logo Fucinaidee

Commento all'Enciclica "Spe salvi"

Di Mario Battaglia

“Nella speranza siamo salvati”. Si apre con questa citazione della Lettera ai Romani (8,24), la seconda enciclica di una probabile trilogia sulle virtù teologali come ci lascia intravedere il Papa.
E’ un testo complesso di 50 paragrafi profondamente radicato sulla parola di Dio e sul linguaggio biblico, con un supporto ermeneutico abbastanza raffinato e che procede nell’argomentazione, come è nello stile di Benedetto XVI, attraverso un appassionato confronto con la cultura moderna.

E’ rivolta, innanzi tutto, ai credenti, che sembrano aver smarrito le grandi coordinate della speranza teologale e averla sostituita con una miriade di progetti troppo terreni, relegandola in un vago “oltre” che non influisce sulla loro esperienza religiosa e civile; ma si rivolge anche ai non credenti, a ogni uomo e donna che non voglia limitarsi a vivere la propria esistenza quotidiana condannata alla stanchezza di un divenire senza senso, ma sperimenti l’orizzonte sconfinato della speranza nell’incontro con Dio.

Cosa è la speranza per il Papa?
E’ conoscenza di Dio e Pasqua di Cristo risorto, dunque fede e liberazione in una persona, in Gesù redentore che accompagna l’uomo tutta la vita. Lo dice già all’inizio dell’enciclica con un esempio, forse poco conosciuto, ma che tutti capiscono, quello di Giuseppina Bakhita, santa, canonizzata da Giovanni Paolo II durante l’anno santo. Questa donna schiava, picchiata, comprata, venduta più volte, incontrando la fede cristiana inizia quel processo di liberazione che la porta a incontrare Dio, che le offre l’amore. La speranza era nata in lei e l’aveva liberata.
Il Papa spiega così che il messaggio cristiano di speranza non è solo comunicazione di cose che si devono sapere (resoconto di una storia passata), ma “performazione”, cioè qualcosa che ha a che fare con un incontro, con un’educazione che produce eventi trasformanti, cambianti la vita.

Tutto questo, poi, lo afferma parlando di futuro, di vita eterna attraverso una rilettura di alcuni Padri della Chiesa. La speranza abbraccia tutto il tempo per andare “oltre il tempo”. Alcuni esempi delle comunità cristiane antiche diventano, inoltre, illuminanti anche per noi: vivendo con uno stile fondato sulla speranza, erano riusciti a costruire una comunità nuova. Non era facile vivere in quell’epoca; ma i primi cristiani ci riuscivano, perché sapevano che la loro vita non sarebbe finita nel vuoto, nel nulla, sarebbe stata redenta.

Nell’enciclica viene respinta così l’idea di un cristianesimo individualista, rifugio in una dimensione di salvezza privata. Mette in rilievo, invece, l’importanza della Chiesa come luogo dove imparare insieme a camminare nella storia con speranza.

A questo tipo di argomentazione che potremmo definire ecclesiologica, segue una valutazione di teologia della storia, nella quale il pontefice discute di teologia e di filosofia politica. E’ un’analisi di grande spessore, espressa in un linguaggio semplice, anche se con passaggi necessariamente complessi che dovranno essere ripresi e studiati con molta attenzione da teologi e filosofi. E’ una sorta di “concentrato” di storia del concetto di speranza alla luce della verità storica. Il Papa spiega che le ideologie, dall’illuminismo all’ateismo passando per il marxismo, sono “speranze brevi, momentanee”, hanno fallito nei tentativi di costruire una nuova giustizia umana e, anzi, hanno creato spesso “crudeltà” e “ingiustizie”. Riconosce a Marx “acutezza” nell’analisi sociale e “vigore di linguaggio e di pensiero”, ma critica il suo “errore fondamentale”, il materialismo, e la traduzione nella “dittatura del proletariato” che ne ha fatto Lenin con la Rivoluzione d’ottobre, che ha lasciato dietro di sé una “distruzione desolante” perché non si è tenuto conto della libertà.
Parole severe il Papa le ha riservate anche alla scienza e all’ambiguità del progresso che rischiano di distruggere l’umanità e di portarla fino agli abissi del male.

L’argomentazione procede, poi, nelle pagine finali sempre sul piano teologico, approfondendo la dimensione escatologica della speranza, cioè della dottrina sui destini ultimi dell’umanità, che va contro ogni millenarismo, cioè ogni idea che di fronte al male non bisogna fare nulla, ma attendere solo il regno di Dio. E’ una parte molto suggestiva, con tratti assai innovativi nella trattazione. Il Papa è convinto che la questione decisiva nel Giudizio finale circa la vita eterna sarà la giustizia. “Dio è giustizia e crea giustizia”. E’ questa la consolazione e la speranza dei cristiani. Al tempo stesso chiede ai credenti, “il coraggio dell’autocritica”, per “imparare nuovamente in cosa consista veramente la loro speranza” e impegnarsi senza limiti sapendo che lo fanno per tendere alla vita eterna. Questa è la differenza con le speranze “terrene”.

Nel nostro tempo cosiddetto post-moderno, è ancora possibile sperare e vivere della speranza cristiana! Questo sembra l’idea chiave dell’enciclica. Proprio perché stiamo attraversando la modernità verso un’altra epoca, due convinzioni sono radicate in chiunque di noi accetti la sfida di pensare a fondo il nostro tempo, come fa Benedetto XVI: la prima è che non si può vivere senza un grande orizzonte di senso e di speranza, che diriga l’impegno e motivi le scelte personali e comunitarie; la seconda è che questo orizzonte non ce lo diamo da soli, ma ci viene donato da Dio. E’ Lui il fondamento della speranza che non illude né delude. Preghiera costante, amore generoso, capacità di soffrire per gli altri, giudizio di verità e di giustizia, sono poi i volti concreti (o come li definisce il Papa i “luoghi di apprendimento”) della speranza per rendere migliore il mondo che viviamo e per “diventare definitivamente capaci di Dio e poter prendere posto alla tavola dell’eterno banchetto nuziale”.

Se volessimo, conclusivamente, annotare qualche osservazione critica, potremmo evidenziarne due:
a) mancano nell’enciclica dei riferimenti a “germi di speranza” nella storia presente che si trovano ampiamente disseminati, non solo nell’esperienza religiosa, ma anche in quella “laica” dell’umanità;
b) e come alcuni osservatori credenti e non hanno già sottolineato, l’analisi è strettamente occidentale; manca, pertanto, un’attenzione ad altre culture, ad altri mondi, un’apertura, oggi più che mai necessaria, ai “semi di speranza” presenti nelle altre religioni.

In ogni caso, l’ampiezza di orizzonte che la caratterizza ci fa alzare, una volta in più, lo sguardo verso il cielo e, in un mondo dove siamo un po’ tutti troppo ancorati alla materialità della terra e affannati dai problemi contingenti, è quanto meno salutare leggerla per provare a dare una “direzione” e un “significato” più autentico alla nostra stessa vita.

Lucca, 18 dicembre 2007
Mario Battaglia

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina