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In margine ad un incontro-dibattito sulla "Globalizzazione": alcune riflessioni e qualche documento

Paolo Razzuoli
Documenti allegati: Maurizio Vernassa - Flavia Favilla

Venerdi' 18 luglio u.s. si e' svolto, organizzato da Forza Italia-verso il Popolo della Liberta', un incontro-dibattito sul tema "Globalizzazione - paure e speranze" a cui hanno offerto interessanti contributi il Prof. Maurizio Vernassa, dell'Universita' degli studi di Pisa, e l'On. Paolo Bartolozzi, europarlamentare del PdL.

Si e' trattato di un'occasione molto stimolante, vertente su uno dei temi piu' dibattuti, esaltati e/o temuti della contemporaneita'.

chi non ha negli occhi le immagini di qualche corteo di "no global", che puntualmente accompagna i summit mondiali, primi fra tutti i cosiddetti G8?

Ma cos'e' questa globalizzazione di cui tanto si parla?
Provero' a sviluppare alcune riflessioni.

Viviamo in un mondo in cui sono state abbattute le distanze e sono cadute molte delle tradizionali barriere che separavano, sino al XX secolo, i popoli anche degli stessi continenti. Cosa ha prodotto la caduta dei tradizionali diaframmi e' facile dire: i mezzi di trasporto sempre piu' veloci, i mezzi di comunicazione a partire dalla radio, il telefono, poi la televisione, poi le comunicazioni via satellite ed in fine la rete Internet sono solo i piu' palesi esempi.
Soprattutto dopo la seconda guerra mondiale si e' sviluppata sempre di piu' una politica di libero scambio ed e' accresciuta in proporzioni fino ad oggi deltutto sconosciute la mobilita' delle persone e delle cose.

Ormai le distanze fisiche quasi piu' non si avvertono. Con un clic di Mouse e' possibile, con la medesima facilita', leggere un sito Internet appoggiato ad un server collocato nello stesso palazzo piuttosto di un sito che si trova a Pechino. E' possibile acquistare merci prodotte in Giappone quasi con la stessa facilita' dell'acquisto di un prodotto fabbricato a Varese. Con le nostre automobili, o i treni o i nostri aerei si percorrono in poche ore distanze che un tempo richiedevano viaggi di vari mesi.

E' di tutta evidenza che tali mutamenti, peraltro cadenzati con una velocita' straordinaria, gia' hanno prodotto radicali mutamenti nella contemporaneita' e altrettanto radicali mutamenti sono destinati a produrre in un futuro di cui non si riesce a comprendere i connotati.

E' superfluo sottolineare che, in questo contesto, le attivita' umane, in primo luogo l'economia, agiscono in un contesto planetario. E' appunto questa mondializzazione della vita che viene chiamata globalizzazione. E' un bene o e' un male? Le posizioni naturalmente divergono ma cio' che mi pare appurato e' che si tratta di un fenomeno irreversibile che condanna i suoi detrattori a meri paladini di una visione ideologica al di fuori della storia.

Certo e' un fenomeno che esige una grande capacita' di governo; monta quindi prepotentemente l'interrogativo, a mio avviso legittimo, sulla capacita' della classe politica di far fronte ad un fenomeno che non puo' essere certo interpretato e governato con i tradizionali strumenti della politica.

Globalizzazione ed appiattimento di modelli e comportamenti

Le economie mondiali sono ormai interconnesse, i mercati borsistici strettamente collegati, le aziende, non solo quelle multinazionali, ma anche le medie e le piccole aziende, sono in grado di dislocare la produzione fuori dai confini nazionali, laddove č pių conveniente produrre.
Tutto il mondo, almeno i paesi occidentali, ma anche gran parte degli altri paesi sparsi nei cinque continenti, consuma gli stessi prodotti, vede gli stessi film, legge i medesimi romanzi, beve Coca-Cola e pasteggia da Mc-Donald's, sfoglia giornali assemblati tecnicamente e ideologicamente allo stesso modo, si connette alla Grande Rete mondiale, Internet.

Non mi pare che - in questo contesto - risulti azzardato parlare di una sorta di totalitarismo che richiama la pianificazione di matrice comunista. Cio' che cambia e' che nel comunismo si pianificava la produzione, ora si pianificano i consumatori ed i consumi. Sembra quasi che il comunismo, almeno inteso come prassi di rigida pianificazione, battuto sotto il profilo politico ed ideologico, abbia trovato una nuova vita in una sorta di palingenesi che lo fa rivivere all'interno del nuovo mercato globale.

Le conseguenze

E' chiaro che un siffatto scenario comporta enormi conseguenze sul piano politico.
Molteplici sono i fattori da mettere in campo: economici, culturali, religiosi, antropologici ecc.. Si tratta di trovare gli strumenti idonei per un confronto a 360 gradi, con culture, mentalita', modi di vivere tanto diversi dai nostri.

Il fattore che piu' viene sottolineato nei dibattiti e' quello economico ma ritengo di dover sottolineare che esso e' uno dei tanti posti in campo dalle sfide che la globalizzazione pone, e sempre piu' porra', all'umanita'. Penso che il nostro futuro dipendera' proprio dalla capacita' di trovare risposte adeguate ai variaddendi di questa complessa operazione.

L'economia

La crescita economica delle cosiddette "Tigri asiatiche" - che crescono al ritmo di oltre il 10% di Pil all'anno - sta spostando il baricentro dello sviluppo economico mondiale: per accorgercene basta guardarci attorno per verificare la quantita' di prodotti di provenienza orientale; non solo prodotti di bassa tecnologia bensi' meccanismi avanzati quali cellulari, computers, automobili ecc..
Si tratta di uno sviluppo reso possibile da contesti deltutto diversi dai nostri, primo fra tutti il basso costo del lavoro dovuto all'assenza di sistemi di protezione sociale.
Noi non possiamo certo inseguire questi Paesi su questa strada: le conseguenze sarebbero esiziali.
Si dice che lo sviluppo di nuovi Paesi aprira' mercati enormi per i nostri prodotti e/o servizi. Occorre pero' puntare sulla qualita' poiche' il nostro segmento sara' quello qualitativo.
Ma riusciremo a trovare spazi occupazionali per le centinaia di miglioni di persone che vivono nel nostro continente?
Si dice che nei Paesi emergenti lo sviluppo creera' le condizioni per una crescita sociale e democratica, con una conseguente elevazione dei livelli di protezione sociale. Ma questo processo, ove avvera', che tempi avra'? Riusciremo a gestire la transizione?
Si parla tanto delle potenzialita' di sviluppo del terziario ma come e' possibile immaginare un terziario senza un secondario forte?

Credo siano questi gli interrogativi che piu' interpellano la classe politica europea, e occidentale in genere che, almeno al momento, sembra piu' ripiegata a subire i fenomeni che non attenta a comprenderne i rischi.

Naturalmente la liberta e l'allargamento dei mercati portano anche elementi positivi che non vanno affatto sottovalutati.
Si ritorna quindi alla capacita' di governo ed alla necessita' che, quanto meno per governare la transizione, venga messo mano ad una riscrittura delle regole del commercio mondiale (World Trade Organization) che, senza pensare ad anacronistiche barriere, riesca pero' a creare condizioni per riequilibrare la competitivita' mediante scelte che aiutino il miglioramento dei livelli di protezione sociale dei lavoratori dei Paesi emergenti.

Non si tratta di decisioni ne' semplici, ne' probabilmente indolori. Ma e' proprio su questo terreno che si vede la lungimiranza di una classe politica.
Decisioni anche pericolose sono, ove necessarie, sempre da preferirsi a "non decisioni"; la storia - anche recente - ben ce lo insegna.

L'Unione Europea

L'europa, che pur ha visto nel secondo dopoguerra una fase di straordinario sviluppo, sembra ora affannata nel trovare un denominatore comune.
Gli strumenti sovranazionali che il "vecchio continente " si e' dato sembrano incapaci per approntare una strategia complessiva all'altezza delle nuove sfide.

Dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, l'Europa ha vissuto una straordinaria stagione anche di rinnovamento politico il cui spessore non deve in alcun modo essere sottovalutato.
Dopo l'avvio della stagione dell'Euro e dell'allargamento dell'UE, siamo entrati in un tunnel nel quale si e' diffusa la sensazione di un'Europa lontana dai cittadini ed incapace di trovare un denominatore comune che gli consenta di giocare un ruolo attivo nel nuovo scenario planetario.
L'europa ha una moneta ma non ha un governo. Situazione che innesta un circolo vizioso nel quale la sfiducia alimenta difficolta' politiche (vedi bocciature dei trattati), cosi' come tali eventi finiscono, inesorabilmente, per fiaccare le residue opportunita' di politiche condivise.

Sta di fatto che l'Europa non potra' comunque sottrarsi dalla partita.
O la partita sara' giocata con intelligenza, oppure il gioco lo avranno altri e non potremo che rassegnarsi alla sconfitta.

L'europa ha alle spalle una straordinaria storia che qualcosa dovrebbe averci insegnato. Speriamo che, se pur nell'epoca delle memorie artificiali, l'uomo europeo non si mostri smemorato dei millenni della propria storia!!!

Il mondo Occidentale e la propria identita' culturale

Come gia' ho avuto modo di dire, la riflessione sulla globalizzazione normalmente viene identificata con il fattore economico. In realta' molti altri fattori sono messi in gioco: la cultura, la religione, i costumi, l'etica; in sintesi tutto cio' che confluisce nell'identita' di un popolo o di un'area antropica, quale ad esempio il mondo occidentale.

La mobilita' dei popoli ed il continuo confronto con contesti antropici diversi, richiedono strumenti culturali e comportamenti sociali capaci di offrire risposte ad uno scenario nuovo ed in rapida trasformazione.

A mio avviso e' proprio su questo versante che si giochera' la partita piu' delicata: una partita prima di tutto culturale giacche' e' proprio dalla consapevolezza culturale che puo' irradiarsi la capacita' di elaborazione politica.

Penso che analogamente alla positivita' di qualsiasi iniziativa finalizzata alla conoscenza dei popoli e delle culture, si debba pero' riflettere sulla circostanza che occorre lavorare sul versante della consapevolezza delle proprie radici e delle proprie identita'.
Si puo' essere protagonisti della globalizzazione culturale ed antropologica nella misura in cui si e' portatori della propria storia, della propria cultura, dei propri costumi. In mancanza di questa consapevolezza e' fin troppo facile rendersi conto che ci si incamminera' sulla strada del declino, cosi' come ci si sono instradate tutte le civilta' che sono implose dall'interno.

In un'epoca di dilagante relativismo, l'Europa ed il mondo occidentale debbono ritrovare l'orgoglio della propria storia e delle conquiste di civilta' e liberta' che essa ha saputo creare.
Non solo quindi il richiamo alle radici cristiane dell'Europa, a cui tanto si e' a suo tempo appellato Giovanni Paolo II ed ora tanto e' richiamato da Benedetto XVI; penso anche al dilagante relativismo etico e culturale, che rischia di minare cio' che di coesione ancora conserva la nostra societa'.
Una societa' che sembra aver perso qualsiasi connotazione di corpo sociale unitario per ridursi ad un mero assieme di individualita'. Mentre altre culture ed altre societa' hanno ben consolidato il senso della loro identita', da noi essa si e' sfilacciata sotto la mannaia dell'edonismo, del consumismo e del verbo relativista.

In Italia questi temi sono stati affrontati approfonditamente dal Sen Marcello Pera e dal gruppo che si ritrova attorno all'Associazione "Magna Carta"; a Lucca un contributo importante viene dall'Associazione Occidens.
Su questi temi - soprattutto in riferimento al rapporto con il mondo islamico - sono poi note le posizioni di Oriana Fallaci che, e non poteva essere diversamente, tante polemiche hanno suscitato.

Conclusione

Ho cercato, purtroppo in modo assai superficiale, di organizzare una riflessione su quello che io penso sia il tema fondamentale per il futuro dell'umanita'.
Un tema che oggi viene prevalentemente discusso sul versante economico ma che io penso debba trovare altrettanta, se non maggiore, attenzione sul versante antropologico.
So perfettamente che i problemi economici hanno un impatto immediato sull'opinione pubblica: so anche pero' che le grandi scelte politiche sono il frutto delle consapevolezze culturali e delle idee che esse sono in grado di far fruttificare.

Solo mediante un attento lavoro di riflessione si potra' - ad esempio - capire a fondo la questione islamica e la messa a fuoco di strumenti politici e culturali per affrontarla; solo cosi' si potranno valutare a pieno le conseguenze dell'impatto con il mondo orientale che attualmente, se pur declinato prevalentemente sul versante economico, certamente fra non molti decenni investira' anche la sfera politica.

L'incontro organizzato da FI-PdL e' stato una utile occasione di riflessione.
Ritengo utile allegare una sintesi dell'iniziativa, redatta da Flavia Favilla, che contiene integralmente la relazione del Prof. Vernassa ed un riassunto dell'intervento dell'On. Bartolozzi.

Cliccare qui per leggere/scaricare il documento.

Lucca, 26 luglio 2008

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