logo Fucinaidee

"Il Signore della paura" di Franco Cardini

Recensione di Alessandro Bedini

L’Asia profonda, quella di Alessandro Magno e di Gengiz-Khan, le aspre montagne dell’indokush e le aride steppe della Mongolia, la favolosa Persia e la Via della Seta da cui hanno transitato merci, uomini e idee e sullo sfondo le sfavillanti cupole di Samarcanda, la capitale dell’impero costruito negli ultimi decenni del XIV secolo da Timur I-Lang, conosciuto da noi come Tamerlano.

Il Signore della Paura romanzo storico che Franco Cardini ha dato alle stampe per i tipi di Mondadori, (pagg. 351, € 17,50) descrive con dovizia di particolari questi luoghi meravigliosi e terribili al tempo stesso, parla degli stretti rapporti tra le potenze occidentali e i potentati d’Oriente, ne trasmette il fascino, costruisce sulla scorta della sua profonda conoscenza storica una trama avvincente nella quale entrano numerosissimi personaggi: cavalieri, mercanti, ambasciatori, avventurieri, nobili rampolli di famiglie che fanno parte delle oligarchie cittadine dell’Italia di fine Trecento. E poi la magia, il sogno, il fascino irresistibile delle infinite solitudini del deserto, della sconfinata steppa asiatica, dei caravanserragli che accolgono viaggiatori di ogni parte del mondo conosciuto, infine la Terrasanta e Gerusalemme in particolare, alla quale Franco Cardini ha sempre riservato un posto speciale, tanto nei suoi romanzi che nei dottissimi saggi dedicati al pellegrinaggio nel Vicino Oriente.

Ne Il Signore della paura il registro narrativo si snoda su diversi piani: ci sono tre cavalieri che per motivi differenti e seguendo strade diverse si mettono in cammino verso la Samarcanda di Tamerlano, uno di loro Ruy Gonzàles de Clavjio è realmente esistito, gli altri due, Vieri di Rinaldo di Buondelmonti e Arrigo di Corrado degli Scolari invece no, ma le loro rispettive famiglie, insieme a quelle degli Acciaioli, degli Strozzi dei Frescobaldi sono esistite eccome e hanno fatto parte dell’oligarchia fiorentina, orgogliosa e potente oltre che sprezzante verso quello che definivano, con Dante, il popolo grasso, gli arricchiti dell’ultim’ora, che pretendevano di dettar legge senza possedere i titoli nobiliari che li legittimassero.
Tre giovani che oggi definiremmo rampanti: Arrigo, Vieri e Neri, cavalieri appartenenti ad altrettanti nobili casati fiorentini, erano soliti spassarsela in tornei, giostre e mascherate, appena sopportate dall’occhio lungo della chiesa e dell’inquisizione.
Ad Arrigo tocca il privilegio di essere scelto dalla bella e giovane Alessandra Strozzi, o meglio dalla famiglia, a farne la sua sposa. Sul principio tutto fila liscio ma l’invidia avrà infine la meglio portando alla perdizione i tre vecchi amici di sangue.

E’ per cercare se stessi, per lavare l’onta del disonore che Arrigo e Vieri partono da Firenze alla volta dell’Asia in un intreccio di inseguimenti che è fatto d’inquietudine e tormento misto a sentimenti religiosi, disperazione e odio temperati però dall’amore o per meglio dire dalla caritas. Cardini richiama a proposito le parole di Agostino: “ama e fa ciò che vuoi”, obiettivo difficile, arduo a raggiungersi ma il solo in grado di pacificare l’anima e lo spirito.

Il personaggio di Don Ruy, Camarrero alla corte di Re Enrico III di Castiglia, è forse quello che più assomiglia all’autore del romanzo. Curioso e colto, amico del buon Ahmed, ambasciatore dell’emiro di Granada Muhammad VI, sincero ammiratore della cultura araba, ma anche di quella ebraica, grande intenditore di cibi e vini di alta qualità, viene incaricato dal suo signore di partire alla volta della corte di Tamerlano per meglio capire le intenzioni del Grande Emiro, così veniva definito, all’indomani della vittoria da lui riportata sui turchi del sultano Bayazet I ad Ankara nel 1402. La sconfitta dei turchi non solo farà ritardare di mezzo secolo la loro definitiva conquista di Costantinopoli, che avverrà solo nel 1453, ma darà nuovo impulso a un altro sogno che l’Occidente latino-cristiano ha accarezzato fino dal XIII secolo: quello di un’alleanza cristiano-tartara in funzione anti-mamelucca per riconquistare alla vera fede i Luoghi Santi e in modo particolare il Santo Sepolcro.

Altro aspetto del racconto di Cardini è la politica orientale delle potenze italiane e europee dell’epoca. Genovesi, armeni e cavalieri di Rodi coltivavano tradizionalmente rapporti di amicizia, soprattutto commerciale, con i tartari di Persia, mentre gli Angioini di Napoli, la Serenissima Repubblica di Venezia e la stessa Francia guardavano al sultano del Cairo come interlocutore privilegiato. Firenze stava affacciandosi alla politica mediterranea, potremmo dire marinara, con il proposito di impadronirsi di Pisa per avere un suo posto nel complicato puzzle che si andava dipanando sul Mare Nostrum e aveva dunque bisogno di capire meglio che cosa realmente intendesse fare Tamerlano. Anche gli ordini mendicanti, domenicani e francescani, giocavano un ruolo di primo piano nella “politica estera” occidentale.
Franco Cardini lo mette bene in evidenza nelle pagine del romanzo. Se i seguaci del poverello d’Assisi erano ben visti dai mussulmani di Terrasanta, grazie anche all’appoggio di casa D’Angiò, i domenicani avevano trovato nei sovrani di Castiglia e d’Aragona dei convinti sostenitori. A complicare ancor più le cose era il Grande Scisma d’Occidente, con i due papi, l’uno di obbedienza romana l’altro avignonese, che ponevano in serio imbarazzo i mercanti e i politici fiorentini, in bilico tra l’amicizia verso la Francia, con la quale facevano tra l’altro ottimi affari e la tradizionale fedeltà al romano pontefice.

Altro tema presente ne Il Signore della paura è quello che potremmo definire antropologico-religioso. L’idea di crociata, definitivamente tramontata sui campi di Nicopoli nel 1396 quando le armate cristiane franco-anglo-ungheresi vennero sbaragliate dai turchi, i diversi Islam in cui si imbattono i nostri viaggiatori: quello turco-mongolo, aperto e tollerante, ancora imbevuto di “paganesimo” e di ritualità sciamaniche, amato pare dallo stesso Tamerlano, quello dei “fondamentalisti” dervisci e l’Islam dei mistici sufi, un mosaico di obbedienze e/o di sfumature non certo sconosciuto al mondo cristiano, a sua volta frammentato sia teologicamente che politicamente. In questo composito scenario sapientemente presentato dall’autore, si svolge l’avventura dei tre cavalieri; il viaggiare non è solo lo spostarsi da un luogo all’altro ma è un entrare dentro il proprio io, simboleggia il destino dell’uomo, che sulla terra è comunque pellegrino e costantemente alla ricerca del proprio equilibrio interiore.

Da quando nel giorno di Pasqua del 1403 in un pozzo dell’Impruneta, località vicina a Firenze, Vieri di Rinaldo dei Buondelmonti viene a sapere del ritrovamento di una magnifica statua di Venere, evento stimato di cattivo augurio in quanto considerato presagio demoniaco, niente sarà più come prima. Il rampollo del blasonato casato deciderà proprio allora di partire per l’Oriente. L’ambasceria presso il Grande Emiro in qualità di rappresentante della Repubblica fiorentina sarà solo una scusa ma anche un tradimento nei confronti del padre, l’arcigno Rinaldo, lo scopo sarà la vendetta, il motore l’odio, i soli che secondo il povero Vieri potranno placare i suoi tormenti.
Non sarà così, non potrebbe essere così, l’odio e la vendetta sono sempre calici amari, il rimorso, l’urgenza di ritrovare la pace profonda della propria coscienza, quello si è il balsamo giusto per guarire le ferite dell’anima. In fondo ogni viaggio è un percorso dentro se stessi alla ricerca di un centro. Non sappiamo se Vieri di Rinaldo dei Buondelmonti, Arrigo di Corrado degli Scolari e Neri di Simone Acciaioli abbiano trovato la loro pace, se il sogno d’Oriente, caparbiamente perseguito, abbia completamente lenito i loro tormenti, Cardini lascia aperte molte porte a conclusione del suo romanzo e lo fa a ragion veduta perché conosce l’animo umano e sa bene che lo scontato “vissero tutti felici e contenti” è troppo banale, troppo mediocre, mentre Il Signore della paura è tutto fuor che scontato e banale.

Lucca, 6 luglio 2007
Alessandro Bedini

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina