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11 febbraio 2007: settantotto anni or sono i Patti Lateranensi

DA l'Osservatore Romano - edizione dell'11 febbraio 2007

Settantotto anni sono trascorsi da quell'11 febbraio 1929 che vide, nel Palazzo Apostolico del Laterano, la firma dei Patti con cui fu chiusa definitivamente la Questione romana. Una Questione tutta italiana, perché per imperscrutabili disegni Divini venne fissata sul territorio italiano, a Roma, la sede del successore di Pietro e, quindi, del governo della Chiesa universale; ma al tempo stesso una Questione non solo italiana, nella misura in cui la garanzia dell'assoluta indipendenza della Santa Sede nell'adempimento della sua missione nel mondo è bene che interessa l'intera comunità ecclesiale così come ogni comunità politica.

Proprio il passaggio da un'ottica esclusivamente nazionale e da mere garanzie unilaterali, com'era nella Legge delle Guarentigie del 1871, ad un'ottica internazionale ed a garanzie bilateralmente convenute, come appunto nei Patti Lateranensi, segnò l'avvenuta acquisizione della piena consapevolezza circa la complessità della situazione creatasi con gli eventi del 20 settembre 1870 e permise di superare, finalmente, una situazione di diritto e di fatto che troppo a lungo aveva pesato negativamente nella storia civile e religiosa. Quel passaggio fu anche marcato dalla acquisita percezione che la indipendenza e la libertà della Santa Sede nello svolgimento della sua missione a livello planetario non può prescindere dalla connessa definizione di una condizione giuridica della Chiesa che è in Italia, diretta a riconoscerne identità e natura, nonché a tutelarne la libertà, se non altro per l'evidentissimo fatto che proprio al Vescovo di Roma è commessa l'alta responsabilità del munus petrinum. Di qui lo stretto ed indissolubile rapporto tra i due accordi che costituiscono i Patti:  il Trattato, destinato appunto a garantire l'assoluta libertà ed indipendenza della Santa Sede, ed il Concordato, diretto a disciplinare in Italia la vita della Chiesa.
Si tratta di un rapporto che, di natura sua, permane necessario nel tempo e che dunque porta giustamente a considerare pure l'Accordo del 1984, con cui vennero apportate modificazioni al Concordato del Laterano, come logico ed indispensabile completamento del Trattato.

A settantotto anni da quell'evento, di grande rilievo storico, politico e giuridico, occorre ancora una volta dare atto all'Italia di lungimirante disponibilità ad una soluzione solida, capace di durare nel tempo, per tanto complessa questione, ed al tempo stesso di leale e piena coerenza, anno dopo anno, decennio dopo decennio, nel proprio impegno di attuazione circa quanto convenuto con la Santa Sede, in uno spirito di rispettosa collaborazione reciproca.

Ma quest'anno la ricorrenza dei Patti Lateranensi si colora anche di un ulteriore elemento. Difatti sessant'anni or sono, e precisamente il 25 marzo del 1947, l'Assemblea Costituente della Repubblica italiana, eletta a suffragio universale, approvava a larghissima maggioranza la formula dell'art. 7 della Costituzione, nel quale quei Patti sono richiamati come strumento naturale e necessario per rendere effettiva ed operante la solenne dichiarazione, posta in premessa, secondo cui "lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani".
Al di là di ogni formale attestato alla memoria, la menzione di quel voto ha un significato di grande rilievo:  innanzitutto perché esso segnò, nel travaglio di un passaggio istituzionale, la positiva verifica della superiore e non transeunte idoneità dei Patti a dare giusta e stabile soluzione nel tempo al problema dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia. Ma quel voto significò anche l'espressione corale della coscienza di un'assemblea liberamente eletta, e cioè che si tratta di problema che non investe solo relazioni tra istituzioni, ma che tocca anche la società civile nella quale la Chiesa opera e della quale è al contempo espressione. Una società civile che è costituita dalla trama delle relazioni sociali in cui l'uomo, con le sue inalienabili spettanze, quotidianamente svolge la sua personalità, ed al cui servizio la Costituzione italiana vede direttamente impegnato lo Stato.

Il disegno costituzionale, che appare singolarmente consonante con gli insegnamenti sui rapporti tra Chiesa e comunità politica che il Concilio Vaticano II ha dato nel 76 della costituzione Gaudium et spes, si è esplicitato coerentemente nel corso di un sessantennio, svolgendo una positiva influenza sulla vita della società italiana. Esso ha favorito un dialogo costante, rispettoso, costruttivo, che ha permesso alla Chiesa una piena libertà di svolgere in Italia, secondo quanto contemplato dall'art. 2 del Concordato in vigore, "la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione". Si tratta di un dialogo, per dir così, "istituzionalizzato", che nel rispetto di una distinzione non conflittuale ma collaborativa fra istituzione ecclesiastica ed istituzioni civili, qual è quella propria del concetto di laicità dello Stato sotteso alle disposizioni costituzionali, ha grandemente e positivamente favorito il perseguimento dell'obbiettivo della promozione di ogni uomo e dell'intera comunità nazionale.

È, questo, un punto su cui si è concordemente convenuto nei discorsi ufficiali che hanno segnato la recente visita in Vaticano, il 20 novembre scorso, del Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano. Come osservava in tale occasione Benedetto XVI, quello della collaborazione è principio condiviso dalla Chiesa e dallo Stato italiano:  di qui l'auspicio che essa "possa continuare a svilupparsi concretamente", giacché "Chiesa e Stato, pur pienamente distinti, sono entrambi chiamati, secondo la loro rispettiva missione e con i propri fini e mezzi, a servire l'uomo, che è allo stesso tempo destinatario e partecipe della missione salvifica della Chiesa e cittadino dello Stato". In definitiva, secondo quanto rilevava il Santo Padre, "è nell'uomo che queste due società si incontrano e collaborano per meglio promuovere il bene integrale".

Da parte sua il Presidente della Repubblica italiana ricordava che, in Italia, "l'armonia dei rapporti tra Stato e Chiesa è stata e resta garantita dal principio laico di distinzione sancito nel dettato costituzionale e insieme dall'impegno, proclamato negli Accordi di modifica del Concordato, alla "reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e per il bene del Paese"". Ed aggiungeva:  "Crediamo profondamente nell'importanza di questa collaborazione, guardando alla tradizione di vicinanza, di aiuto e solidarietà verso i bisognosi e i sofferenti che è propria della Chiesa [...] e guardando anche a una comune missione educativa là dove sia ferito e lacerato il tessuto della coesione sociale, il senso delle istituzioni e della legalità, il costume civico, l'ordine morale".

Ai vari ambiti che, nel corso dei decenni, si sono palesati come positivi luoghi di collaborazione tra Chiesa e Stato, oggi se ne propongono ulteriori, spesso del tutto nuovi, posti dalla sempre più rapida evoluzione e trasformazione della società italiana, nel contesto dei più complessi fenomeni della globalizzazione. La tutela sempre più efficace dei diritti umani, ed in particolare della libertà religiosa individuale e collettiva, in un contesto di crescente pluralismo etnico-religioso; il perseguimento del bene della pace interna ed internazionale, come effetto non delle ragioni della forza ma di quelle della giustizia; la premura intransigente perché a tutti i chiamati al banchetto della vita questa sia assicurata, ma anche adeguatamente sorretta, in ogni stagione dell'esperienza umana; l'attenzione costante alla famiglia, come società naturale fondata sul matrimonio, di cui conseguentemente il diritto positivo non può riformare i caratteri distintivi e fondanti, ma della quale lo Stato e l'intera società devono favorire la formazione e l'adempimento dei compiti propri:  sono, questi, tra gli ambiti in cui oggi si pongono le sfide di maggior rilievo.

Ma in particolare, riprendendo un pensiero del Presidente Napolitano, è sul terreno dell'educazione dell'uomo e del cittadino che oggi sembra doversi individuare una delle emergenze più gravi ed incombenti. Educazione per fronteggiare le preoccupanti derive di comportamenti asociali, quando non addirittura criminali, che dal livello dell'età adulta vanno sempre più rapidamente scendendo alle età più verdi, alle più giovani generazioni, minacciando così pericolosamente il futuro della società; ma pure, positivamente, educazione ad una cittadinanza piena, avvertita, leale, solidale, che dà senso all'essere insieme, tiene coesa verso l'alto la società, assicura l'appoggio della coscienza individuale alle giuste prescrizioni del diritto positivo, anima di valori elevati la partecipazione politica per l'autentico bene comune.
Anche in questo ambito la Chiesa, Mater et Magistra secondo il bell'appellativo di Giovanni XXIII, può dare un contributo tutto suo e, in quanto tale, insostituibile; un contributo che prende le mosse da una prospettiva propriamente spirituale per concorrere a forgiare, nel solco dell'esortazione dell'Apostolo Paolo (Rm 13, 1-8), il buon cittadino.

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