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"Il mistero della sinistra", di Marino Badiale e Massimo Bontempelli.

Recensione di Alessandro Bedini.

Chi volesse aggiornarsi sul fiume carsico che sfocia nell’attualità politica, al di fuori dei binari oramai paludati del politically correct e delle estenuanti cronache di ordinario conflitto tra centrodestra e centrosinistra, per spingersi oltre le barriere dello scontato e del banale, si legga d’un fiato "Il mistero della sinistra", scritto da Marino Badiale e Massimo Bontempelli, edito dall’editrice genovese Graphos.

Perché le politiche di destra e di sinistra poggiano sostanzialmente sugli stessi valori di riferimento?
Com’è che la sinistra ha accettato acriticamente una forma di capitalismo che nega qualunque emancipazione del mondo del lavoro, restringe i diritti sociali e crea inaccettabili disuguaglianze?
Ma soprattutto perché gli elettori cosiddetti di sinistra continuano a votare per partiti che nella prassi, oltre che nella teoria, sposano politiche di destra?

Il mistero della sinistra è racchiuso in queste poche domande in grado di scuotere dalle fondamenta il quadro di riferimento che, specie in questi ultimi mesi di campagne elettorali a tambur battente, viene ossessivamente mandato in scena a colpi di dibattiti nei vari talk show tipo Porta a Porta, Matrix, Ballarò e compagnia cantante.
Con tanto di scontri verbali…all’ultimo sangue tra protagonisti, comprimari e terze file della politica nostrana. La sfida di Badiale e Bontempelli è di riuscire a leggere “il presente come storia” uno sforzo di notevoli proporzioni, indispensabile per cogliere le tendenze di fondo del sistema politico in cui siamo immersi.

Altro argomento forte del libro in questione: non esiste una reale differenza tra destra e sinistra perché entrambe hanno accettato il “totalitarismo neoliberista” o capitalismo assoluto, come si preferisce, in cui l’economia è ridotta ad attività d’impresa, interessata solo a trarre il massimo del profitto dal libero mercato che domina su ogni aspetto della realtà sociale.
“Qualunque forza politica voglia oggi arrivare al governo di un paese occidentale – osservano Badiale e Bontempelli – deve accettare e infatti accetta, la priorità del profitto e la logica neoliberista”. I due autori prendono come esempio la politica di Prodi tra il 1996 e il 1998: si è trattato della pura e semplice gestione amministrativa delle micidiali direttive di Maastricht, che hanno impoverito fasce assai ampie di popolazione e accentuato le disuguaglianze.

In sostanza ciò che è accaduto negli ultimi vent’anni nei paesi occidentali e dunque in Europa, è il passaggio dallo stato sociale fondato sul modello keynesiano-fordista, entro il quale ancora permanevano spazi di rivendicazione e di elaborazione delle politiche sociali per la sinistra, a un capitalismo neoliberista, caratterizzato dalla deregulation, di cui la globalizzazione è l’espressione più tangibile. Un tale sistema è stato gestito da governi sia di destra che di sinistra.
Il fatto è, affermano gli autori de Il mistero della sinistra, che quest’ultima ha un’identità vuota, ha perso l’anima “non possiede alcun contenuto fondante e irrinunciabile”. Persino il linguaggio è inadeguato. Dietro il termine riformismo, agitato dai gauchistes di casa nostra, si cela la indefettibile accettazione della logica del mercato e del primato dell’economia sulla politica, che la riduce a pura e semplice tecnica amministrativa dell’esistente.

Espressioni come “occorre governare il mutamento”, “bisogna innovare”, “non si può tornare indietro”, non sono altro se non la giustificazione, scialba e meschina, delle scelte di retroguardia della sinistra svuotata da ogni contenuto ideale: “essa appare quindi scissa dai suoi valori storici (l’emancipazione dei ceti subordinati) e dalle sue stesse radici culturali”.

Ma allora perché il popolo di sinistra continua a credere che vi sia realmente la contrapposizione con la destra? Sebbene i due poli siano indistinguibili riguardo alla sostanza socioeconomica delle loro politiche, le loro rispettive classi dirigenti vogliono / debbono apparire a tutti i costi alternative. E’ per questa ragione che i dirigenti dei due poli, con il determinante apporto dei mass media, si lanciano in polemiche al vetriolo, si scambiano insulti, si accusano reciprocamente di ogni nefandezza, all’unico scopo di risultare diversi e incompatibili. Il vero, autentico fine è quello di mobilitare i rispettivi elettorati, specialmente in un sistema maggioritario come il nostro in cui anche il minimo spostamento di voti, come abbiamo visto nelle recenti elezioni politiche, può risultare determinante.
Più si alza la voce più la cortina fumogena nasconde la realtà.
Inoltre le persone di sinistra accampano molto spesso l’argomento del male minore. Pur rendendosi conto della negatività dei partiti di sinistra l’elettore di quella parte sostiene che comunque essi sono meno peggio di partiti di destra. Una tesi decisamente avversata da Badiali e Bontempelli che la ritengono anche parecchio pericolosa.

Secondo questa argomentazione si può arrivare a giustificare qualunque cosa. I processi storici, anche i più orribili, hanno sempre un arco di differenziazione entro cui scoprire il male minore, che diventa così un passepartout buono per ogni occasione.

La conclusione di Badiale e Bontempelli è che “il popolo di sinistra ha dato prova di essere disposto ad accettare qualsiasi cosa, purchè la faccia la sinistra”. E’ capitato così con la riforma Dini sul sistema pensionistico, è accaduto nel marzo 2001 con gli scontri di Napoli durante il Global Forum, in quell’occasione il governo di centrosinistra autorizzò una feroce repressione nei confronti dei manifestanti, lo stesso accadde pochi mesi dopo al G8 di Genova, dove il governo di centrodestra fece lo stesso. La differenza sta nel fatto che la sinistra ha rimosso Napoli ma continua a parlare di Genova.
E’ la politica dei due pesi e due misure.

Gli autori propongono anche una spessa ricostruzione storica alla ricerca delle cause che hanno portato a una simile situazione. La svolta verso il capitalismo assoluto avviene nel 1979 ad opera degli Stati Uniti, quando viene scelto dall’allora presidente USA Jimmy Carter, Paul Volker come Segretario al Tesoro. La ricetta di Volker fu tutto sommato semplice: rialzo dei tassi d’interesse, incremento programmato della disoccupazione, ritiro completo dello stato dalle politiche economico-sociali abbandonate al libero mercato.
Keynes viene mandato in soffitta, la dinamica spontanea dell’economia capitalista diviene il nuovo verbo. Le ricadute furono molto pesanti. Le sinistre e le destre, in primis quelle europee, finirono per accettare economie totalmente privatizzate.
Competitività e sviluppo diventano le parole d’ordine dei due schieramenti che si rimproverano reciprocamente di non fare abbastanza in questa direzione obbligata.

Gli attuali scenari economici dominanti nel Vecchio Continente traggono origine dalla svolta politico - economica americana.
Il Libro Bianco concepito dal socialista francese Jacques Delors, le direttive e i parametri di Maastricht, la scelta dell’euro, la progressiva, inevitabile perdita di sovranità degli stati a favore del capitalismo assoluto e anonimo, sono gli esiti obbligati di processi innescatisi alla fine degli anni Settanta, andati avanti negli anni Novanta e applicati tra il 1999 e il 2002.

Interpretare il presente come storia è operazione complessa e rischiosa, ma concordiamo con Badiali e Bontempelli: è l’unica strada da percorrere per uscire dalla palude e pensare finalmente la politica al di là della destra e della sinistra.

Lucca, 4 luglio 2006
Alessandro Bedini

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