logo Fucinaidee

Qualche giorno fa, conversando con un esponente del PdL locale, ho introdotto una riflessione sulla vicenda che sta coinvolgendo Gianfranco Fini. La prima cosa che mi sono sentito rispondere e' stata piu' o meno questa: ma chi glielo fa fare, e' giovane, puo' aspettare, verra' il suo tempo.
Insomma per il mio interlocutore tutto si riduce ad una questione di potere.
Ovviamente ho ritenuto di non proseguire nella conversazione giacche', di fronte ad una simile risposta, mi e' sembrato inutile proporre una lettura degli eventi partendo da questioni quali la coerenza dell'azione del partito con i suoi valori di riferimento piuttosto che il senso delle riforme dell'architettura istituzionale dello Stato, il tema della democrazia interna piuttosto che il tema della solidarieta e sussidiarieta', ed altre questioni di prim'ordine dell'attuale agenda politica.
Ma e' proprio possibile che non si riesca a guardare un po' oltre il proprio naso pensando solo alla mappa delle poltrone? E' mai possibile che la poverta' del dibattito e della tensione politica si siano ridotte ad una esclusiva caccia alle streghe?
Proviamo a leggere con obiettivita' il contributo di seguito riportato, con la mente sgombra da tatticismi e/o retropensieri. Proviamo ad immaginare che le questioni poste anziche' da Fini siano poste da un esponente della cosiddetta "societa' civile", magari di quelli che, come si dice, bucano gli schermi televisivi. Chi potra' smentire la serieta' delle argomentazioni sviluppate? Anziche' gridare all'ostracismo non sarebbe meglio riflettere con serenita' e pacatezza e cogliere l'occasione per imprimere al PdL quella svolta necessaria per farne un partito vero?

Lucca, 28 aprile 2010
Paolo Razzuoli

Pdl, smettiamola con la caccia alle streghe

di Salvatore Sechi

Pdl, smettiamola con la caccia alle streghe Fini ha posto elementari problemi di funzionamento di un partito che nasce "liberale"

Credo sia opportuno cercare di capire le ragioni della sproporzione che esiste tra il carattere fisiologico, cioè normalissimo, dei problemi posti da Gianfranco Fini in seno al Pdl e la violenza furibonda delle reazioni di alcuni settori di partito. Dalla minaccia di espellerlo alla campagna di dileggio e di demonizzazione distorsiva dei quotidiani il Giornale e Libero, per non parlare dello spettacolo umiliante (anche per un giornalista di partito) di un programma televisivo come quello diretto da Gianluigi Paragone. Abbiamo visto riecheggiare i ritmi di una musica da regime interno che con questa insolenza temeraria furono rari durante lo stesso fascismo.

A questi pifferai è comune il seguente adagio: se gli argomenti di Fini risultano simpatici, o peggio condivisibili, al centrosinistra, e ostici ai berluscones questa è la prova che il presidente della Camera è fuori del sagrato, ridotto a un traditore ormai in cerca di una nuova casacca. A Feltri, Belpietro ecc. non passa per la testa che la cultura liberal-democratica e riformista (alla quale appartengono le critiche e le proposte di Fini) è sempre più il punto di arrivo delle vecchie culture radicali di destra e di sinistra. In Olanda come in Germania, in Svezia come in Francia e in Belgio. Basterebbe dare una scorsa alla ricca saggistica che in mezza Europa si pubblica o leggere le rassegne e i numeri speciali di riviste come Trasgressioni, diretta da Marco Tarchi.

Fini ha posto elementari e direi banalissimi (per chi conosce la storia dei partiti democratici) problemi di funzionamento del parlamento (dove l'opposizione ha possibilità limitatissime di discutere le leggi), degli organi interni del Pdl, di attuazione del programma di governo (a cominciare dall'abolizione delle province inutili, dal federalismo fiscale, dalla pressione tributaria, dall'immigrazione ecc.), di un eventuale aggiornamento di esso, di rapporti tra le componenti ideali e politiche confluite nel Pdl (in particolare l'enorme potere di veto e di proposta della Lega).

Si può discutere se invece di un tallonamento quasi quotidiano delle scelte del governo e del suo premier, non sarebbe stato più consono al suo ruolo di presidente della Camera esigere dagli organi di partito di porre all'ordine del giorno di specifiche riunioni del Pdl i temi che ha sollevato attraverso le agenzie e la stampa. È probabile che a questa esuberanza contestatoria Fini sia stato indotto dal fatto che le istanze di partito non si riuniscono frequentemente o i coordinatori non amano dedicare tempo agli argomenti sollevati dal presidente della Camera. Capita che il conformismo possa accecare, rendendo un pessimo servizio alla causa che si intende difendere.

Al di là di tutto ciò, ritengo che Fini si stia scontrando con alcuni problemi inediti della concezione della democrazia da cui è pervasa una parte del Pdl. La prima è l'idea che il voto dato a un programma e ai candidati che lo sostengono costituisca una sorta di viatico,di lavacro, diciamo pure un unguento assolutorio. Quante volte i più stretti collaboratori di Berlusconi hanno ripetuto dalle colonne della Rai-tv che una volta baciati dal consenso elettorale i politici non possono essere messi sotto schiaffo. Ma così la democrazia rischia di essere ridotta a un'abluzione, al balsamo del sapone marsiglia che tutto asperge.Molti, troppi, nel Pdl hanno identificato la democrazia (le procedure costituzionali, l'indipendenza degli organi, le stesse leggi ecc.) esaurendola nell'atto di mettere nell'urna una scheda elettorale di adesione a un programma di governo valido una manciata di anni. Con questo gesto il cittadino esonererebbe il candidato dal dovere di pagare le tasse, difendere il verde, non speculare sulle aree, essere leale con la pubblica amministrazione ecc.
È evidente che questa concezione della democrazia cancella la divisione dei poteri (cioè le responsabilità e le competenze attribuite agli organi istituzionali previsti dalla costituzione). Punta ad esaltare il potere dell'elettore, ma in realtà lo priva di ogni garanzia. L'elezione sancirebbe una delega in bianco. Il populismo si fonda su questa enorme e incontrollabile (se non attraverso referendum popolari-farsa) attribuzione di poteri. Basterebbe vedere la parabola di Chavez o di Morales in Venezuela e Bolivia.
Questa incredibile concezione della democrazia mi pare essersi riverberata, consciamente o meno, nei lavori della direzione del Pdl. Nel testo di un documento finale approvato si è negata la possibilità di creare delle correnti (cioè gruppi, movimenti e associazioni di idee e non bande spartitorie). E come se non bastasse si è modificato lo Statuto attribuendo al leader e ai coordinatori il potere di bandire, cioè di espellere, chi manifesta dei dissensi o non si adegua alla volontà della maggioranza.Nella storia dei partiti lo Statuto è frutto di un ampio e lungo dibattito interno, e viene approvato dai congressi e non da organi esecutivi come la direzione. Non può essere modificato in corso d'opera. Non lo si fa anche perché per ridurre alla ragione i dissenzienti esistono altri strumenti. Per esempio basta ingolfare gli organi dirigenti (segreterie, direzioni, comitati, assemblee) di centinaia di membri perché tale strutture non riescano a funzionare alimentando così l'idea che sia più efficace rassegnarsi alla ratifica immediata e a un dibattito fittizio.

C'è un terzo elemento che spiega le reazioni di una parte della maggioranza del Pdl a uno dei suoi fondatori. Mi riferisco al culto del capo, che assume una torsione plebiscitaria e fa dell'unanimismo una regola permanente. Chi esprime dubbi e non passa subito all'applauso frenetico va esorcizzato e prima o poi messo a tacere.
Comunismo e nazismo prima e i regimi populistici successivamente sono vissuti con queste regole illudendo le masse che fossero loro a decidere. Il partito liberale di massa, finalmente, dopo più di un secolo, ha visto la luce in Italia. Si chiama Pdl. Ha un impianto ideale fortemente pluralista, un orientamento liberal-democratico e anche liberal socialista (da questa cultura vengono Brunetta, Cicchitto, Sacconi, Tremonti, Craxi, Caldoro, Boniver ecc.) che convive con quello dei cattolici popolari di Cl, della Dc, disegnando una grande comunità politica a-ideologica. Ha un leader riconosciuto e capace, Silvio Berlusconi, e una leadership preziosa (alla quale si deve una serie di vittorie elettorali splendide), di cui fa parte Gianfranco Fini.
Bisogna impedire che le attuali divergenze vengano esasperate e approfondite, invece che apertamente discusse e mantenute, quando non è possibile superarle, senza intralciare l'attuazione degli obiettivi del programma di governo. La creazione di un nuovo partito è sempre un processo complicato e tortuoso. Le tensioni e i conflitti possono essere i dolori del parto, un segno della vivacità e della passione, cioè di definizione dell' identità oppure annunciano le contorsioni della morte. Chi può volere quest'ultima?

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina