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Ieri i MENESTRELLI a Lucca - Oggi i LAVAVETRI a Firenze
Quando la legge diventa un optional - E la depenalizzazione ha ancora un futuro?

di Luigi Pinelli

(Cliccando qui o in calce al presente contributo, potra' essere letto un intervento dello stesso autore dal titolo "Depenalizzazione: riflessioni per la revisione della Legge 24 novembre 1981 n.689" pubblicato sulla Rivista di Polizia del 1994.)

L’ordinanza del Comune di Firenze n. 2007/00774 del 25/08/2007

In questi giorni è sulle prime pagine dei giornali e nella scaletta dei telegiornali nazionali e locali il provvedimento con cui il Comune di Firenze ha inteso dare un alt alla attività di “lavavetri”, vale a dire uno dei “mestieri girovaghi” praticamente sconosciuto in Italia fino all’insorgere del fenomeno della immigrazione in atto, senza interruzioni, ormai dagli anni ottanta.
L’iniziativa fiorentina merita sicuramente, non solo per il clamore suscitato, una serie di riflessioni che vanno dall’esame degli aspetti giuridici alla base dell’ordinanza, a qualche ipotesi di revisione della legislazione in materia e, se si vuole, ad alcune considerazioni sulla funzione dei mezzi di informazione, dato il ruolo che la comunicazione esercita attualmente.

Va premesso che fino al 1978 l’esercizio dei cosiddetti “mestieri girovaghi” era subordinato alla iscrizione in un apposito registro da parte della Questura, in base all’art. 121 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773, che così recitava:
Art.121:”Salvo le disposizioni di questo testo unico circa la vendita ambulante delle armi, degli strumenti atti ad offendere e delle bevande alcoliche, non può essere esercitato il mestiere ambulante di venditore o distributore di merci, generi alimentari o bevande, di scritti o disegni, di cenciaiolo, saltimbanco, cantante, suonatore, servitore di piazza, facchino, cocchiere, conduttore di veicoli di piazza, barcaiolo, lustrascarpe e mestieri analoghi, senza previa iscrizione in un registro apposito presso l’autorità locale di pubblica sicurezza. Questa rilascia certificato della avvenuta iscrizione.
L’iscrizione non è subordinata alle condizioni previste dall’art. 11 né a quella prevista dal capoverso dell’art.12, salva sempre la facoltà dell’autorità locale di pubblica sicurezza di negarla alle persone che ritiene capaci di abusarne.
E’ vietato il mestiere di ciarlatano.”

Come si vede, l’iscrizione, non dovendosi tener conto di quanto stabilito dagli articoli 11 e 12, poteva essere concessa anche a pregiudicati.
Successivamente, con effetto dal 1° gennaio 1978, l’articolo 19, comma 14, del DPR 24/7/1977, n.616, sotto il titolo “Polizia amministrativa.” stabiliva che “Sono attribuite ai comuni le seguenti funzioni di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n.773 e successive modificazioni: la registrazione per mestieri ambulanti (venditore di merci, di generi alimentari e bevande, di scritti e disegni, cenciaiolo, saltimbanco, cantante, suonatore, servitore di piazza, facchino, cocchiere, conduttore veicoli di piazza, barcaiolo, lustrascarpe e mestieri analoghi) di cui all’art. 121.”
Di conseguenza, da quella data l’articolo 121 del T.U.L.P.S. restava al di fuori della competenza comunale solo riguardo al divieto del mestiere di “ciarlatano”, sotto la cui denominazione, in base all’art. 231 del relativo regolamento, a titolo meramente esemplificativo va compresa “ogni attività diretta a speculare sull’altrui credulità o a sfruttare od alimentare l’altrui pregiudizio, come gli indovini, gli interpreti di sogni, i cartomanti, coloro che esercitano giochi di sortilegio, incantesimi, esorcismi, o millantano o affettano in pubblico grande valentia nella propria arte o professione, o magnificano ricette e specifici, cui attribuiscono virtù straordinarie o miracolose», abusando della credulità popolare e dell’ignoranza.

In proposito ed a puro titolo di informazione, intendendosi trattare qui una questione di altra natura, merita che si segnali - per capire meglio certe cose e quanto talora sia difficile soddisfare le aspettative del cittadino - come un provvedimento del 19 aprile 1996, con cui il Questore di Milano ordinava al sig. A. S. di cessare dall’esercizio del mestiere di ciarlatano (per l’esattezza, il mestiere di cartomante) svolto in Milano a mezzo di utenze telefoniche, a seguito di ricorso dell’interessato sia incorso nell’annullamento da parte del TAR della Lombardia e come, ancor più sorprendentemente, l’appello al Consiglio di Stato proposto dal Ministero dell’Interno e da quella Questura sul presupposto che «nell’attività diretta a speculare sull’altrui credulità, o a sfruttare od alimentare l’altrui pregiudizio» la pericolosità sia da valutarsi in astratto, non essendo necessario che in concreto l’interesse protetto sia leso, sia invece stato respinto perché “l’Amministrazione non doveva limitarsi alla contestazione, ma aveva il dovere di valutare in concreto, attraverso apposita istruttoria, l’oggettiva idoneità dell’attività svolta ad integrare l’ipotesi di ciarlatano”. (Consiglio di Stato – Sez. VI, Sentenza 2 febbraio 2006, n. 510).

Ritornando alla vicenda dei lavavetri, dunque, dopo l’attribuzione ai Comuni della tenuta del registro dei mestieri girovaghi sono poi intervenuti sulla materia la legge 15 marzo 1997, n. 59, avente per oggetto la "Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa" ed il conseguente D.P.R. 28 maggio 2001 n. 311, con il “Regolamento per la semplificazione dei procedimenti relativi ad autorizzazioni per lo svolgimento di attività disciplinate dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”, recante all’art. 6 l’abrogazione espressa degli articoli 121, primo e secondo comma, e 124 e 125 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, con la conseguente liberalizzazione dei mestieri girovaghi elencativi e la contestuale rimessione ai regolamenti comunali della facoltà di disciplinarne o vietarne autonomamente l’esercizio.

Per quanto riguarda il Comune di Firenze, risulta dal preambolo stesso dell’ordinanza in commento che l’esercizio del mestiere di lavavetri è in effetti assoggettato tuttora, a mente dell’articolo 119 del regolamento locale di polizia municipale, al conseguimento di apposita autorizzazione comunale. Di fatto, però, tale attività è sostanzialmente vietata, in quanto ad oggi il Comune afferma di non aver rilasciato alcuna autorizzazione del genere.
Su tali presupposti normativi, i lavavetri sorpresi ad esercitare l’attività senza autorizzazione sono finora incorsi - infatti - nelle semplici sanzioni amministrative pecuniarie riservate alle inosservanze dei regolamenti locali dai vari testi di legge che hanno depenalizzato la materia a partire dalla legge 3 maggio 1967, n. 317.

Ma allora, si dirà, come e perché il salto di qualità dalle sanzioni amministrative alle sanzioni penali operato con l’ordinanza n. 2007/00774 del 25 agosto 2007, immediatamente esecutiva?
Le ragioni del perché sono agevolmente intuibili ictu oculi. Per le sanzioni pecuniarie depenalizzate, infatti, in caso di mancato pagamento la legge n. 689/81 consente alle amministrazioni creditrici il recupero delle somme dovute solo attraverso l’atto esecutivo del pignoramento e la vendita di determinati beni mobili posseduti dal trasgressore moroso, senza possibilità di conversione, ad esempio, né in prestazioni lavorative obbligatorie né nella detenzione prevista in materia penale. Su tali presupposti, il mancato pagamento da parte di soggetti privi di qualsiasi bene pignorabile rende automaticamente priva di qualsiasi effetto la sanzione pecuniaria depenalizzata, vanificandone totalmente gli effetti dissuasori che l’applicazione o la semplice previsione di qualsiasi specie di pena dovrebbero avere.
In altri termini, la vicenda ha ancora una volta evidenziato, come in numerosi altri casi, l’assoluta inefficacia della sanzione pecuniaria depenalizzata nei riguardi della esigenza di arginare comportamenti antigiuridici posti in essere da soggetti totalmente insolvibili fin dall’origine.
Piaccia o non piaccia, quindi, ragionando sull’ordinamento esistente va preso atto che le sanzioni previste per la violazione del citato articolo 119 del Regolamento di polizia municipale di Firenze a carico di soggetti insolvibili avrebbero continuato a fare la fine che verosimilmente hanno fatto finora, vale a dire quella dell’archiviazione senza recupero del credito, se i lavavetri avessero continuato ad esercitare il mestiere, ancorché abusivamente, con l’accortezza di non trasformarlo in un estorsivo mobbing nei riguardi dei clienti, soprattutto verso i più indifesi, di non intralciare il transito dei pedoni e dei veicoli, di rispettare la pulizia e l’igiene dei luoghi.

Evidentemente, come accade quasi sempre, la sperimentata certezza della impunità e la acquisita consapevolezza che la sanzione amministrativa non lascia traccia nella "storia personale" dell’autore della violazione hanno finito - alla lunga - per stimolare nei suddetti soggetti soprattutto l’arroganza dei comportamenti e la noncuranza per le esigenze altrui (accade anche in famiglia, talora) al punto da creare le condizioni oggettive per l’applicazione di una norma penale, probabilmente abusata prima delle varie depenalizzazioni ma tuttora invocabile in ambiti e situazioni particolari.
La disposizione è appunto quella dell’articolo 650 del codice penale, del quale - in funzione di quanto si andrà a dire - merita che si riporti di seguito il contenuto testuale.

Art. 650. Inosservanza dei provvedimenti dell'autorità. “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206”.

Trattasi, come si vede, di una “norma in bianco”, comprensiva - vale a dire - del precetto (obbligo di osservare i provvedimenti dell’autorità legalmente adottati) e della sanzione (arresto e ammenda) ma il cui riempimento è demandato ad altra fonte subordinata (nel caso di specie, l’ordinanza del Sindaco) limitatamente, peraltro, ad esigenze occasionalmente e temporaneamente urgenti in materia di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene.
Va rilevato, in proposito, che il ricorso all’art. 650 è tutt’altro che infrequente a livello comunale, dato che l’ordinanza contingibile rappresenta il rimedio utilizzato in tutte le situazioni di pericolo alle quali non sia possibile ovviare con la necessaria immediatezza attraverso gli strumenti giuridici ordinari.
Per esemplificare ancora, merita che si ricordi che l’art. 650 può essere applicato anche all’automobilista che, trovando il preavviso di verbale al parabrezza del veicolo lasciato in sosta vietata, rifiuti di ottemperare all’ordine orale (anche l’ordine orale è un provvedimento, se legalmente adottato) del vigile urbano di effettuarne l’immediato spostamento in altra area, nel caso in cui la sosta in atto costituisca grave pericolo per la sicurezza degli altri utenti.
Per completare l’inciso, a beneficio dell’utente stradale va precisato che l’art. 650 non sarebbe invece applicabile laddove la sosta, ancorché vietata, non costituisse fonte di pericolo: in tal caso, però, il rifiuto di spostare il mezzo darebbe luogo, poco dopo la immediata contestazione e la consegna del verbale, ad una nuova ed ulteriore contestazione della medesima violazione del divieto di sosta, in quanto la avvenuta contestazione di quella precedente esaurisce l’illegalità pregressa ma non comporta l’immunità per le violazioni successive.

Ritornando all’ordinanza di Firenze, va dato atto che dal punto di vista formale l’ordinanza appare adeguatamente aderente ai criteri individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza per i provvedimenti di tale natura. Anche il fatto che risulti sottoscritta da un Assessore anziché dal Sindaco o dal Vice Sindaco, cui ordinariamente è riservata la firma di atti di tale natura, non sembra si presti a rilievi dal momento che l’articolo 36 dello Statuto del Comune di Firenze reca che “il Sindaco nomina fra gli Assessori un Vice Sindaco che lo sostituisce in caso di assenza o impedimento” e che “in caso di assenza o di impedimento anche del Vice Sindaco le funzioni di Sindaco vengono svolte dall'Assessore più anziano di età”: l’Assessore Cioni non vorrà dolersi quindi se la verifica della validità della sottoscrizione dell’ordinanza comporta anche una inevitabile incursione nella sua privacy, dato che, per quanti siano gli anni che egli ha e per quanto dimostri di portarli bene, la firma in calce all’ordinanza è da presumersi riveli come egli sia in effetti il più anziano tra i pari grado della Giunta.

Il testo dell’ordinanza un appunto comunque lo richiede, ancorché irrilevante per l’efficacia dell’atto. L’inserimento nel disposto dell’ordine di “sequestro delle attrezzature utilizzate per lo svolgimento dell'attività e della merce” esula evidentemente dalla competenza del Sindaco, trattandosi non di sequestro amministrativo (quale sarebbe se la violazione contestata consistesse in quella prevista dal regolamento comunale) ma del sequestro conseguente alla violazione dell’art. 650 del codice penale. In proposito, l’articolo 354 del codice di procedura penale prevede infatti che sono “gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria” che “se del caso, sequestrano il corpo del reato e le cose a questo pertinenti”.

Quanto ai presupposti concreti del provvedimento, la valutazione si presenta invece oggettivamente meno agevole, in questa sede.
Vero è che l’ordinanza dà nel preambolo correttamente atto della esistenza di “gravi pericoli” per la circolazione veicolare e pedonale e del “nocumento” per l’igiene delle strade conseguenti all’esercizio “abusivo” (stante l’obbligo di autorizzazione sopravvissuto alla delegificazione, a livello di regolamento locale) del mestiere girovago di “lavavetri”. Detti richiami, se da un lato consentono di convenire aprioristicamente sulla astratta legittimità formale dell’atto, dall’altro presuppongono però la scorta di adeguati elementi di prova da produrre in sede di eventuale dibattimento davanti al giudice penale, a pena della “disapplicazione” (per l’annullamento, al contrario, l’ordinanza dovrebbe essere impugnata davanti al TAR). Sotto questo profilo, evidentemente, la sola lettura del provvedimento non consente alcun giudizio definitivo, anche se la conoscenza diretta e la stima verso alcuni dei principali soggetti che hanno concorso alla sua messa a punto autorizzano a ritenere che tutte le possibili “pezze di appoggio” siano state scrupolosamente acquisite e che gli inconvenienti all’origine dell’iniziativa possano essere sufficientemente documentati in ogni sede, come richiesto.

In conclusione, allo scrivente pare che il provvedimento presenti sufficienti requisiti, sia in punto di diritto che – verosimilmente - di fatto, per affrontare l’esame dibattimentale davanti all’autorità giudiziaria con ragionevole fiducia, anche se l’esito va lasciato prudentemente aperto a qualsiasi pronostico.

Osservazioni “de jure condendo”

Naturalmente, è appena il caso di ricordarlo, l’ordinanza - in quanto provvedimento di natura “contingibile ed urgente” - ha forzatamente validità temporanea, che il Comune ha fissato infatti al 30 ottobre 2007, e non rappresenta la soluzione definitiva del problema, come sicuramente sanno bene gli stessi promotori. La temporaneità, tuttavia, non ne sminuisce affatto l’importanza, perché segna comunque un punto fermo da cui è prevedibile ed auspicabile che possa e debba partire una riflessione complessiva sull’intero sistema della depenalizzazione, in grado di adeguarne la disciplina - anche con la individuazione di nuove sanzioni accessorie - alle esigenze concrete maggiormente sentite dalla collettività, al di là delle solite speculazioni teoriche prive di prospettive reali. E’ difficile, in altri termini, pensare che si possa continuare ad ignorare che per effetto della depenalizzazione troppe disposizioni, pur conservando il precetto, di fatto hanno perduto qualsiasi efficacia per la inapplicabilità della sanzione nei riguardi di chi, qualunque ne sia la causa, non abbia niente da perdere.
Basta pensare, per esempio, alla disciplina della circolazione stradale ed alla frequenza delle “pezze” che il legislatore è indotto ad applicarvi sull’onda dei “buchi” evidenziati senza tregua ora da episodi di pirateria, altre volte da guide in stato di ebbrezza, in altri casi da inosservanze di limiti di velocità, domani da chissà cos’altro ancora. Se qualcuno volesse infatti prendersi la briga di verificare, in termini di produttività, la reale efficacia della tanto sbandierata introduzione della “patente a punti”, ad esempio, non pare da escludersi che potrebbe già avere la sorpresa di scoprire che il reale bilancio di quello che altri hanno già tacciato di “provvedimento mediatico” è tutt’altro che positivo.
Anche volendo ignorare che gli effetti dissuasori dell’istituto sembrano essersi esauriti più rapidamente di quanto si poteva supporre, per un giudizio meno superficiale di quello ricavabile dai dati statistici, la cui attendibilità già di per sé meriterebbe qualche approfondimento, si dovrebbe infatti tener conto anche dei dirottamenti di personale dai servizi esterni verso l’espletamento degli adempimenti burocratici richiesti per la gestione dei punteggi, per valutare se il rapporto costi-benefici sia effettivamente positivo, e in quale reale misura.

Indipendentemente dall’esito che potrà avere in relazione al caso specifico, l’ordinanza fiorentina pare dunque funzionale – per le problematiche sollevate – anche a stimolare un dibattito sulla evidente urgenza di affrontare la questione della depenalizzazione con un disegno globale e senza preconcetti.

Riflessioni di merito

Personalmente, lo scrivente non ritiene opportuno inserirsi in questa sede nel dibattito ideologico suscitato dal provvedimento fiorentino, parendogli che molte delle prese di posizione registrate dalla stampa, in quanto frutto, per lo più, di posizioni abbastanza scontate e prevedibili, risultino come tali di scarsa utilità e di limitato pregio ai fini di un aggiornamento del quadro normativo.
Da un’altra angolazione, semmai, va qui espresso soprattutto il rincrescimento che da parte dei soliti noti non si riesca, neanche in questa occasione, a tenere presente la distinzione che occorre sempre fare, in situazioni del genere, tra il momento della attività di legislazione (de jure condendo) e il momento della applicazione delle disposizioni già in vigore (de jure condito). Si vuol dire, in altri termini, che non si possono ripensare i contenuti di una qualsiasi legge - allo scopo di disapplicarla - solo al momento in cui il solo l’obbligo sia invece quello di dar loro attuazione, salvo poi accantonarne regolarmente le eventuali problematiche fino a quando l’esigenza applicativa non si riproponga nuovamente.
Allo stesso modo, va negativamente sottolineata anche la diffusa confusione che troppi fanno tra i termini non coincidenti di “diritto” e “giustizia”, pretendendo di adeguare in sede di applicazione il diritto oggettivo vigente a concetti di giustizia fra l’altro del tutto individuali, in evidente spregio del principio della certezza del diritto che rappresenta un caposaldo irrinunciabile in termini di civiltà.

Diverso naturalmente è il discorso che può farsi in sede di revisione e modifica delle disposizioni esistenti (de jure condendo), dove è non solo giusto ma addirittura auspicabile che chiunque possa esprimersi come crede, contribuendo in varia misura alla sintesi spettante agli organi legislativi dello Stato.

Fatte tali puntualizzazioni, va sottolineata ancora l’assoluta inaccettabilità, in ogni caso, di disposizioni che prevedano sanzioni palesemente del tutto improduttive nei riguardi di determinati destinatari, semplicemente osservando che un precetto senza sanzione è inconcepibile in quanto, senza sanzione, il precetto diventa inutiliter datum o addirittura una “pietra dello scandalo” funzionale all’ulteriore incremento della “illegalità diffusa”.
Ritornando al caso specifico, pertanto, se si ritiene che i mestieri girovaghi siano da liberalizzarsi, si prenda atto che l’unico modo legale di farlo è quello di abrogare le norme che li assoggettano a qualsiasi specie di licenza o autorizzazione. Ma se si vuole invece che l’esercizio di tutte o di alcune delle attività di cui trattasi debba restare sotto il controllo delle autorità, per esigenze di tutela dei diritti dei terzi su cui si ritenga possa incidere, allora si prevedano per gli eventuali trasgressori – a livello di legge - sanzioni effettivamente produttive di “conseguenze afflittive”, seppure in termini commisurati alla natura delle violazioni e alla importanza degli interessi lesi. Nell’un caso come nell’altro, infatti, solo chi non vuol sentire può non avvertire come la gente comune, quella che generalmente è più esposta agli effetti di certe degenerazioni comportamentali che non toccano chi viaggia solitamente in auto blindate e con scorte armate, sia sempre meno disposta a dare credito a chi pretenderebbe che l’applicazione di norme a tutela dell’ordinata convivenza attuale fosse subordinata alla soluzione di problematiche di natura planetaria.
Se si pensa poi che una nota comunità è arrivata addirittura a sostenere che sarebbero i lavavetri a dover essere difesi dall’aggressività dei cittadini, evidentemente non resta altro da dire per il completamento del quadro.

Allo stato delle cose, dunque, se è vero - come è vero - che lo Stato ha il dovere di garantire la sicurezza dei cittadini, bene ha fatto dunque il Comune di Firenze, ricordando che “dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”, a rompere gli indugi di fronte a fenomeni indegni - questi sì - di un paese civile e ad avvalersi di disposizioni facenti parte da sempre - e senza contestazioni - dell’ordinamento vigente, per ovviare - seppure con effetti temporanei - ad inconvenienti sotto gli occhi di tutti e per sollecitare in pari tempo l’attenzione del legislatore nazionale su problematiche non risolvibili evidentemente solo con gli ordinari strumenti giuridici attualmente a disposizione dell’Ente locale.

Sui mezzi di comunicazione

La vicenda giustifica, come in molti altri casi di analoga natura, anche un voto ampiamente negativo per molti dei mezzi di comunicazione di massa, vista la intollerabile approssimazione con cui troppi provvedimenti delle autorità vengono resi noti e commentati.

Merita di ricordare, in proposito, come anche la città di Lucca abbia avuto anni fa l’onore delle cronache locali e nazionali per una vicenda per molti versi analoga a quella di Firenze. Il motivo del contendere riguardava allora quelli che qualcuno si compiacque di chiamare “menestrelli”, vale a dire i “suonatori ambulanti” elencati dal solito articolo 121 del testo Unico di pubblica sicurezza accanto agli altri “mestieri girovaghi”, che si pretendeva - chissà perché - di far esibire sulle aree pubbliche cittadine senza l’iscrizione nel registro dei mestieri girovaghi allora ancora in vigore. In sostanza, la vicenda aveva una importanza intrinseca assolutamente relativa e assai minore - ancorché della stessa natura - di quella attualmente in atto a Firenze, ma, per effetto di certe prese di posizione fatte proprie e comunque diffuse dai mezzi di comunicazione, assunse rapidamente dimensioni nazionali ed una piega a dir poco sgradevole. Quando, come avvenne allora, si contesta pubblicamente non tanto il contenuto di una norma (che all’epoca aveva il valore di legge, derivando dall’articolo dell’art. 121 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza ora abrogato) quanto l’intervento di chi istituzionalmente è tenuto ad applicarla, non si rende infatti un buon servizio alla collettività ed al culto della legalità, anche laddove la norma appaia (e non lo era, visto che sopravvive in molti regolamenti locali) più o meno superata, e di sicuro non si incentiva neppure l’impegno degli organi di vigilanza allorché si pretende che il singolo addetto si immoli, esponendo se stesso ad accuse di omissione di atti di ufficio, per soddisfare le ideologie di questo o di quello.

Nell’attuale vicenda di Firenze, invece, i mezzi di comunicazione si sono distinti anche e forse soprattutto per alimentare aspettative assolutamente infondate, analogamente a quanto occorso recentemente anche riguardo ai poco significativi aggravi apportati dal Governo a certe sanzioni del codice della strada.

Evidentemente “eccitati” dal fatto che la violazione dell’articolo 650 del codice penale sia punita con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206, anche diversi giornali nazionali, infatti, si sono subito lanciati a “sparare” nelle prime pagine che “Firenze dichiara guerra ai lavavetri”, quasi fosse alle porte un nuovo passaggio del Piave, che “I lavavetri a Firenze hanno le ore contate”, come se fossero già pronte le ghigliottine, o addirittura (v. “Corriere della sera”) che a “Firenze, ora i lavavetri rischiano l’arresto, … in cella fino a tre mesi”, senza considerare, evidentemente, che in base al vigente codice di procedura penale nessuno (tranne forse qualche recidivo reiterato) risulta essere mai finito in carcere per la violazione di una norma che preveda un limite massimo di pena del genere, e dimostrando di ignorare, tra l’altro, che anche la eventuale ed astratta irrogazione dell’arresto è solitamente convertita in una semplice ammenda. Se le sanzioni dell’articolo 650 stanno dimostrandosi efficaci, ciò è dovuto non tanto alla loro “gravosità” quanto alla diversa natura rispetto a quella delle sanzioni depenalizzate. L’applicazione della sanzione penale può comportare infatti la comparizione davanti a un giudice, l’approfondimento dello status di immigrato, l’indicazione di un preciso recapito ai fini della reperibilità, l’annotazione nel casellario giudiziale, la necessità di un avvocato, la conversione della sanzione pecuniaria in pena detentiva e comunque una serie di adempimenti, di annotazioni e di “attenzioni” solitamente poco gradite a chi si trovi a vivere nella precarietà, soprattutto se malintenzionato.

Qualunque sia o sia stato l’intento di sortite del genere anche da parte di testate solitamente definite “prestigiose”, la faciloneria dei contenuti resta tale da creare, in chi non sia cultore della materia, aspettative destinate ad essere regolarmente deluse, e da portare di conseguenza solo acqua alle ragioni di chi ritenga di avere già altri motivi per dubitare della affidabilità delle istituzioni pubbliche.

Il colmo, però, l’ha toccato forse una TV locale, la quale, preannunciando l’adozione di un provvedimento analogo a quello in esame da parte di un altro Comune del circondario di Lucca, riferiva nei Tg ed inseriva anche nel sito Internet che nell’ordinanza sarebbe stato previsto “anche stato di fermo per chi opporrà resistenza al lavoro della polizia municipale”, come se l’Ente locale potesse autonomamente dotarsi, con un semplice atto amministrativo, di un codice di procedura penale proprio, in barba alla riserva di legge vigente in materia penale.

Se la domanda non fosse destinata a non avere alcuna risposta, sarebbe da chiedersi come sia possibile, con tutto il rispetto per la libertà di stampa, che chi svolge funzioni così delicate non senta il dovere, prima di lanciare tanto disinvoltamente titoli e messaggi destinati ad incidere come non mai nelle opinioni e nei comportamenti della gente, di qualche riflessione ulteriore. Di solito, per cose del genere si dà la colpa alla necessità ossessiva dello scoop. Ma, ripensandoci bene, si è proprio sicuri che non sia anche o soprattutto una questione di professionalità?

Depenalizzazione: riflessioni per la revisione della Legge 24 novembre 1981 n.689

(da Rivista di Polizia, 1994)

Lucca 4 settembre 2007
Luigi Pinelli - già Comandante della polizia municipale di Lucca

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