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Ugo La Malfa, l’utopia del realismo

(Ricordi di un lamalfiano)

 

 

Di Andrea Talia

 

 

Premessa.

 

     Una rievocazione di Ugo La Malfa offre, a chi scrive, una duplice opportunita’.

Su un versante: una riflessione, storicizzata, su una delle personalita’ piu’ rappresentative, eminenti, singolari e anomale nella storia della Repubblica italiana. Personaggio che ben puo’ entrare nel pantheon dei Padri fondatori della democrazia italiana. Insieme a De Gasperi, Saragat, Einaudi, Moro, Berlinguer.

Cio’ in virtu’ di un’attivita’ politica instancabile e preziosa al servizio delle istituzioni, tramite gli alti incarichi ricoperti con intelligente lungimiranza. E delle forti convinzioni sorrette da un ferreo moralismo.

    Su di un altro versante, consente, di andare sul filo della memoria a rimembrare una tranche de vie della mia (piccola) attivita’ politica. In qualita’ di iscritto al Pri di La Malfa (prima), di Spadolini e di Giorgio La Malfa (dopo).

     Cio’ premesso, ricorderemo Ugo La Malfa sotto un triplice aspetto; contestualizzeremo il suo ruolo politico nelle varie stagioni, espliciteremo alcune notazioni in ordine al braccio secolare del leader repubblicano: il Pri.

    Cercheremo di cogliere non tanto l’”attualita’” del pensiero lamalfiano, quanto il filo conduttore – tenace, costante, coerente – della sua azione e del suo impegno. Connotati da rigoroso realismo, pur nel segno di un’azione riformatrice, di modernismo tecnicistico ed economico.

Un utopista, un illuminista, un predicatore nel deserto. Una Cassandra che (purtroppo) seppe vedere il futuro.

Non quindi “astrattismo” lamalfiano (1), ma sordita’ dell’ambiente politico-sociale italiano all’alfiere della razionalita’ produttiva e della modernita’.

Per questo, nella tradizione repubblicana il nome di La Malfa e’ venuto “a congiungersi con quello di Mazzini. Nell’incontro fra la pedagogia della modernita’ e l’apostolato del sacrificio e dell’ideale” (Rosario Romeo).

 

Un profilo

 

A)    L’uomo (2)

 

     Era nato a Palermo (1903).

“Sono nato in Sicilia … una condizione che, dal punto di vista intellettuale e morale, prima che materiale, mi avrebbe potuto portare a prendere una posizione politica estrema. Invece scelsi di lottare per la democrazia” (3).

Democrazia intesa non solo come un regime di liberta’ politica. Ma anche come governo di un Paese e della societa’. Mazzini preferiva parlare di “governo sociale”.

Dei siciliani “veraci” aveva il carattere forte e passionale, con sfuriate e impennate improvvise. Sostanzialmente, da accomunare, a Sandro Pertini, nei cui confronti, i giornalisti argentini, utilizzarono l’espressione: “es un hombre vertical”.

Uno stile schietto e altero, senza eufemismi e mezzi termini. Un modo didascalico e cartesiano di ragionare. Un’impostazione mentale, sottile e geometrica.

Francesco Carnelutti, celebre penalista, che molto l’apprezzava, ascoltandolo discutere la sua tesi di laurea a Ca’ Foscari, esclamo’: Questi siciliani sono cosi’ sottili da filar caligo”, cioe’ nebbia (4).

Un’oratoria essenziale, scandita da un timbro di voce prima basso, quasi stridulo, poi sempre piu’ forte e appassionato.

Mi sia consentito un ricordo.

In seno all’esecutivo regionale toscano – ne facevo parte – si era discusso a lungo in ordine ai criteri (di massima) che dovevano presiedere all’entrata dei repubblicani negli enti, di primo come di secondo grado. Non si trovava l’accordo.

Il Segretario nazionale venne a Firenze. Ci rampogno’ aspramente, ci mise rapidamente d’accordo, ci ricordo’ che i repubblicani dovevano avere °”le valige sempre pronte”, ove non fossero stati onorati gli impegni sottoscritti.

Dopo la laurea a pieni voti (come detto Ca’ Foscari a Venezia, 1926), venne assunto presso l’Enciclopedia Treccani (1929), passo’ poi alla Banca Commerciale di Milano (1933), divenendone Direttore dell’Ufficio studi (1938).

Formatosi alla scuola di Gino Luzzatto e di Silvio Trentin, lavoro’ a fianco di Raffaele Mattioli; strinse amicizia con Cuccia e Malagodi; conobbe Adolfo Tino, uno di quei meridionali che avrebbe fatto grande Milano. Instauro’ un sodalizio con Calogero, Ruini, Schabod.

Terminiamo, al momento, i cenni biografici. Li riprenderemo, successivamente.

 

B)     IL politico

 

      Indifferente al potere (che pure esercito’), era tuttavia totus politicus. Nel filone dei Salvemini e dei Gobetti.

Credeva fermamente nella forza delle sue idee, intese come pathos, come tensione morale e ideale. Cercando, sempre, di anticipare temi e tempi del dibattito politico. “Un miope che vedeva lontano”.

Ha sempre obbedito a un’idea alta e severa dell’Italia. L’Italia laica, l’Italia della ragione, “l’altra Italia”. Un’”Italia di minoranza”, di “vinti”, che professava il laicismo come coscienza delle forze operanti nella societa’, come senso della responsabilita’, del limite e della misura.

La sua posizione fu sempre di sinistra, perche’ era una posizione di riforma integrale, etica prima ancora che politica.

Un pessimista, inteso non come una filosofia, ma come uno stato d’animo, come una corazza dalla quale uscire con la forza della volonta’ e della lungimiranza.

Ha combattuto gli sprechi, le diseconomie, lo stato assistenziale. Per quest’ultimo valeva quanto ha scritto Spadolini (5): “Lo stato assistenziale, che cresce intorno a noi, e’ figlio dei vincitori, di un certo populismo cattolico, non meno che di un certo populismo marxista”.

Nel 1970, quando nacquero le regioni, proponeva l’abolizione delle province. Per risparmiare.

Altre idee-forza:

-         le riforme, intese come avanzamento/ammodernamento dell’ordinamento repubblicano. Preservando gli equilibri democratici ed operando in modo da evitare che l’azione riformatrice economica e sociale intaccasse il trend di sviluppo in corso nel Paese.

Questa concezione delle riforme, poneva in contrasto, La Malfa, con Riccardo Lombardi, che alle riforme di struttura dava una valenza dirompente dell’ordine capitalistico (6);

-         priorita’ dei contenuti concreti dell’agire politico, non delle etichette, delle formule astratte, degli schieramenti e delle alleanze;

-         meridionalismo, inteso come il “banco di prova della democrazia italiana” (7). La Malfa non solo seguira’ la lezione di Giustino Fortunato e di Gaetano Salvemini, ma si sentira’ allievo ideale anche di Benedetto Croce.

Non va peraltro dimenticato che, nonostante le sue radici meridionali, La Malfa guardera’ sempre al Nord e, in particolare, a Milano.

La Malfa enuncio’ la parabola dei tre fratelli. “Quando in una famiglia c’e’ un fratello disoccupato, e’ preferibile, anziche’ far guadagnare di piu’ i due che gia’ lavorano, procurare un impiego anche al terzo fratello, in modo che tutte e tre possano lavorare, anche se guadagneranno un po’ meno oggi per guadagnare di piu’ in futuro;

-         distinzione netta delle responsabilita’ politiche rispetto a quelle amministrative, come fondamento di una sana statualita’ repubblicana;

-         l’Europa, come ultima battaglia. “Dobbiamo rifare, ammoniva La Malfa,una grande Italia in una grande e civile Europa unita” (8).

Nel battersi per l’ingresso italiano nello SME, contro ogni tentazione di rinvio, affermava in maniera netta: “Noi non possiamo navigare da una parte verso il Sud America e credere, dall’altra, di andare verso la Svezia. Una civilta’ e’ omogenea. O e’ Sud America o e’ Svezia”;

-         la difesa della Costituzione; “necessita’ prioritaria di attuare integralmente la Costituzione, prima di rivederla o di correggerla” … “la Costituzione non e’ un tabu’ intoccabile, ne’ un meccanismo in tutto perfetto; ma un complesso di norme che nel loro eclettismo attingono un sostanziale equilibrio” (9).

 

C)    L’economista

 

     La Malfa possedeva antenne sensibilissime. Non gli sfuggirono quindi (siamo nel 1933!) le tesi innovatrici di Keynes e di Beveridge (allora poco conosciuti): economia di mercato, ma incisivi poteri pubblici per eliminare squilibri e ingiustizie e promuovere sviluppo. Egli credeva che un Paese come l’Italia poteva ammodernarsi, consolidare la propria democrazia, solo ispirandosi a quei modelli. Vedremo successivamente come La Malfa attuera’ questi principi, sul campo.

La Malfa, poi, sosteneva, che in Italia non era in crisi il capitalismo. Ma la crisi era della classe dirigente, “la quale fa cose che non hanno senso comune”.

E’ compito quindi dei politici far funzionare il sistema, realizzando un moderno governo dell’economia.

Il capitalismo – in conclusione – e’ “un meccanismo neutro, cio’ in quanto (trattandosi di un sistema come l’altro) subisce gli impulsi della struttura politica e della lotta sociale”. (Dal discorso del 4 febbraio 1979, citato sub nota 8).

Come tale, quindi, non e’ da esaltare alla stregua di un’entita’ taumaturgica, ma neppure da maledire quasi fosse l’espressione del demonio.

 

     Ripercorriamo ora le stagioni che videro impegnato La Malfa, in posizioni di primissimo piano, nell’ambito di un quarantennio di vita politica italiana.

 

L’esperienza azionista.

 

     La Malfa era stato uno dei giovanissimi studenti antifascisti (non aveva piu’ di vent’anni), raccolti intorno alla prestigiosa figura di Giovanni Amendola.

Il fascismo aveva vaticinato quel ragazzo (1925), “durera’ vent’anni; prepariamoci a una battaglia lunga e dura” (10).

Identica previsione (all’incirca) di Piero Gobetti che aveva solo due anni piu’ di La Malfa.

Approdo’ (1942) nel Partito d’Azione (11). Partito (rievocante quello di Mazzini), fondato da un gruppo di antifascisti di area liberal/socialista/repubblicana. Gruppo militante, durante il regime, nelle file di “Giustizia e Liberta’”, movimento creato da Carlo Rosselli.

L’impianto teorico del Partito d’Azione voleva essere un tentativo di sintesi e di superamento tra liberalismo e socialismo, tra capitalismo e comunismo, fra ceti medi e classi operaie e contadine.

Una sorta di terza forza ante litteram.

La Malfa emerse come la personalita’ piu’ rappresentativa della grande tradizione democratica italiana (Mazzini, Cattaneo, Salvemini) (12).

Peraltro il Partito d’Azione, mancando di radicamento e di strutture organizzative, acquisto’ una connotazione meramente elitaria. Destinata a chiudere, rapidamente (1947), la sua esperienza. “Come una meteora nel cielo italiano” (Riccardo Bauer).

La Malfa, Parri, Tino, e molti altri, fondarono il Movimento di democrazia repubblicana; finito anche questo breve tentativo, La Malfa, con i suoi amici, aderi’ al Pri (13).

Chiudiamo questo excursus, rammentando il ruolo decisivo che il Partito d’Azione, sotto la guida di La Malfa, ebbe nella lotta per la Repubblica e per la formazione di un nuovo Governo di espressione dei CLN.

 

IL periodo del centrismo.

 

A) 1948-1953.

 

    La Malfa fu uno dei sostenitori piu’ convinti dell’opera dei governi del centrismo (1948-1953).

Governi, nominalmente “centristi” ma sostanzialmente governi di grandi riforme, di consolidamento democratico, di scelte azzeccate in materia di politica internazionale ed europea, di ricostruzione e di risanamento.

De Gasperi – che pur aveva vinto trionfalmente le elezioni politiche – volle accanto a se’ le piu’ forti personalita’ dei partiti democratici minori: Einaudi, Sforza, La Malfa, Pacciardi, Saragat (14).

Il manuale Cencelli era ancora lontano.

In particolare, il coinvolgimento dei repubblicani e dei socialdemocratici, servi’ da sponda a De Gasperi per arginare le pressioni dei settori reazionari e della Chiesa. La Malfa in quei governi, come ministro del Commercio estero, attuo’, con l’aiuto determinante di De Gasperi, la liberalizazione  degli scambi.

Furono cosi’ ridotti del 10% i dazi doganali, aboliti i contingenti e altre limitazioni su molti prodotti (ma non sulle auto) importati dai paesi europei.

 Questi governi fecero altresi’ la riforma agraria, crearono l’Eni, adottarono il piano siderurgico, riordinarono le partecipazioni statali (15). Iniziative, queste, che prepararono il “miracolo economico”.

 

B) 1953-1960

 

     Il mancato scatto del premio di maggioranza (1953) e la sconfitta elettorale dei repubblicani, convinsero La Malfa, rimasto fuori da ogni governo, a sterzare a sinistra. Pacciardi – poi espulso dal Pri per non aver accordata la fiducia al Governo Moro – era di contrario avviso.

La Malfa si attivo’ quindi per l’ingresso dei socialisti nell’area della maggioranza. Al fine di varare quelle riforme istituzionali e sociali, che il moderatismo democristiano, da solo, non era in grado di assicurare. La Malfa rilancio’ la sua proposta di unita’ laica. Saragat la respinse (“era vecchia di un secolo”); trovo’ invece consonanza nei socialisti Nenni e Lombardi, e in seno alla sinistra della DC. (Vanoni, Saraceno, Pastore, Fanfani, Moro).

L’impegno fu condotto, con altre forze culturali e politiche, in parallelo su due settimanali: prima il “Mondo” di Pannunzio (16), poi “l’Espresso” di Arrigo Benedetti.

In particolare, il Mondo (1949-1966), ospito’, tra gli altri,  la religione della liberta’ di Croce, l’antifascismo di Salvemini, il repubblicanesimo di La Malfa e Valiani.

Fu infine attivata, dalle pagine del Mondo, una campagna volta a sensibilizzare l’opinione pubblica in ordine al problema dell’invadenza clericale nella vita dello Stato e della societa’. Peraltro, gli estremismi furono moderati. Un laicismo non volgarmente anticlericale. Sostanzialmente, dei “pazzi malinconici” (Salvemini) che assunsero la parte di guardiani della tradizione e dei valori, come lo Stato di diritto, la democrazia politica e l’economia di mercato. Paradigmi, quindi, che la Chiesa avrebbe fatto propri solo col Concilio Vaticano II.

I tentativi dei radicali di revisione del Concordato, non sortirono effetto. Ad essi, si opposero i comunisti, i socialisti, lo stesso La Malfa (“La battaglia laica non puo’ essere una battaglia a soffietto”).

Giovanni Spadolini, da parte sua, sottolineo’ la necessita’ di un dialogo permanente fuori dagli “opposti estremismi”, fra Italia e Santa Sede. Nell’ambito di una “distinzione netta fra Chiesa e politica italiana” (17).

 

Governo Fanfani – La Malfa (1962).

 

     Il Governo Fanfani-La Malfa (1962), con l’appoggio esterno dei socialisti, avvio’ la fase del centrosinistra.

Quel Governo, in pochi mesi, grazie all’intelligente attivismo di Fanfani (un uomo politico tra i piu’ acuti, dinamici e socialmente sensibili che ha avuto il Paese) e al lungimirante pragmatismo di La Malfa, attuo’ due riforme di grosso spessore: la programmazione economica e la nazionalizzazione dell’energia elettrica.

Fermiamoci alla prima.

La Malfa, come Ministro del bilancio, partendo dalla premessa che l’economia di mercato non potesse risolvere gli squilibri del Paese, varo’ la “Nota aggiuntiva”, rubricata come “Problemi e prospettive dello sviluppo economico italiano” (18).

Le coordinate della Nota, alla quale collaborarono una nuova generazione di economisti (Spaventa, Sylos Labini, Forte, Ruffolo, Fua’), postulavano:

-         l’eliminazione degli squilibri territoriali e settoriali;

-         la necessita’ di distribuire, secondo precise responsabilita’, le risorse tra consumi e investimenti;

 una visione globale dei problemi, al di la’ di rivendicazioni particolari (sindacati, forze sociali);

-         la fissazione di obiettivi per eliminare, in tempi ragionevoli, sia il divario delle due Italie che l’elevato livello della disoccupazione;

-         una globale politica dei redditi (uscita controllata della variabile salariale), da attuare tramite un “patto sociale” (19), da stringere sulla base di un confronto leale di posizioni.

La Proposta di La Malfa, ancora di estrema attualita’, presupponeva consenso e collaborazione da parte delle forze politiche, economiche, sociali. Cio’ non avvenne.

Le prime mostrarono indisponibilita’: i socialisti propendevano per una chimerica “autolimitazione salariale”; i comunisti, non accettarono che la politica salariale potesse essere subordinata a  un programma di sviluppo (20).

Le seconde erano contrarie ad ogni tipo di programmazione. Preferivano avere la mano libera e i guadagni facili.

Le terze, in luogo della politica dei redditi, avviarono i cosiddetti “autunni caldi”, all’insegna della tesi (sic!) del “salario variabile indipendente”.

Gli obiettivi rimasero sulla carta, o meglio, sulle Carte: Rapporto Saraceno, Piano Giolitti, Piano Pieraccini. Altrettanti “libri dei sogni”.

Quando Fanfani e La Malfa uscirono (momentaneamente) di scena, l’assenza fu bene accolta dagli ambienti della destra politica ed economica. E poco rimpianta, dalle componenti di sinistra del governo. Sic transit gloria mundi!

 

       

1968-1973.

 

     La Malfa, come Presidente della Commissione Bilancio della Camera prima, e Ministro del Tesoro nel terzo Governo Rumor, poi, tento’ vanamente (21) di fare argine a una triplice deriva. Le crisi petrolifere, la gravita’ dei conti pubblici, il crescente tasso inflattivo.

Subentrato Colombo a Rumor, La Malfa declino’ la responsabilita’ di Ministro del Tesoro. Per la mancanza, da parte del Governo, di un piano strategico di finanziamenti per le riforme dell’universita’, della sanita’, dei trasporti, della casa.

La Malfa, a nome del Pri, chiese al Governo di presentare al Parlamento Il Libro bianco sulla spesa pubblica. IL documento venne presentato. Ma si rivelo’ vago e poco realistico.

La crescente crisi economica e sociale – esplicito’ La Malfa – e’ dovuta alla incapacita’ politica di comprendere i meccanismi dello sviluppo economico nazionale, la necessita’ delle riforme e i passi da intraprendere per garantire una svolta riformista.

Aveva gia’ affermato: “Una forza politica di sinistra che voglia fare proseguire una societa’ e difendere gli interessi della classe lavoratrice deve sapere che modificazioni e/o riforme, mal prospettate e male collocate, possono portare a conseguenze che ricadono, in ultima analisi, sulla classe lavoratrice medesima” (22).

Nel 1972 i repubblicani uscirono dalla maggioranza, causando la caduta del Governo presieduto da Giulio Andreotti. Ugo La Malfa, non accetto’ il dispendio di denaro e lo sforzo industriale e tecnico richiesto dall’introduzione della televisione a colori.

Nel 1973, La Malfa assunse l’incarico di Ministro del Tesoro nel quarto Governo Rumor. La battaglia del leader repubblicano, per il contenimento dell’inflazione, divenne una priorita’. Dimostro’ intransigenza nei confronti di Michele Sindona. Il banchiere aveva chiesto l’autorizzazione a varare un aumento di capitale alla Finanziaria Finanbro. Pur di non esaminare la pratica, La Malfa non riuni’ per un intero anno il Comitato per il credito.

 

 

1974-1979.

 

     La Malfa, pur nell’ambito delle difficolta’ e incomprensioni che abbiamo prospettato, continuo’ a perseguire una politica di apertura al Pci. Nonostante la scontata resistenza della DC.

Non e’ casuale che La Malfa si ritrovo’ a condividere le responsabilita’ dell’Esecutivo nel Governo Moro-La Malfa. Aldo Moro incarnava l’anima piu’ autorevole, tormentata e mediatrice del centro-sinistra (Fanfani aveva diverso carattere). Al contempo: “la complessita’ dei filoni storici confluiti nello scudo crociato: non solo la componente dossettiana dalla quale proveniva, ma anche il riflesso dell’esperienza degasperiana, la coscienza del valore del centrismo e l’intuizione della continuita’ fra centrismo e centro-sinistra che nessun altro dei leader democristiani aveva scorto con altrettanta chiarezza e difeso con altrettanta tenacia” (23).

Nel bicolore Dc-Pri La Malfa, in qualita’ di Vice Presidente, riusci’ a varare una politica di contenimento delle spese e dei consumi, a condurre una grande battaglia politica per l’entrata dell’Italia nel Sistema monetario europeo, a introdurre una legge restrittiva sull’ordine pubblico (Ministro della Giustizia: il repubblicano Reale), invisa ai garantisti (24).

Il 16 marzo 1978 Aldo Moro e’ rapito dalle brigate rosse.

Nel suo discorso alla Camera, lo stesso giorno, La Malfa dichiaro’ che ai terroristi non sara’ fatta alcuna concessione e che i repubblicani appoggeranno il nuovo Governo Andreotti in nome dell’unita’ nazionale.

Il 22 febbraio 1979, La Malfa, raccolse il mandato per formare un nuovo Governo. Il tentativo falli’. Sic erat in votis!.

La sua morte – 26 marzo 1979 – (nel Palazzo molti non lo amavano, ma tutti prima o poi lo rimpiansero) segno’ la fine dell’estremo sforzo del nuovo Governo Andreotti di formare una compagine governativa. La Malfa aveva accettato – per spirito di servizio – l’incarico di Vice Presidente del Consiglio e di Ministro del Bilancio.

La sinistra eversiva vinse la sua battaglia. Quello della scelta dei socialisti, a destra contro la Dc, a sinistra contro i comunisti.

I socialisti non superarono mai il 15% dell’elettorato. “IL punto di approdo” fu la deriva partitocratrica, tangentopoli, e la fine della prima Repubblica.

 

 

La Malfa e la sinistra marxista. Il compromesso storico.

 

     La Malfa riteneva che un partito, come quello comunista, dotato di innegabili “energie morali”, ma posizionato su un binario politico del tutto errato e irrealistico, fosse un danno grave per il Paese. Cerco’, allora, su di un versante, di contribuire ad attrarre i comunisti nell’area atlantica e occidentale dell’Europa.

Sull’altro, penso’ ad una parziale fuoriuscita dei comunisti dalla “conventio ad excludendum”.

Molto contribui’, in questo disegno, Moro, che gia’ nel 1975, dette l’impressione di guardare ai comunisti con qualche maggiore attenzione rispetto ai socialisti. Peraltro, gli sforzi dialettici di La Malfa, si erano in passato rivelati vani.

Un minimo di cronistoria.

Togliatti, non amava i repubblicani.

Confessa Andreotti: “durante una riunione in cui ero seduto accanto a lui (eravamo nel 1945), mentre parlava il repubblicano Oliviero Zuccarini, diede segni di insofferenza tamburellando sul tavolo con il lapis. “Piccoli partiti, piccole idee” mi disse” (25).

Il “Migliore”, ebbe a polemizzare con Ugo La Malfa, che “attinge i suoi orientamenti da quotidiani e settimanali di color nero (clericale o fascista che sia) come Risorgimento Liberale e le altre pubblicazioni destinate ai roghi” (26).

Ricordo che il Pci dell’epoca, si atteggiava come il rappresentante unico dei valori dell’antifascismo e della lotta di liberazione.

Non era andata meglio con Amendola e Ingrao (1965) e con Foa (1966). Pur nell’ambito di una grande civilta’ delle discussioni, condotte da uomini affatto inclini al compromesso, ma tuttavia legati da qualcosa di comune. Tutti, infatti, avevano alle spalle storie personali analoghe, vissute durante la lotta antifascista e la Resistenza. Pur in formazioni diverse.

A meta’ degli anni ’70, cambiarono gli scenari di riferimento: attacco terroristico alle istituzioni e al sistema politico; tasso di sviluppo assai basso; tasso inflativo assai alto (17,2%).

La Malfa credette allora di trovare in Enrico Berlinguer – teorico del “compromesso storico” (1973) – la sponda ideale per il distacco del Pci dal partito-guida di Mosca. Lo stesso Berlinguer, nel 1977, dichiaro’ (27) … “noi possiamo procedere lungo la via italiana al socialismo senza alcun condizionamento”.

Successivamente (1983), il leader comunista, adotto’ la formula dell’”alternativa democratica”, quando constato’ che la “solidarieta’ nazionale”, risultava piu’ dannosa che utile al suo partito.

Molte assonanze univano Berlinguer e La Malfa: questione morale (declinata, da Berlinguer, come “austerita’”), no alle lottizzazioni e alle spartizioni negli Enti pubblici; difesa della Repubblica contro il terrorismo, nella linea della fermezza; coscienza dell’emergenza.

Come per La Malfa, una morte improvvisa, privo’ la democrazia di una personalita’ come Berlinguer.

Andreotti ammise che “il nostro progetto era di costruire con il Pci un’alleanza provvista di radici piu’ forti di quella con i socialisti, creando un clima di concordia anche con il mondo sindacale e attenuando progressivamente una certa tradizionale incomunicabilita’ con il mondo intellettuale della sinistra”.

 

 

Il Partito repubblicano italiano.

 

     La Malfa ha militato per oltre trent’anni (1946-1979) nel Pri (28). Prima, come esponente di spicco, poi come Segretario (1965-1974), infine come Presidente (1975-1979).

Ci sembra quindi doveroso fornire alcune notazioni sul partito, rammentando che La Malfa, nominato Ministro del Tesoro (1974), si affretto’ a lasciare ogni responsabilita’ di partito (fu nominato un “Comitato di segreteria”). Altri tempi, altre sensibilita’, altri ideali!

Il Pri, era nato nel 1895: “gli uomini nuovi” erano stati Ghisleri, Gaudenzi, De Andris, Federici ed altri. Una organizzazione politica, erede della tradizione associazionistica di Mazzini, al quale Ugo La Malfa (come gia’ ricordato) era approdato dalle file del Partito d’Azione (area liberal-democratica).

Il Pri era intessuto di un forte senso di appartenenza degli iscritti. Una tradizione coltivata con senso quasi religioso. Il testimone veniva spesso passato da padre a figlio. Lo stesso La Malfa, pur cooptato da subito nella segreteria nazionale, ebbe la leadership del partito solo dopo molto tempo: 1965, dopo il congresso nazionale di Livorno. Cio’ in quanto La Malfa dovette vincere resistenze e incomprensioni di ordine ideologico-programmatico.

Le nuove “piattaforme” lamalfiane (capitalismo moderno, riforme di struttura, liberalizzazione dei mercati, programmazione economica), avevano bisogno di essere metabolizzate. Buona parte degli iscritti erano ancora “fermi” ai postulati socio-economici mazziniani, largamente superati dai tempi.

Il Pri, all’opposizione sull’Aventino dopo il delitto Matteotti, era stato attivo nella battaglia antifascista. Pacciardi, uomo di spicco del Pri, aveva partecipato alla guerra civile in Spagna, ricoprendo un ruolo di primo piano nella Direzione delle Brigate internazionali.

Partito aperto e trasversale. Annoverava: mazziniani intransigenti, settori popolari radicati in Romagna, in Toscana, nel Lazio, nelle Marche, in Sicilia, borghesi laici, colti e tolleranti.

Un “piccolo partito di massa” (la definizione e’ di Togliatti), non conformista, spesso bastian contrario, con un culto profondo dell’opposizione.

Macchina complessa da padroneggiare. “Il partito piu’ partito che esista” (Spadolini).

Chi scrive – Segretario del Pri di Lucca per circa dieci anni – ricorda, con un pizzico di nostalgia, le infuocate riunioni, i distinguo, le impuntature degli amici repubblicani dell’epoca.

All’insegna, peraltro, di una autentica passione politica, di un disinteresse e di una probita’ generalizzata, di orgoglio (non di superbia), di curiosita’ (non di arroganza).

Ne’ poltrone ne’ strapuntini.

Certo: i consensi elettorali furono sempre esigui e avari (“Masse per un partito”, chiedera’ La Malfa a Salvemini, nel 1954). Peraltro Ugo La Malfa, con il suo carisma, seppe far valere il 2% o il 3,5% di adesioni in misura spesso a due cifre.

Dopo la sua morte, sino ai primi anni ’90, il prestigio morale e intellettuale delle due figure che con maggiore autorevolezza ne avevano raccolto l’eredita’ ideale – Spadolini e Visentini – assicuro’ una sostanziale continuita’ all’azione di La Malfa. Nella vita politica e sociale del Paese.

 

 

L’edera appassita.

 

     Scomparse, tra il 1994 e il 1995, anche queste due personalita’, e’ cominciato il declino del Pri. Al pari degli altri partiti storici della democrazia del nostro Paese.

Si apri’ per il partito, una nuova “finestra di opportunita’” con la costituzione e la vittoria elettorale dell’Ulivo, a guida Prodi (1996).

Il contributo dei repubblicani fu convinto e appassionato per il versante europeistico e per l’Euro; incerto e poco incisivo per i temi istituzionali e quelli economici e sociali.

Frattanto, diventavano piu’ aspre e profonde le lacerazioni interne.

Giorgio La Malfa, ottimo economista (si scontro’ con Andreatta in materia di misure economiche), ottimo politico (ex ministro in diversi governi; polemizzo’ con i socialisti Craxi e Martelli) non era dotato dell’autorevolezza, all’interno del partito, del padre. Giorgio La Malfa non riusci’, come Segretario, a tenere la barra dritta. Qualche autorevole repubblicano, comincio’ a scendere dalla nave, in tempesta.

Una parte significativa del Pri confermo’ la sua collocazione nel centrosinistra e contribui’ alla nascita del Partito dei democratici di sinistra. Nacque il Movimento dei §Repubblicani europei (MRE): Segretario Luciana Sbarbati.

Un’altra, invece, accentuo’ sempre piu’ i suoi elementi di dissenso e di distacco dall’Ulivo sino a operare una trasmigrazione nello schieramento di destra. Confermato Segretario: Giorgio La Malfa.

Questa fu la deriva del 2001 (congresso di Bari).

Una conclusione melanconica, frutto di preoccupazioni di profilo alquanto modesto, se non di bassa cucina. Non certo in linea con i postulati lamalfiani. Ci si difese dicendo che si era voluto salvare il Pri dal totale naufragio.

Le opposte opzioni non hanno sortito effetti, di un qualche rilievo, in termini di consenso.

Per l’MRE: apporto e considerazione, pressoche’ nulli. La coalizione di sinistra, facendo leva su valutazioni meramente numeriche (finito il tempo in cui i voti del PRI “si pesavano), ignoro’ la pattuglia repubblicana. Rimase inattuato l’auspicato partito unitario, ulivista e riformista, ibridato dalle varie componenti culturali e sociali. Tutto si ridusse a un binomio. Vennero cosi’ gradualmente estromessi dalla Coalizione: De Benedetti, Passigli, Ayala, Bogi.

     L’altro schieramento, da parte sua, (probabilmente) per la natura della combinazione politica scelta, non ha parimenti inciso. Anche, su questo versante, i repubblicani sono caduti nella morta gora de3ll’indifferenza, quasi del fastidio (qualche “contentino” e’ stato dato).

Lo stesso Giorgio La Malfa (Presidente del PRI), deluso da Berlusconi in ordine alle preannunciate riforme, e’ passato (2009) al Gruppo Misto. Anche la Sbarbati si e’ iscritta al Gruppo Misto. In questo: tra i due segretari c’e’ stata assonanza.

Nel frattempo, la stagione politica si e’ imbarbarita, la sociale, appannata, la civile preda di uno strisciante nichilismo. Sembra che nessuno creda piu’ in niente. O, se si vuole essere meno drastici, tutti propongono pensieri molto deboli.

Venendo meno le idealita’, la vita pubblica e’ ridotta a lotta di potere, a piccolo cabotaggio, alla tattica, alle immoralita’ (piccole e grandi), un tempo impensabili. Ai conflitti di interessi irrisolti, a derive secessionistiche.

La lezione di Ugo La Malfa ci appare lontana, dimenticata, quasi anacronistica.

Pur non rimpiangendo la Prima Repubblica, dobbiamo riconoscere che c’erano uomini e argomenti di maggiore spessore, passioni vere e forti, un codice di civilta’ condiviso in modo piu’ largo. Una classe politica, in particolare quella tornata dall’esperienza dell’antifascismo (De Gasperi, Saragat, Nenni), connotata da distacco, disinteresse, rispetto per l’avversario.

Eppure non bisogna disperare: spes contra spem.

Tra poco, dovrebbe celebrarsi il congresso nazionale del PRI. In quella sede le due anime repubblicane dovrebbero – finalmente – riunificarsi. E reissare lo storico simbolo dell’Edera.

Dovrebbero confluire nel terzo polo. Al di fuori dello schema sinistra/destra. Si consideri che, da tempo, si fa fatica a incasellare gli schieramenti e i partiti politici lungo precise e opposte coordinate politiche e culturali.

Una scelta quindi, al passo dei tempi, al di fuori di un bipolarismo, quasi militarizzato (29).

Sulle orme di quelle impronte laiche lasciate dall’azionismo repubblicano, rinverdite dal liberal Pannunzio e dal socialismo liberale di Norberto Bobbio (il PdA e’ l’unico partito che vide impegnato Bobbio in una campagna elettorale (1946).

Un terzo polo che rilanci:

-         quel nucleo di valori (Costituzione, liberta’ civili, etica della responsabilita’, laicita’ dello Stato), espressi dal meglio dell’Italia repubblicana;

-         una societa’ piu’ partecipata e pacificata;

-         una classe dirigente seria e preparata, che si preoccupi dell’Italia.

Forse (usiamo il condizionale, per prudenza), nel terzo polo, i repubblicani (tout court) potranno ritrovare orgoglio, identita’, emozioni.

“Nel nostro passato una via per l’avvenire”. Proviamoci. (30)

 

 

Note.

 

1)      Ricorda I. Montanelli, Storia d’Italia, vol.II, Ed. Corriere della Sera, che Nenni (1943), dopo avere “ritrovato in questo giovane molti dei tratti di Carlo Rosselli, e soprattutto la tendenza a ricondurre le questioni politiche al piano di quelle morali”, aggiunse “in lui,peraltro, c’e’ sempre la tendenza a lasciare il reale per l’ideale, il concreto per l’astratto”.

Giudizio capovolto, ex post, da Andreotti che, nel ricordare La Malfa alla Camera, ebbe ad ammirare in lui “la capacita’ di non sbagliare nei momenti essenziali della vita, quando si devono assumere posizioni decisive, disprezzando il rischio e ogni calcolo di connivenza”. Cfr., anche, A. Duva, Ugo La Malfa, L’idea di un’altra Italia, Milano, 2003.

 

2)      Per una visione “a tutto tondo”, Cfr. Sergio Telmon, Ugo La Malfa. Il professore della Repubblica, Rusconi, 1983; P. Y. Cook, Ugo La Malfa, Il Mulino, 1999 e, in particolare, P. Soddu, Ugo La Malfa, Il riformista moderno, Carocci, 2010.

 

3)      Dalla lettera a Indro Montanelli del 7 ottobre 1978.

 

4)      Cfr. A. Duva, Ugo La Malfa, op. cit. Peraltro la “sicilianita’” lo portava, talvolta, a prendere solenni impuntature. Destitui’ i probiviri del PRI pronunciatisi, profeticamente, per l’espulsione dell’On. Aristide Gunnella. Nel XXXII Congresso nazionale, fu costretto a dimettersi. Divenne presidente del partito, sostituito da Oddo Biasini.

 

5)      V., G. Spadolini, Fra terza via e terza forza, Ed. La Voce, 1981.

 

6)      A. Maccanico, Ugo La Malfa: la coscienza laica della politica, Nuova Antologia, Fascicolo 2245.

 

7)      Cfr. G. Ciranna, introduzione a La Malfa, Il Mezzogiorno nell’Occidente, Roma, Bari, 1991.

 

8)      V. Intervista di A. Ronchey a La Malfa, Corriere della Sera, autunno 1978; v., altresi’, il discorso pronunciato da La Malfa (4 febbraio 1979) al Nuovo di Milano, riportato da La Voce Repubblicana, 26 marzo 1985.

 

9)      V., Ugo La Malfa, Difendiamo la Costituzione, ed. de La Voce, 1981.

 

10)  Rimando agli Scritti di Ugo La Malfa, raccolti in tre volumi ed editi da Mondadori, con postfazione di Giovanni Spadolini.

 

11)  Sul Partito d’Azione v., G. De Luna, Storia del Partito d’Azione, 1942-1947, Editori Riuniti, Roma, 1997, E. Savino, La diaspora azionista. Dalla Resistenza alla nascita del Partito radicale, Angeli, 2010.

La Malfa, Parri, Tino, Ragghianti, Omodeo, Calogero: le figure di spicco del PdA.

 

12)  V., L. Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, 1951.

 

13)  V., E. Aga Rossi, Il movimento repubblicano, Giustizia e Liberta’ e il Partito d’Azione, Cappelli, Bologna, 1969.

 

14)  Per il rapporto De Gasperi-laici, v. Giovanni Spadolini, l’Italia dei laici, Le Monnier, Firenze, 1980. Su De Gasperi, v. Piero Craveri, De Gasperi, Bologna, 2006 “mai presidente del consiglio italiano sarebbe stato cosi’ autorevole e avrebbe goduto di tanto rispetto”.

 

15)  L. Valiani, L’Italia negli anni del centrismo (1947-1958), Acropoli, Roma, 1990.

 

16)  Rimandiamo, sul punto, al nostro articolo “Gli intellettuali e il potere” del 18 febbraio 2009. Da ultimo, su Pannunzio, cfr. F. Quaglieni, Mario Pannunzio, Rubettino, 2010 e M. Teodori, Pannunzio, Mondadori, 2010.

 

17)  V., G. Spadolini, Il Papato socialista (1950), L’opposizione cattolica (1954), Giolitti e i cattolici 1960), Il Tevere piu’ largo (1970), Le due Rome (1973).

 

18)  Ugo La Malfa, La politica economica in Italia 1946-1962, Milano, 1963; per un bilancio, v. E. Grilli, G. La Malfa, P. Savona, L’Italia al bivio. Ristagno o sviluppo, Laterza, 1985.

 

19)  Cfr., P. Bonetti, Il patto sociale, Ed. de La Voce, 1980.

 

20)  Luciano Lama, L’Unita’, 3 aprile 1962.

 

21) Si dimette dalla Presidenza della Commissione per denunciare la pratica delle cosiddette “leggine”; da Ministro del Tesoro (febbraio 1974), dopo aver constatato l’insussistenza delle condizioni per assolvere il compito che si era proposto. Lascia una testimonianza drammatica di quel periodo nel saggio La Caporetto economica, Rizzoli, 1974.  

    

22) Cfr. Ugo La Malfa, Ideologia e politica di una forza di sinistra, XXX Congresso del PRI, Milano. Si tratta di un documento di straordinaria lucidita’ della fine degli anni ’60.

 

23)  Giovanni Spadolini, Fra Moro e La Malfa cattolici e laici nella crisi italiana, Ed. Voce, 1985.

 

24)  Per un bilancio del decennio 65/75, v. Ugo La Malfa, L’altra Italia, Mondadori, 1975.

 

25)  Bruno Vespa, Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi, Mondadori, 2004.

 

26)  Palmiro Togliatti, Guarite dalla lebbra, signori democratici, in L’Unita’, 30 ottobre 1947, citato da M. Serri, I profeti disarmati, Corbaccio, 2008.

 

27)  Intervista a G. Pansa sul Corriere della Sera, autunno 1977.

 

28)  sul PRI, A. Varni, Organizzazione e politica del PRI 1946-1984 Istituto Cattaneo, Bologna, 1985, M. Scioscioli, Archivio Trimestrale, aprile-giugno 1979, sul “chi vota repubblicano”, G. Trentin, C. Bolla, Il PRI, Angeli, 1983.

 

29)  Ricordo che il bipolarismo tedesco ha sempre funzionato con un terzo partito minore al centro. In Gran Bretagna, dopo secoli di alternanza Labour-Tory, il terzo incomodo liberal (Nick Clegg), governa oggi con il conservatore Cameron.   

 

30)  G. Spadolini, Intervista sulla democrazia laica, Laterza, 1987.

 

 

Lucca, 29 novembre 2010.

 

 

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