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Certe discutibili fiction della Rai

Di MARIO GABRIELE GIORDANO
(Da l'Osservatore Romano - edizione dell'11 febbraio 2007)

 

Chi mai avesse accusato la Rai di scarsa lungimiranza nella gestione dei suoi programmi televisivi dovrebbe forse ricredersi di fronte a certe decisioni degli ultimi tempi. Riciclare un comico nel ruolo di nonno saggio e bonario, adottarlo come protagonista di un'interminabile serial story d'impatto fortemente popolare, imporlo così all'immaginario collettivo come l'eroe di una perfetta ed esemplare famiglia italiana, affidargli infine, in un momento particolarmente favorevole, il compito di far passare un preciso messaggio:  non è lungimiranza tutto questo?

Certo, a guardare a posteriore ai fatti, sembrerebbe proprio di sì quando soprattutto si considera che i fatti sono questi. Lino Banfi martella il pubblico per ben quattro stagioni con lo sceneggiato Un medico in famiglia dando di sé e della piccola comunità che gli sta intorno un'immagine estremamente rassicurante.
Captato in tal modo un trascinante consenso tra la folla dei meno provveduti, piazza un fuori serie, Il padre delle spose, una fiction in cui corre in Spagna per abbracciarvi idealmente Zapatero che, con i provvedimenti introdotti in quel Paese, ha consentito a sua figlia di sposare una propria amica e per dare all'Italia una lezione di presunta modernità, visto che qui a sposarsi sono ancora un uomo e una donna. Ma l'ex comico intende completare il quadro e, a quanto si è appreso, riprendendo per una quinta stagione la serie di Un medico in famiglia, si appresta a proporre al pubblico, oltre che la necessità di unioni omosessuali per uomini e per donne, anche la possibilità di affidare a questi tipi di coppie l'educazione di bambini per un'ambigua parodia di famiglia.

A ben considerare, però, di fronte all'intera vicenda, più che di lungimiranza, bisogna parlare di coerenza, di quella coerenza, naturalmente, spicciola e lucrosa che è propria della Rai da quando, entrata in concorrenza con le emittenti private, si è piegata alle tiranniche esigenze dell'audience e che consiste nella passiva subordinazione agli umori, alle mode, ai gusti anche deteriori di momento in momento maggiormente diffusi nelle più larghe zone del pubblico.

È per questo che, annegando in un mare di insulsaggine quanto di buono le si potrebbe riconoscere, essa dispensa a piene mani dolciastre soap opera che, come quelle di Banfi, comunicano un falso senso della vita, giochi melensi che richiedono l'esatto contrario di una partecipazione intelligente, l'artificio dei reality show spacciato per realtà, l'accademia dei talk show che, facendo da passerella a una ristretta cerchia di straconosciuti personaggi, si sono ridotti a stanca litania.

In realtà, se si escludono sporadici frammenti anche apprezzabili ma relegati in orari impossibili, i programmi televisivi ignorano completamente la letteratura, l'autentico teatro, la grande musica e insomma l'arte e la cultura nelle loro più alte manifestazioni.
Essi, in sostanza, prospettano una visione della realtà tanto superficiale da risultare ingannevole per quanti - e sono molti - considerano la televisione come la dispensatrice della verità.

A questo proposito, occorre denunciare un deprecabile fenomeno. Nel riflettere passivamente tendenze anche deviate della condotta individuale e sociale, molto spesso i programmi televisivi non fanno altro che omologarle e farle quindi percepire come giuste assecondando in tal modo la moderna propensione a considerare normale ciò che normale non è.
È in rapporto a questa disposizione di sostanziale irresponsabilità che va giudicata la programmazione delle fiction imperniate sulla vita di coppie omosessuali perché, tra l'altro, esse presentano come risolto un problema drammaticamente aperto.

L'osservazione che occorreva comunque trattare un argomento di viva attualità è semplicemente pretestuosa. Se infatti la Rai voleva davvero "trattare" il problema delle coppie omosessuali, doveva battere altra via che quella delle rassicuranti commediole, perché "trattare" vuol dire altra cosa che indorare pillole. Poteva la Rai affidare il tema a una serie di approfondite discussioni non certo tra politici e altri sputasentenze che portano scritte in fronte le loro preconcette opinioni, ma tra specialisti di provata competenza e onestà intellettuale, sociologi, medici, psicologi, studiosi di problemi etici, giuristi e quanti altri possono essere testimoni diretti e consapevoli della complessa realtà.
Essa invece con queste sue discutibili iniziative, ponendo la questione in modo sbagliato, non fa che danneggiare la causa che presume di sostenere poiché viene a sottolineare una presunta diversità che deve invece risultare del tutto superata in nome di una comune e indivisibile dignità umana.
Bisogna, in sostanza, riconoscere, in maniera aperta e piena, che i diritti degli omosessuali sono quelli di ogni altra persona umana. Ma bisogna parimente riconoscere che, per loro come per ogni altra persona umana, esistono degli oggettivi condizionamenti che, in quanto posti non dalla società ma dalla natura, sono insuperabili e vanno quindi accettati in tutte le implicazioni che essi comportano senza tentativi di ambigui aggiramenti destinati a compromettere e non ad esaltare la dignità dei soggetti.
Liquidare eventualmente il tutto con una comoda taccia di moralismo significherebbe rimarcare una posizione di colpevole superficialità. La Rai, in quanto entità anche culturale, deve naturalmente godere di una sua incondizionata libertà, ma, in quanto responsabile di una funzione pubblica, deve usare quanto meno delicatezza quando affronta problemi che toccano nel vivo la coscienza individuale e collettiva.

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