l'economia e dei tratti paradigmatici dell'attuale modello di sviluppo.

Sono temi di grande complessita' e che richiedono strumenti di elaborazione politico-culturale straordinaria, che vadano ben al di la' di certe analisi stantie e predicatorie provenienti da certa cultura progressista da salotto.
Quella cultura, ad esempio, che predica la sobrieta' e la liberazione dal consumismo, e che poi si allarma perche' in occasione dell'ultimo Natale si e' registrata una caduta dei consumi attorno al 20%.

Ma una certa schizzofrenia di posizioni e' assai frequente oggi.
C'e' bisogno di ben altro e non servono scorciatoie ne' facili ricette.
Molti sono ormai i segnali di insofferenza: fra tutti cito il diffondersi dei cosiddetti "indignados", che manifestano ormai nelle piazze di ogni Paese democratico e non solo.
Segnali che la politica deve saper interpretare, nella consapevolezza che un mondo cosi' nuovo non puo' essere governato con gli "arnesi" che servivano solo pochi decenni or sono.

IL mondo Occidentale si e' mostrato impreparato ad affrontare un contesto economico che ormai ha visto lo spostamento del baricentro dello sviluppo verso Paesi emergenti, il cosiddetto BRIC (Brasile, Russia, India, Cina: Paesi con legislazioni sociali e normative sul lavoro cosi' diverse dalle nostre, da rendere impossibile qualsiasi seria competizione produttiva.
Alcuni interrogativi mi sembrano d'obbligo.
Come e' possibile immaginare un regime di libero mercato fra competitori che agiscono in condizioni assolutamente incomparabili?
Come e' possibile immaginare la separazione di un'area di produttori da un'area di consumatori?
Puo' mantenere un Paese un elevato tasso di sviluppo senza un solido apparato produttivo che crei opportunita' di lavoro?
Come e' possibile garantire un futuro ai nostri giovani se non si ricreano vere opportunita' di lavoro?
Problemi che si fanno sentire particolarmente in Europa, ma che investono l'intero mondo occidentale industrializzato.

e' di tutta evidenza che la capacita' di reazione e di adattamento delle economie varia in ragione dei contesti dei vari Paesi. La Germania e gli Stati Uniti, ad esempio, hanno mostrato ben altra capacita' di reazione rispetto all'Italia, Paese con una legislazione molto rigida e ingessata, pensata in un contesto deltutto diverso da quello attuale.
Certo e' che se il processo di crescita si arrestera', difficilmente si potranno mantenere le garanzie sociali ed in genere le aspettative a cui siamo abituati. Si aprirebbe cosi' uno scenario di decadimento dagli esiti imprevedibili e dai passaggi sconosciuti, giacche' mai la storia ci ha sinora offerto modelli di declino di societa' industriali avanzate.

Certo, le condizioni cambieranno nei Paesi emergenti; si amplieranno le garanzie sociali; aumenteranno le retribuzioni; si modifichera' la legislazione del lavoro e della previdenza: circostanze che potranno riequilibrare i costi di produzione rendendo piu' paritetiche le condizioni fra le aree del mondo.
Ma quanto ci vorra'?
Nei Paesi emergenti (vedi Cina) l'assetto antidemocratico e autoritario delle strutture di governo e' in grado di bloccare, o comunque di rallentare, il processo di emancipazione delle classi lavoratrici, sacrificate sull'altare della crescita del PIL.
Nel frattempo le societa' occidentali saranno in grado di fronteggiare una crisi di lunga durata?

Poiche' e' impensabile immaginare, in occidente, condizioni di lavoro simili a quelle cinesi (vorrebbe dire portare indietro di 200 anni le lancette della storia), si cerca di agire sugli aspetti piu' rigidi delle legislazioni, con l'intento di ridare fiato all'apparato produttivo, senza demolire il sistema di diritti faticosamente costruito negli ultimi decenni.
Una mediazione, insomma, fra diritti e tutele da una parte, ed esigenze produttive dall'altra, nella prospettiva di ridare opportunita' all'economia, rendendola piu' competitiva, soprattutto nei settori di qualita' ed in quelli specifici, quindi non imitabili. Nel caso italiano vedi ad esempio il settore turistico, culturale, delle eccellenze del "Made in Italy".

Ma il mondo non e' solo occidente e Paesi emergenti. Non occorre essere economisti blasonati per pensare che se potessero affacciarsi al mondo dei consumi tutti coloro che oggi ne sono esclusi, si aprirebbero delle opportunita' di sviluppo straordinarie.
Non penso che sia una utopia. Certo occorre che la politica, a livello planetario, sia in grado di progettare il futuro sapendo prendere le distanze dalla mera soddisfazione degli appetiti piu' rapaci ed immediati.
Sarebbe la risposta ad un fondamentale imperativo etico del nostro tempo, quello della giustizia fra gli uomini, e, nel contempo, una seria opportunita' per rilanciare il motore dello sviluppo.

Progettare il futuro significa inoltre mettere in campo serie politiche di tutela ambientale, se non vogliamo lasciare ai nostri figli un pianeta sempre piu' povero di risorse e distrutto negli elementi fondamentali per l'esistenza della vita, a partire dal clima e dalla qualita' dell'aria e dell'acqua.

Pensare alle nuove generazioni e' una delle urgenze del nostro tempo.
Benedetto XVI e' a loro, ed alla loro educazione, che rivolge il Messaggio per la Giornata della Pace 2012, cosi' intitolato:
"EDUCARE I GIOVANI ALLA GIUSTIZIA E ALLA PACE".

Partendo dalle considerazioni sulla crisi attuale, sopra citate, scrive: "In questa oscurità il cuore dell’uomo non cessa tuttavia di attendere l’aurora di cui parla il Salmista. Tale attesa è particolarmente viva e visibile nei giovani, ed è per questo che il mio pensiero si rivolge a loro considerando il contributo che possono e debbono offrire alla società. Vorrei dunque presentare il Messaggio per la XLV Giornata Mondiale della Pace in una prospettiva educativa: « Educare i giovani alla giustizia e alla pace », nella convinzione che essi, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza al mondo".

Un mondo che e' ancora insanguinato da tanti conflitti, che e' ferito da gravi calamita' naturali, che vede molti suoi popoli lottare per l'affermazione dei diritti di cittadinanza negati.
Situazioni che sono state puntualmente richiamate anche da Benedetto XVI nel Messaggio Urbi et Orbi del Natale 2011:

Un altro grave capitolo e' quello dell'intolleranza religiosa: il 2011 si chiude con gli attentati alle Chiese Cristiane in Nigeria: fatti dolorosi che attestano come in molte parti del mondo siano vivi sentimenti di cristianofobia e di insensato fanatismo.

L'Europa

Spostando ora il focus sull'Europa, appare evidente come essa non sembra attrezzata per fronteggiare le sfide che l'attendono.
L'Ue ha in questi anni messo a punto un complesso sistema di norme regolatrici dei rapporti interni, e non si e' accorta che aveva fianchi molli incapaci di fronteggiare gli attacchi provenienti dall'esterno: in particolare la concorrenza dei Paesi emergenti del cosiddetto BRIC.

Il faticoso cammino dei trattati Europei (v. la bocciatura della Costituzione Europea ed il percorso accidentato del Trattato di Lisbona), sono la cartina di tornasole di questa fatica.
Una fatica che, a mio modo di vedere, non deve pero' sminuire il percorso fatto dal dopoguerra ad oggi: un percorso avviato grazie alle intuizioni di figure straordinarie quali De Gasperi, Adenauer e Schuman, che grazie ad una visione profetica che allora sembrava deltutto utopistica, diedero "il la" ad un processo che doveva trasformare l'Europa, per millenni centro di gran parte dei conflitti, in una grande area di pace e di prosperita'.

La natura e la durezza della crisi, sicuramente possono ingenerare processi di arretramento ed alimentare illusori ritorni di fiamma nazionalistica.
Sarebbe una catastrofe.
Le grandi sfide poste dalla concorrenza delle economie emergenti, la dimensione globale dei mercati e della finanza, la mobilita' delle persone e dei capitali, richiedono al "vecchio continente" grande compattezza e coesione, pena la sua espulsione dai grandi processi planetari.

E' vero che la politica di Bruxelles viene vista dai cittadini come un'entita' astratta e distante. E' sicuramente vero che e' reale un gap di democrazia dei processi decisionali europei. E' vero che l'Euro e' moneta imperfetta, forse nata male, che oggi sta scontando tutti gli effetti dei suoi handicap.
La strada pero' e' quella di correggere i difetti non quella di tornare indietro: l'implosione dell'Euro sarebbe una catastrofe: per l'Europa si aprirebbero scenari veramente imprevedibili.

E' da irresponsabili alimentare atteggiamenti antieuropeistici, a partire da nostalgie della nostra vecchia moneta.
Ho avuto modo di ascoltare un incontro leghista in cui un noto oratore cercava di argomentare la bonta' di una nostra uscita dall'Euro: "roba da matti"!

Certo non dovranno prevalere gli egoismi e dovra' essere chiaro a tutti che la sfida o la si potra' vincere, o la si perdera' tutti assieme.
Deve essere chiaro anche ai tedeschi ed ai francesi!

Solo rilanciando i fondamentali della politica di integrazione, l'Europa potra' ritrovare la strada di un futuro di crescita: politica fiscale comune, politica estera comune, politica della sicurezza comune, avvio di un serio percorso per la costituzione degli Stati Uniti d'Europa.
Obiettivi certo ambiziosi, possibili solo se i leader europei capiranno che il miglior modo di tutelare gli interessi nazionali e' quello di considerarli all'interno del piu' generale interesse europeo: concetto ben chiaro ai grandi statisti europei di un tempo, concetto che non sembra capito dai leader della scena contemporanea.

Una nota di ottimismo. La storia del processo di integrazione europea ci mostra che i passi piu' avanzati sono stati fatti proprio sotto la spinta di situazioni di crisi.
Penso che gli europei, sostenuti dalla loro plurimillenaria storia e civilta', sapranno trovare gli strumenti giusti per consentire al loro continente di poter giocare un ruolo da protagonista sulla scena mondiale, garantendo cosi' benessere materiale e morale ai suoi abitanti.

Ed ora l'Italia e l'Europa.

Il nostro Paese e' uno dei pilastri dell'Ue: ne e' stato uno dei protagonisti sin dalla sua gestazione, ne e' stato uno dei propulsori in ogni parte della sua storia.
Va detto senza equivoco alcuno che l'Europa e' necessaria per l'Italia cosi' come L'Italia e' necessaria per l'Europa.
Al nostro Paese debbono essere richiesti comportamenti credibili ma, nel contempo, non sono ammissibili atteggiamenti di superficialita' o, ancor peggio, di derisione.

Certo deve essere pretesa credibilita', poiche' l'Italia e' un grande Paese e le sue scelte sono decisive per la vita dell'Euro, cosi' come la sorte dell'Euro sara' decisiva per l'economia mondiale: occorre quindi la consapevolezza del peso che le nostre scelte possono avere sull'intero teatro economico planetario.

E' quindi deltutto lecito che l'Europa ci chieda conto delle nostre scelte, perche' i problemi che oggi vivono i mercati e' soprattutto un problema europeo, a cui deve essere data una risposta comune, solidale e convinta. Risposta pero' che presupponeva che l'Italia mettesse in sicurezza i suoi conti pubblici.
Fatto il nostro dovere, dobbiamo pero' recuperare con uno scatto di orgoglio il nostro ruolo in Europa, giocando da protagonisti una partita di cui dobbiamo essere indispensabili titolari.

Fra le cose dette dal presidente Monti, nella conferenza stampa del 4 dicembre 2011, una mi piace sottolineare: egli in buona sostanza ha detto che mai chiedera' sacrifici agli italiani adducendo la motivazione che ce li chiede l'Europa. Cosi' posta, la questione risulterebbe inaccettabile; l'Europa cosi' sarebbe giustamente vista come un dato intrusivo nel nostro Paese: qualcosa di lontano e burocratico capace di alimentare un senso di rigetto. Diverso e' chiedere comportamenti coerenti con un'Europa che abbiamo costruito con un ruolo di grande protagonista, e con i suoi trattati che abbiamo contribuito a scrivere; un'Europa di cui siamo parte importante, che e' parte di noi, e che un suo arretramento ci trascinerebbe in un pericoloso percorso dagli esiti imprevedibili.

L'Italia

IL Presidente del Consiglio Mario Monti, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, ha rivolto gli auguri agli italiani dicendo: "Io sono ben consapevole del fatto che abbiamo chiesto, ho chiesto, molti sacrifici, molte rinuncie, molto sforzo anche mentale per capire l'esigenza di certe trasformazioni, a i cittadini italiani. Credo che pur nell'insofferenza nei confronti di certi sacrifici, che capisco perfettamente, ci sia pero' una grande comprensione della necessita' di questo sforzo comune per dare un'Italia piu' degna a tutti noi ed una maggiore speranza nell'Italia e nella loro vita concreta in Italia ai nostri figli e ai nostri nipoti".

Rivolgendo poi gli auguri al Parlamento ed in generale a tutti coloro che sono impegnati attivamente nella politica, ha detto: "Soffro con loro nel vedere quanto iato si e' creato tra l'opinione pubblica e coloro che svolgono il servizio nella vita politica e, come ho detto qualche volta, noi saremo soddisfatti se alla fine della nostra esperienza di governo avremo contribuito a rendere l'Italia piu' convinta di se', piu' rispettata all'estero, piu' solida economicamente, e anche, e soprattutto, se saremo riusciti a ridurre un po' la distanza che si e' creata - con danno generale - tra l'opinione pubblica e il mondo politico".
Monti ha poi auspicato che i partiti sappiano ritrovare una nuova carica di riformismo, per far uscire il Paese dalle secche in cui si e' arenato.

Parole sicuramente sagge.
Alcuni interrogativi pero' non possono essere elusi.
I pesanti sacrifici chiesti agli italiani con il cosiddetto decreto "salva Italia" saranno in grado di centrare il loro obiettivo?
Al di la' dei titoli dati da Monti, potra' il Governo - con i provvedimenti "cresci Italia" creare per lo meno alcuni presupposti per la crescita?
Tanto si parla del trinomio "rigore, equita', crescita". Per ora si e' visto sicuramente tanto rigore: per il resto staremo a vedere.

La situazione economica e' sicuramente molto complessa giacche', a seguito dello spostamento del baricentro della crescita ad est, il mondo occidentale sta vivendo una stagione di declino, come piu' sopra ho cercato di argomentare.
Il problema fondamentale e' il lavoro, presupposto di ogni crescita possibile. Se c'e' crescita ci sono le risorse, diversamente si tratta di gestire nel modo meno doloroso la crisi.

Certo l'Italia, con le sue rigidita', e' piu' vulnerabile di altri Paesi che hanno mostrato un dinamismo ed una maggiore capacita' di adattamento.
Occorre un grande senso di responsabilita', dai partiti e dalle parti sociali, per superare tabu' e pregiudizi, per portare a buon fine quelle riforme senza le quali il nostro sistema produttivo non potra' riprendere a crescere: misure per favorire la competitivita' delle nostre imprese, misure per sostenere i settori strategici al di fuori dei classici incentivi che non danno risultati se non di brevissimo respiro e ad elevato costo pubblico, interventi sul mercato del lavoro che, senza smantellare i fondamentali diritti, rimuovono quelle ormai insostenibili rigidita' che si ripercuotono soprattutto sull'occupazione giovanile.

Monti sembra aver molto chiare queste prospettive: vedremo se il Governo riuscira' a varare provvedimenti capaci di raccogliere i necessari consensi politici e delle parti sociali.

Per lo iato fra societa' civile e politica, le parole di Monti sono cariche di saggezza, cosi' come di alto significato sono le parole pronunciate dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nel tradizionale messaggio di auguri rivolto agli italiani per il nuovo anno:
"Mi auguro che i cittadini guardino con attenzione, senza pregiudizi, alla prova che le forze politiche daranno in questo periodo della loro capacità di rinnovarsi e di assolvere alla funzione insostituibile che gli è propria di prospettare e perseguire soluzioni per i problemi di fondo del paese. Non c'è futuro per l'Italia senza rigenerazione della politica e della fiducia nella politica. Solo così ci porteremo, nei prossimi anni, all'altezza di quei problemi di fondo che sono ardui e complessi e vanno al di là di pur scottanti emergenze".

Certamente la politica ha dato di sovente cattiva prova di se' ed e' proprio dalla rimozione dei suoi privilegi che dovra' partire un chiaro segnale di equita': segnale prepotentemente richiesto dall'opinione pubblica che, a ragione, esige che chi piu' ha piu' paghi.
Occorre pero' aver ben chiara la funzione indispensabile della politica, sapendo cosi' separare l'attivita' in se' dai suoi abusi e dalle sue degenerazioni.

La politica e' cosa nobile. Sono i comportamenti degli uomini che la rappresentano che possono esaltarne o sminuirne il ruolo ed il significato.
La politica e' la forma piu' alta di servizio alla carita'.

Diceva Georges Pompidou: "Un uomo di stato è un politico che dona se stesso al servizio della nazione. Un politico è un uomo di stato che pone la nazione al suo servizio".

Ecco il profilo che dovrebbero assumere gli operatori politici.
Operatori che dovrebbero riscoprire un autentico spirito di servizio, smentendo Max Weber che diceva: "Oggi molti vivono di politica mentre pochi vivono per la politica".

Una politica che dica la verita' al Paese, smettendo gli abituali infingimenti del gioco politico.
Mi piace citare Primo Levi che diceva: "In questa nostra epoca fragorosa e cartacea, piena di propaganda aperta e di suggestioni occulte, di retorica macchinale, di compromessi, di scandali e di stanchezza, la voce della verità, anziché perdersi, acquista un timbro nuovo, un risalto più nitido".

Inoltre, diciamolo chiaramente, bisogna smetterla di pensare che le colpe della corruzione siano tutte nella politica, perché anche in altri settori esistono fenomeni di malaffare che affliggono la nostra vita pubblica.
Basti pensare al fenomeno distorsivo e inaccettabile della diffusa evasione fiscale, che riguarda, ovviamente con pesi diversi, tutti gli strati sociali.

A nessuno puo' infatti sfuggire che oggi la societa' italiana e' molto ammmalata, sembra ammorbata da tossine che ne minano le strutture portanti, sembra infettata da un virus che le impedisce di rimettersi in piedi per riprendere il proprio cammino.
Gli ultimi rapporti Censis lo hanno chiaramente evidenziato.

Troppi decenni di demagogia ed ideologismi, troppi decenni di deresponsabilizzazione, troppa esaltazione degli egoismi, troppa distanza fra Stato e cittadini.
A completare il quadro, ci si e' poi messo il tarlo del separatismo, in un momento nel quale, di contro, sarebbe necessaria la massima coesione nazionale.

Certo la storia ha il suo peso e lo sappiamo bene.
Il Paese deve pero' ritrovare il suo orgoglio, deve ritrovare il senso di essere una nazione ed uno Stato. Auspico che il centocinquantesimo anniversario dell'unita' d'Italia, celebrato nel 2011 con manifestazioni gioiose e con qualificatissime iniziative di approfondimento storico-culturale, possa essere servito a rinvigorire i sentimenti di coesione nazionale fra gli italiani, quindi a rinsaldare i vincoli propri di una comunita' che si riconosce nelle proprie istituzioni.
In questo senso, un ringraziamento particolare e' dovuto al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha saputo, con semplicita' ed intelligenza, trasmettere agli italiani sia il significato storico della ricorrenza, sia la sua valenza quale occasione per riflettere sul nostro essere Stato nel tempo che viviamo.

Spostando il focus sui temi prettamente politici, non puo' certo sfuggire la novita' rappresentata dalle vicende che hanno portato al Governo Monti.
Dello scenario politico tante volte ho avuto modo di scrivere, quindi non credo di dover tediare i lettori in analisi ampiamente note.
Penso pero' che sia opportuno sottolineare che la fine del berlusconismo, che ormai mi pare irreversibile al di la' di qualche possibile colpo di coda, si porta dietro anche la fine dell'Antiberlusconismo. Insomma stanno crollando i collanti dei due poli che tante volte abbiamo definito ammalati ed innaturali.
Si aprono quindi nuovi scenari che, lo spero, potrebbero condurre ad un totale riassetto della geografia politica nazionale, con la nascita di poli fondati sulla reale condivisione di un programma di governo e di un disegnostrategico di sviluppo del Paese.
Molte sono le incognite e comunque i prossimi mesi saranno decisivi.

Anzitutto la questione del referendum sulla legge elettorale: legge che ha scritto una delle pagine piu' buie della nostra democrazia, trasformando il Parlamento da organo di eletti a organo di nominati. E pensare che la cosiddetta "Seconda Repubblica" doveva nascere all'insegna del ridimensionamento dei partiti!!!

Anzitutto vedremo se la Corte Costituzionale lo dichiarera' ammissibile. Se il referendum sara' dichiarato ammissibile, potrebbe essere evitato con la tempestiva modifica della legge elettorale; ma sara' ben difficile che il Parlamento trovi la capacita' e la coesione per una riforma della legge elettorale: una riforma non facile, giacche' tutti ne ravvedono la necessita' ma ben diverse sono le posizioni in campo su come attuarla. Sara' comunque questo il primo banco di prova su cui la politica potra' risalire la china per ricostruire una sua credibilita' nel Paese.

Un'altra importante variabile e' quella della durata del Governo Monti.
E' auspicabile che possa portare a termine la legislatura, anzitutto per le necessita' del Paese, ma anche per consentire alla politica con la P maiuscola di potersi riorganizzare e aprire quei nuovi scenari di cui l'Italia ha Bisogno.
La gente si aspetta qualcosa di nuovo: qualcosa che possa rappresentare un punto fermo in coerenza con il panorama culturale del Paese, un approdo che ponga fine a questa infinita transizione verso una nuova Repubblica che ancora non c'e' stata.

Lucca

Il 2011 si e' chiuso per la citta' con due gravissimi lutti: ci hanno lasciato, a poche settimane di distanza, il Senatore Arturo Pacini e l'Onorevole Maria Eletta Martini. Due protagonisti per vari decenni della vicenda politica lucchese, e non solo di quella, e comunque due figure di primissimo piano nella crescita economica e civile della comunita' lucchese e del suo territorio.
Figure animate da un forte spirito di servizio, portatori di un profondo senso etico nell'attivita' politica, attenti e puntuali sostenitori delle ragioni della nostra comunita' in ogni sede istituzionale in cui cio' si rendeva necessario.
Animati da un profondo senso delle istituzioni e da un irreprensibile rispetto per il pluralismo delle posizioni, rappresentano esempi da indicare ai politici di oggi, spesso arroganti, privi di cultura istituzionale, insofferenti per la fatica del confronto, spesso sordi pregiudizialmente a qualsiasi proposta che provenga dalla parte avversa.
Figure insomma il cui esempio ed insegnamento rimarranno nella mente e nel cuore di tutti coloro che li hanno conosciuti.

Nel 2012 a Lucca si rinnovera' l'amministrazione comunale, e gia' si stanno scaldando i motori in vista dell'importante appuntamento.

L'amministrazione uscente, nata sotto i migliori auspici e con grandi aspettative, almeno per chi scrive, non ha dato i risultati sperati.
Non mi accodo al coro di coloro che dicono che non e' stato fatto niente: messo cosi' non mi pare corrispondente alla verita'.
L'Amministrazione si e' data da fare nella gestione che definirei ordinaria: quegli interventi di miglioramento che si inseriscono in una tipologia gestionale che non richiede particolari abilita' progettuali, particolari lungimiranze, particolare coraggio, particolare capacita' di guardare oltre l'orizzonte consueto. Una gestione "ragionieristica", che ha cercato di mediare l'ordinario, e che quando ha tentato di prendere "il largo" ha dovuto arretrare, spinta dalle prime "onde del mare aperto".

Dove e' completamente mancata, e' sugli aspetti strategici, sui grandi temi dello sviluppo, sulla progettazione di interventi idonei a porre Lucca in grado di sostenere le sfide dello sviluppo in una realta' globalizzata come la nostra.
Si potra' obiettare che il PIUSS dimostra il contrario.
Niente affatto, pur nella pienaconsapevolezza della sua importanza.
Qualsiasi serio progetto di sviluppo non puo' prescindere dalla messa in sinergia dei contenitori e dei contenuti. Pensare ai contenitori senza aver in mente un progetto credibile di contenuti, porta al fallimento sicuro, o comunque ad una improvvisazione che non serve e che tuttavia vanifica in termini di risultati lo sforzo finanziario profuso.

Certo Qualsiasi investimento porta nell'immediato risorse e lavoro: fattore sicuramente positivo per l'intero tessuto economico della citta' e del suo comprensorio. ma la citta' - nella prospettiva dello sviluppo - ha bisogno di altro. Ha bisogno di un progetto che potra' realizzarsi solo se si metteranno a sistema le risorse finanziarie e le risorse intellettuali, che pur non mancano. Un progetto di respiro strategico, non contingente ma strutturale, che, partendo dalla specificita' del territorio, della sua storia e della sua arte, sappia creare qualcosa di duraturo, in grado di attrarre risorse, quindi capace di produrre benessere non effimero per i suoi abitanti.

I progetti proposti sono certo affascinanti, ma non emerge da essi un serio disegno strategico, che solo potrebbe scaturire da una visione di sistema coinvolgente tutte le forze disponibili del teritorio/comprensorio, di cui oggi non si puo' fare assolutamente a meno.
Una strada che puo' apparire faticosa, ma che e' l'unica che potra' produrre risultati concreti.
E' da qui che si dovra' necessariamente passare se si vorra' seriamente compiere quel salto di qualita' che la societa' civile chiede alla politica; e' da questa capacita' di progettazione, di confronto e coinvolgimento che si dovra' passare se si vorra' inaugurare una nuova stagione che si lasci alle spalle le consuete, superficiali ed ammuffite affermazioni dei vari politici e/o amministratori, prive di qualsiasi reale conseguenza.

Una progettazione che a Lucca puo' avvalersi anche delle straordinarie opportunita' offerte dalle eccellenze culturali e formative nelle quali il territorio sta peraltro investendo cospicue risorse: IMT, Istituto Boccherini, Campus.

Il nostro territorio e' ricchissimo di specificita' attorno a cui lavorare, e che possono produrre ricchezza nella prospettiva del mondo globalizzato: il paesaggio, la musica, l'arte, la storia, le tradizioni, il patrimonio culturale ed archivistico, le tradizioni e le specialita' gastronomiche, sono tutti aspetti che rappresentano le tessere di un mosaico che potra' essere costruito, purche' si trovino persone capaci di pensarlo e di realizzarlo.

Questi temi ho cercato, senza alcun successo, di proporli nel breve periodo della mia esperienza nel CdA del Teatro del Giglio, ovviamente con riferimento alla musica.
Esperienza breve, che ho interrotto con le dimissioni, di fronte alla constatazione che nulla potevo fare per arrestare la deriva di una gestione deltutto incoerente con la mia cultura e con il mio pensiero circa gli obiettivi ed i metodi da adottare.
Una conclusione gestita da me senza clamori mediatici, ovviamente con i necessari passaggi nelle sedi istituzionali dovute, fatta sicuramente con dispiacere ma con la consapevolezza della sua ineluttabilita' stante la gravita' di una situazione che poi e' sfociata in un atto di sfiducia del Consiglio Comunale.

altro capitolo dolente e' quello delle infrastrutture, prima fra tutte quella della grande viabilita'.
Al di la' di alcune iniziative, sinceramente piu' di apparenza che di sostanza, tutto e' rimasto come prima.
Infine - ma non per ultimo di importanza - la questione dell'ospedale, punto di forza della campagna elettorale del 2007, problema certo difficilissimo, rispetto al quale e' diffusa la sensazione che non si sia voluta giocare nessuna seria partita.

La riflessione sin qui condotta porta inevitabilmente a puntare il focus sulla classe dirigente: uno dei tasselli piu' deboli dell'Amministrazione Favilla.
C'era stato un impegno, ribadito piu' volte anche a livello pubblico, di favorire la crescita di un nuovo personale politico. Impegno che e' stato deltutto eluso. Non solo non si sono cercate energie nuove, ma si e' proceduto al ripescaggio di un "gia' visto", che ha inevitabilmente rappresentato un ostacolo a qualsiasi immissione di aria nuova e fresca.

Giacche' penso che la societa' lucchese possieda energie intellettuali disponibili ad occuparsi della collettivita', faccio appello a queste affinche' non vogliano sprecare l'occasione delle prossime elezioni per mettersi al servizio della citta'.

Elezioni per le quali il centrosinistra ha da tempo proposto il suo candidato a sindaco, il Prof. Alessandro Tambellini, mentre il centrodestra ancora non ha sciolto il nodo, pur essendo prevalentemente orientato verso una riconferma di Favilla.
Vi sono poi in incubazione alcune esperienze civiche delle quali al momento non e' possibile prevedere gli esiti.

Il quadro e' pero' in movimento e potrebbero proporsi nuovi scenari.
A livello nazionale la politica vive una svolta: una svolta che potrebbe portare - finalmente - ad una trasformazione profonda dell'assetto politico generale.
Sarebbe auspicabile che anche a livello locale si cercasse di respirare la stessa aria, in una logica di rinnovamento e di riformismo, cogliendo le opportunita' laboratoriali che la dimensione civica offre.
Delresto non e' la prima volta che esperienze lucchesi hanno offerto modelli esportati su scala piu' ampia.
Esperienze in tale direzione sono state prospettate e, a mio avviso, meritano attenzione e considerazione.

Ad esse un consiglio: tenetevi distinte e distanti da certi potentati di un tempo che scalpitano, che sono in astinenza da potere, che nulla di nuovo e di buono possono ormai offrire alla citta'. Privilegiate la chiarezza del progetto e la qualita' della classe dirigente; non vi fate ingannare dall'illusoria prospettiva di prendere qualche voto in piu' imbarcando qualche altro passeggero.
Gli elettori vi premieranno.

Nel 2012 si votera' anche in alcuni comuni della provincia: fra quelli grandi a Camaiore; fra quelli piu' piccoli a Bagni di Lucca e forse in qualche altro.
A Camaiore i giochi delle candidature sembrano fatti, salvo sorprese.
A Bagni di Lucca il quadro e' in movimento, e ha visto ultimamente la nascita di un movimento giovanile al quale auguro di poter giocare un ruolo importante nel processo di rinnovamento necessario anche da quelle parti.

Conclusioni

Al termine di queste mie riflessioni, il mio pensiero torna alla situazione italiana. Una situazione di smarrimento, sotto i morsi della crisi economica, ma anche della crisi morale e politica dovuta a decenni di scontro selvaggio su tutto, provocato dallo scadimento generale della politica, e dei suoi riflessi sulla societa' civile.
Decenni nei quali anziche' cercare la coesione attorno ai grandi temi di interesse nazionale, si sono privilegiate logiche di parte, piegando ad esse anche il dibattito attorno alle ipotesi di riforma istituzionale, che invece deve costituire il terreno condiviso su cui ogni parte politica gioca la propria partita.

Voglio pero' concludere con una nota di ottimismo. La storia di questo Paese ci insegna che gli italiani, di fronte a situazioni di gravi emergenze, hanno saputo trovare gli strumenti e la forza per reagire.
Siamo un popolo ricco di energia, di creativita', di fantasia. Abbiamo enormi risorse attorno a cui poter costruire un progetto di sviluppo;
abbiamo una classe di imprenditori vivace e coraggiosa, purche' la politica sappia metterla in condizione di agire;
abbiamo la mentalita' e la cultura per saperci rapportare alle trasformazioni antropiche del nostro tempo.

Certo siamo chiamati ad un significativo sforzo collettivo per superare i nostri particolarismi, i nostri egoismi, in favore del privilegio che dovra' essere assegnato agli interessi dell'intera comunita' nazionale.

Mi piace ricordare il Presidente Napolitano che con queste parole ha concluso il suo messaggio augurale: "La fiducia in noi stessi è il solido fondamento su cui possiamo costruire, con spirito di coesione, con senso dello stare insieme di fronte alle difficoltà, dello stare insieme nella comunità nazionale come nella famiglia. E allora apriamoci così al nuovo anno: facciamone una grande occasione, un grande banco di prova, per il cambiamento e il nuovo balzo in avanti di cui ha bisogno l'Italia".

Il diffuso malcontento dovra' lasciare il posto alla consapevolezza che dall'assolvimento dei doveri di ciascuno dipendera' la capacita' di crescita del Paese.
Dovra' sempre piu' maturarsi la consapevolezza che la tutela dei diritti e' direttamente proporzionale alla capacita' di assolvimento dei doveri.

Termino, fra il serio ed il faceto, con Oscar Wilde che dice: " Il malcontento è il primo passo verso il progresso per l’individuo e la nazione".
Ebbene! Il Paese ha tanto carburante per mettersi in cammino verso una nuova stagione di progresso.

Auguri vivissimi di un buon 2012, che sia per tutti portatore di pace, prosperita' e serenita'.

Lucca, 1 gennaio 2012

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